SCAFFALE LECCHESE/223: la storia di don Luigi Monza, fondatore de La Nostra Famiglia

''La Nostra Famiglia'' è ormai un punto di riferimento nazionale nella cura e nella riabilitazione con uno spettro d’azione vastissimo. Il sito dell’associazione fornisce alcuni numeri: 28 sedi in Italia, oltre duemila operatori, quasi 25mila bambini e ragazzi assistiti. A mettere in moto tutto questo fu un sacerdote, don Luigi Monza, parroco di San Giovanni di Lecco per 18 anni, dal gennaio 1937 al settembre 1954 (un confessionale all’interno della chiesa parrocchiale ne perpetua la presenza per mezzo di una targhetta dorata con il suo nome). Proprio in quel periodo prese infatti concretezza il progetto di quell’associazione di “Piccole apostole della Carità” che avrebbe poi dato vita appunto alla ''Nostra Famiglia'' con il quartier generale a Ponte Lambro nell’Erbese e un centro di particolare rilevanza a Bosisio Parini. 
Gli sviluppi dell’iniziativa e la figura di don Monza sono ormai andati talmente oltre la valenza locale che quasi non ci si ricorda più dei dettagli lecchesi. Non fosse che la città gli ha già da tempo intitolato una via, mentre la comunità pastorale che riunisce le parrocchie di San Giovanni, Rancio e Laorca è dedicata anche a lui, oltre che al missionario Giovanni Mazzucconi ucciso in Papua nel 1855. Entrambi beatificati.
Su don Monza naturalmente è stato scritto molto ed è anche prevedibile che le biografie siano piuttosto agiografie. Noi ci affidiamo alle parole di Aristide Gilardi (1902-1967) e di Luigi Mezzadri.
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Gilardi è stato un giornalista lecchese che abbiamo già incontrato a proposito di Uberto Pozzoli e dei fratelli Torri Tarelli. Nel settembre 1964, in occasione del decimo anniversario della morte, Gilardi scrisse una breve biografia del sacerdote: ''Don Luigi Monza, costruttore di spiriti'', pubblicato in un supplemento del settimanale cattolico ''Il Resegone''. 
Mezzadri, invece, è sacerdote e docente di storia alla Pontificia Università Gregoriana, curatore del volume pubblicato nel 2011 dalla milanese Editrice Ancora e che raccoglie le lettere di don Monza.
Luigi Monza nacque a Cislago, nel Varesotto, il 22 giugno 1898. Nel 1912 entrò nell’Istituto missionario di Penango Monferrato, ma fu costretto a ritirarsi dopo un anno di studi «viste le condizioni finanziarie della sua famiglia – ci informa Gilardi -, con suo padre reso inabile per infortunio sul lavoro; la sorella che entra in convento religioso ad Ivrea; il fratello chiamato alle armi (e cadrà, da valoroso, durante la prima guerra mondiale)».
Il giovane Luigi Monza, dunque, tornò a casa «per adoperarsi lavorando nei campi (…). Di sera però – come e quando può – riprende i libri, studia perché la speranza “di andare prete” illumina e dà forza alla sua vita di contadino».
 Il 1° ottobre 1916 entrò definitamente in seminario, con una parentesi per il servizio militare, e il 25 settembre 1925 venne ordinato sacerdote e inviato come coadiutore a Vedano Olona. Dove la vita non era facile: l’attività dell’oratorio era malvista dai fascisti locali. Sappiamo che sulla formazione dei giovani vi furono a lungo forti attriti tra Chiesa e Fascismo che nemmeno i patti lateranensi riuscirono a superare.
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A Vedano, una questione di carattere sportivo fece aumentare la tensione e il 29 giugno 1927, festa di San Pietro e Paolo nonché onomastico del parroco don Pietro De Maddalena, qualcuno sparò al segretario del Fascio: «Subito vennero accusati quali “mandanti” don De Maddalena e don Monza» che finirono in carcere: tornarono in libertà dopo quattro mesi visto che accuse e sospetti non furono suffragati da riscontri e prove. E comunque don De Maddalena venne spedito al confino a Caltagirone in Sicilia, mentre don Monza fu trasferito in domicilio coatto alla parrocchia di Santa Maria del Rosario a Milano. 
Nel 1929, don Luigi venne poi inviato al santuario della Madonna del Miracolo di Saronno. E fu in quel periodo che cominciò a prendere forma l’idea di una nuova associazione religiosa che nel 1935 divenne realtà, dopo l’incontro con Clara Cucchi e Teresa Pitteri che furono il primo nucleo delle “Piccole apostole della Carità”. Ci dice Gilardi: «Don Luigi aveva concepito l’idea (…) di fondare un’opera che realizzasse nelle persone aderenti il pieno cristianesimo». 
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Un giorno del 1936, mentre si recava Biandronno per vedere una casa che avrebbe potuto ospitare le “Piccole apostole”, incontrò in treno don Ambrogio Tosi che gli propose una sistemazione a Vedano. Dove, peraltro, don Monza non poteva ancora mettere piede. Scesi dal treno, i due preti organizzarono pertanto un vero e proprio «viaggio clandestino: autista fidato, automobile con tendine abbassate». E di lì a un anno, il 17 agosto 1937 sarebbe stata posata la prima pietra della “Nostra Famiglia”.
Nel frattempo, il sacerdote era stato nominato parroco e inviato appunto a San Giovanni di Lecco dove si insediò già il 30 ottobre 1936 per poi fare l’ingresso ufficiale il successivo 7 gennaio 1937. E per restarvi fino al 1954: «Qui – annota Gilardi - l’attività di parroco diventa un mirabile intreccio con quella del fondatore della Nostra Famiglia.»
Scrive Mezzadri: «Don Luigi mantenne i contatti con la piccola comunità attraverso visite, incontri, scambi epistolari. (…) In questa fase iniziale il progetto di don Luigi non era ancora ben definito: si parlava di una nuova istituzione denominata “Come gli apostoli” alla quale avrebbero potuto aderire varie tipologie di persone come uomini e donne, secolari e sacerdoti, perché la finalità del gruppo era quella di riportare la società moderna alla carità dei primi cristiani attraverso lo spirito apostolico da incarnare nella propria concreta situazione e tenendo conto dei bisogni del proprio tempo. (…) L’attività iniziale fu quella dell’accoglienza: si organizzavano giornate di ritiro corsi di esercizi spirituali, si dava ospitalità a gente che aveva bisogno di un luogo tranquillo per riposare o lavorare».
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Nel 1946, l’incontro destinato a imporre la svolta decisiva per l’indirizzo futuro dell’associazione. Scrive ancora Mezzadri: in gennaio «il professor Giuseppe Vercelli, direttore dell’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano, propose a Clara Cucchi un nuovo servizio di carità nella rieducazione dei bambini anormali psichici» come allora ancora venivano definiti.  Il 28 maggio arrivarono nella casa di Vedano Olona i primi due bambini, Vera e Umberto. Iniziò così la storia della “Nostra Famiglia” come la conosciamo oggi. Nel 1948 vi fu l’acquisizione della villa di Ponte Lambro che nel 1952 avrebbe ospitato il primo centro italiano di riabilitazione motoria per bambini affetti da paralisi cerebrale e che sarebbe diventato la sede centrale dell’associazione.
Accanto a tutto questo, don Luigi Monza doveva anche occuparsi della sua cura: i due aspetti naturalmente si intrecciavano. Mirabilmente, secondo quanto scrive Gilardi. Ma dobbiamo ritenere che l’arcivescovo Ildefonso Schuster nutrisse qualche riserva. Considerato che nel 1950 inviò una richiesta di spiegazioni (se non già un richiamo) al parroco che, dopo un intervento chirurgico e uscito dall’ospedale, aveva deciso di trascorrere un prolungato periodo di convalescenza alla sede della “Nostra Famiglia” di Ponte Lambro anziché nella canonica di San Giovanni. Nella sua risposta del 19 giugno, don Monza spiegava come la degenza fosse dovuta ad alcune complicazioni e ai medici che «hanno proibito di muoversi per qualsiasi ragione». L’atto di sottomissione che conclude la lettera ci sembra più una chiosa seccata e polemica: «Se vostra Eminenza crede opportuno che trascuri il parere dei medici, io immediatamente la ubbidisco».
Comunque, per Gilardi, agli occhi dei suoi parrocchiani don Luigi era già un “santo”. Da parte sua, Mezzadri osserva: «Un altro aspetto della sua pastorale parrocchiale era rappresentato dalla cura con cui manteneva le antiche usanze della tradizione popolare cristiana come le processioni, che realizzava nei vari tempi dell’anno liturgico. Egli le preparava e le guidava con la cura di ogni aspetto celebrativo, nel rispetto di queste forme della devozione popolare che dovevano alimentare la fede e la partecipazione corale dei parrocchiani. Don Luigi rivolse particolare attenzione alla presenza del laicato e diede molto spazio alle realtà associative che, già presenti nell’ambito parrocchiale, ebbero nuovi stimoli per crescere».
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Poco di più ci dicono le annotazioni contenute nel “Liber Chronicus” e riportate nel volume (“Il tempo ritrovato”) che nel 2022 Giampiero Grasso e Renato Spreafico hanno dedicato ai documenti parrocchiali: vi si citano le considerazioni di don Monza quando nel maggio1943 vennero calate le campane destinate a diventare cannoni, come tutto il bronzo requisito dallo Stato; si ricorda come nel dicembre dello stesso anno il parroco amministrava l’estrema unzione alle vittime del disastro tranviario di Cavalesine.
Il 29 settembre 1954, dunque 70 anni fa esatti, don Luigi Monza venne colto da un infarto che non gli lasciò scampo. La sera precedente il funerale – ci informa Gilardi – la salma venne portata nella chiesetta della Madonna del Sacro Rosario a Varigione, dalla quale sarebbe poi partito il corteo funebre. Era una chiesetta alla quale il sacerdote era particolarmente affezionato. Proprio pochi mesi prima di morire, «interpretando i desideri dei suoi parrocchiani – scriveva egli stesso -, al fine di aumentare la devozione alla Vergine e di far praticare la pia pratica del S. Rosario» aveva rivolto «ardentissima preghiera» all’arcivescovo Schuster affinché fosse elevata a santuario.
Dopo la morte del fondatore, l’associazione continuò nella propria attività ampliando la propria sfera di azione e via via, negli anni e decenni successivi, aprendo nuove sedi, tra cui quella di Bosisio Parini il cui primo padiglione venne inaugurato nel 1963. Alla guida dell’associazione, a Clara Cucchi, era intanto subentrata Zaira Spreafico nata il 6 aprile 1920, una parrocchiana di don Luigi a San Giovanni. Avrebbe guidato “La Nostra Famiglia” fino alla morte avvenuta nel 2004.
Il 30 aprile 2006, la beatificazione del sacerdote. A determinare la quale anche un miracolo attribuitogli: la guarigione, nel 1959, di un giovane al quale i medici avevano diagnosticato gravissimi danni cerebrali per via di un’encefalite virale acuta, guarita grazie alle preghiere delle “Piccole apostole” e a una reliquia di don Luigi.
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Di scritto, il beato lecchese, ha lasciato ben poco: «Don Luigi Monza non aveva doti di scrittore, né furono mai registrati sul magnetofono i suoi interventi. Ciò che è rimasto dei suoi pensieri è in poche sue annotazioni per omelie o ritiri spirituali, lettere personali, appunti di chi lo ha ascoltato… Eppure questi pochi frammenti hanno rivelato una Sapienza ispirata di grande portata». Così scriveva Zaira Spreafico introducendo un libriccino curato dalla “Nostra Famiglia” e pubblicato nel 2002 dalle Edizioni San Paolo: “Don Luigi ci parla. Frammenti e riflessioni per i più intimi”.
Sono invece 246 le lettere raccolte nel già citato volume curato da padre Mezzadri, il quale nell’introduzione scrive: «Le lettere dimostrano che il beato Monza è stato un grande formatore. Ha accompagnato svariate decine di persone non a traguardi banali, ma alla santità».
Si tratta soprattutto di lettere inviate alle “Piccole apostole”, alle “figliuole”, come usava rivolgersi loro, molte delle quali cresciute nella parrocchia di San Giovanni. E naturalmente a Clara Cucchi e a Zaira Spreafico, nei confronti della quale – dice Mezzadri - «don Luigi seppe essere dolce e forte anche quando, sentendosi l’interessata impari all’altezza del compito assegnatole, la richiamò alle sue responsabilità di guida ma, soprattutto, al compimento della volontà divina e senza troppe insistenze nel farselo ripetere perché altrimenti “si perde molto in efficacia”».
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Ci sono le lettere al cardinal Schuster di cui abbiamo parlato e c’è anche una lettera inviata a padre Pio da Pietrelcina tra il 1948 e il 1950 (non c’è data), quando dunque la Chiesa, che poi nel 2002 l’avrebbe dichiarato santo, non era ancora del tutto convinta della predicazione del frate che già aveva comunque un grandissimo seguito popolare. Gli scriveva don Monza: «Con fede e venerazione chiedo a Padre Pio due cose. La prima: posso continuare la preghiera per ottenere quella grazia? E quando la riceverò? La seconda: se ottengo questa grazia, continuo ancora l’Opera intrapresa? Dico grazie ed esprimo riconoscenza per la risposta».  Di un’eventuale risposta nulla ci è dato sapere.
Nelle altre lettere, vengono trattati piccoli aspetti della vita quotidiana, pur con tanti richiami alla preghiera e alla fede. E talvolta emerge qualche vicissitudine non trascurabile. Come, forse nel 1951, il caso di una “piccola apostola” gravemente ammalata e “miracolata” dopo un pellegrinaggio a Lourdes. Dopo di che «i genitori avevano intimato a Zaira Spreafico e a don Luigi di non intrattenere più alcun rapporto, neppure epistolare con la figlia.»
Dario Cercek
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