SCAFFALE LECCHESE/119: Uberto Pozzoli ricordato attraverso i suoi racconti e le biografie

«La gente di qui ama le sue montagne, come le amavano i suoi padri, che innalzarono su ogni poggio, su ogni cocuzzolo di monte, cappelline, tabernacoli, croci, a invocare da lassù più vicino al cielo, la protezione del Signore. E questa gente fu lieta che l'Arcivescovo abbia voluto...». Rimase così, in sospeso, l'ultima delle cronache con le quale Uberto Pozzoli aveva raccontato la visita pastorale del cardinale Ildefonso Schuster nel Lecchese all'inizio dell'ottobre 1930. L'autore ne aveva rimandato la conclusione, lasciandola sul proprio scrittoio, in attesa di avere, chissà, il giusto tempo per dedicarvisi. Un tempo che non sarebbe mai arrivato. Nemmeno trentenne, nel giro dei pochissimi giorni tra il 6 e il 13 novembre di quello stesso 1930, Pozzoli venne stroncato da una polmonite. E solo dopo la sua morte, quella cronaca incompiuta sarebbe stata ritrovata tra le altre carte e pubblicata nel 1932 in un libro, "Frammenti di vita lecchese" nel quale erano stati raccolti molti degli articoli scritti da Pozzoli nell'arco di pochi anni per il settimanale cattolico "Il Resegone", per la rivista "All'ombra del Resegone", ma anche per il quotidiano nazionale "L'Italia". Stampato dalla Scuola tipografica dell'orfanotrofio lecchese, era stato curato da Aristide Gilardi, il pressoché coetaneo giornalista lecchese che a Pozzoli fu molto legato. Quasi a completare i "Frammenti", quello stesso anno, Gilardi tratteggiò anche un profilo biografico dell'amico, stampandolo con la medesima tipografia.

Nel 1934, si sarebbe aggiunta la biografia pubblicata da "Vita e pensiero" che è l'editrice dell'Università cattolica di Milano. A scriverla, don Giovanni Anghileri, prete lecchese e per un breve periodo vicerettore al collegio Volta prima del trasferimento a Milano, a stretto contatto l'arcivescovo. Non un prete qualsiasi: nell'immediato secondo dopoguerra, don Anghileri fu infatti tra i promotori delle Acli ambrosiane e del movimento dei missionari del lavoro che volevano essere argine cattolico alla penetrazione comunista nelle fasce popolari.
E già tutta questa serie di dettagli ci suggerisce qualcosa sulla figura di Uberto Pozzoli, al quale nel 1982 - nel mese di ottobre di quarant'anni fa esatti - il Comune ha intitolato la biblioteca civica.
Già figura di primo piano nel mondo cattolico lecchese, se la morte non l'avesse sorpreso così presto, sarebbe stato indubbiamente un protagonista della vita culturale e politica della città E forse oltre. D'altro canto, le biografie di Gilardi e don Anghileri, pur offrendoci molti spunti, sono anche sfuggenti, inevitabilmente lacunose. Scontano il fatto d'essere state stampate in piena epoca fascista e molto andava ed è stato taciuto. Forse, lo stesso tono a volte troppo agiografico di certe pagine, oltre all'autentico trasporto sentimentale di un amico come Gilardi o agli slanci spirituali di don Anghileri, è da ascriversi a un tentativo i decorare all'eccesso la narrazione così da ingannare il censore e ottenendo che il lettore più accorto cogliesse in filigrana il senso di una testimonianza.


Per esempio, nulla si dice e si poteva dire dell'impegno di Pozzoli per il Partito popolare di don Luigi Sturzo, già da anni costretto all'esilio. Soltanto nel 1979, la documentazione di quell'impegno è stata pubblicata in un numero monografico della rivista storica "Archivi di Lecco" che, introducendone la lettura, sottolinea «l'estraneità, l'opposizione anche se silenziosa al fascismo da parte di Uberto Pozzoli».
Non è dunque un caso che le biografie non abbiano remore nel raccontare anche in maniera colorita delle battaglie di Pozzoli contro liberali, anticlericali e socialisti: quella che dovette essere a tutti gli effetti una scazzottata in una strada di Milano con i socialisti; la beffa nei confronti di un certo professore che avrebbe dovuto sostenere un contradditorio con padre Gemelli sulla cosiddetta questione sociale: i tempi difficili della scuola che «manipolata- per usare le parole di don Anghileri - dalla setta, si vantava laica» e pertanto «il Pozzoli cominciò a soffrire qualche pena per la sua spiccata religiosità e per il proselitismo che faceva tra i compagni»; la mobilitazione contro la realizzazione a Lecco di un "pagano" forno crematorio accanto al cimitero cittadino. Sorvolando invece su quanto avrebbe in qualche modo chiamato in cause il regime ormai consolidato. Certamente quando don Anghileri scrive che «non tutti lo compresero, mentre tutti, dopo la sua morte, comprendendolo, lo ammirarono» e Gilardi, a proposito di incomprensioni, accenna allo scioglimento dell'Unione lecchese dei giovani cattolici nel 1923 da parte del vescovo, alcuni interrogativi sono inevitabili.

Le due biografie, va detto, sono sovrapponibili in molti punti. Don Anghileri molto ha attinto da Gilardi, però ci consegna anche qualche documento prezioso, come le lettere che Pozzoli scrisse alla fidanzata Maria e dalle quali traspare l'evoluzione del rapporto dai primi timidi e quasi formali cenni a una vicinanza più forte.
Uberto Pozzoli nacque a Capriano in Brianza, che era il paese di origine del padre, il 6 maggio 1901. Poco dopo, la famiglia si trasferì a Lecco, città originaria della madre, in via Mascari e quindi a pochi passi dalla chiesa di Santa Marta e dalla basilica. Il giovanissimo Pozzoli frequentò le scuole elementari e quelle che allora si chiamavano tecniche. Gilardi ci dice «che fu costantemente il primo della classe» e «aveva una speciale predilezione per gli ultimi della scuola, quelli che refrattari a ogni stimolo, il maestro trascura e i compagni deridono. Li raccoglieva, nei pomeriggi di vacanza, a casa sua» aiutandoli nel recuperare il tempo perduto. Il florilegio ricamato dai due biografi è ricco di episodi che testimoniano quello che l'amico definisce il «mirabile temperamento» di Pozzoli.

Lasciamo al lettore scoprirli e qui ci limitiamo a sintetizzare le tappe della sua vita. Concluse le scuole tecniche, Pozzoli decide di non proseguire negli studi, nonostante la famiglia fosse pronto a sostenerlo. Ma siamo nel 1915e il ragazzo vuole essere un aiuto concreto e si trova un lavoro da impiegato. Nel frattempo si impegna assiduamente nella vita dell'oratorio e della chiesa e noi ormai sappiamo anche in politica. Ma è scritto anche alla Sel, la Società degli escursionisti lecchesi, è segretario dell'associazione di beneficenza "Croce Verde" ed è tra i fondatori dell'associazione Pro Cultura che avrà comunque vita breve. Nel 1923 lascia il lavoro da impiegato a comincia a lavorare per "Il Resegone" Nel settembre 1925 si fidanza con Maria Panzeri: si sposano l'8 settembre 1926 e vanno in viaggio di nozze a Milano, Torino, Venezia. Mettono su casa in via Trieste. Nel 1927 lascia "Il Resegone" per assumer la direzione amministrativa della cooperativa "La Popolare". Il 3 novembre 1938 nasce la figlia Amalia e il 3 giugno 1930 il secondogenito Giuseppe. Nel frattempo la famiglia si trasferisce di casa a Olate. Il 6 novembre 1930, Uberto Pozzoli rincasa a mezzogiorno un po' indisposto, ha la febbre, il medico dice polmonite: la malattia si aggrava nel giro di poche ore e il mattino del 13 novembre Pozzoli muore.

Di questa breve esistenza ci rimangono appunto i "Frammenti di vita lecchesi" curati da Gilardi e usciti appunto già nel 1932. Per poi essere ripubblicati nel 1977 dall'editrice "Il Resegone". Ed è libro al quale, nei decenni successivi, hanno attinto tutti coloro che di questa città hanno scritto. Sono articoli di cronaca, ricostruzioni storiche che alle consultazioni delle carte d'archivio uniscono i racconti raccolti dalla viva voce delle persone, cartoline di un'epoca: la festa del Sacro Rosario «che non è la festa patronale» e «come si sia giunti poi a chiamare "festa di Lecco" nessuno sa»; i Natali e le Pasque di un tempo; le chiese e le croci e le cappellette, il "canton di ball", le battaglie e le polemiche politiche; «I consiglieri comunali, usciti freschi freschi dalle urne, avevano ancora in corso tutto l'ardore della battaglia elettorale, quella sera del dicembre 1889 in cui decisero di muover guerra alla Congregazione di Carità». E i sindaci, i giornali, i "personaggi": Manzoni, Ghislanzoni, Agudio, Bovara, Stoppani, ma anche "l'ultimo dei polentatt" di quella sorta d'epopea lecchese della polenta con i pesci e il merluzzo fritto: è l'Angelo Marni che «riceve i suoi intervistatori in tenuta - come dice lui - da polenta con accanto il fido cane (...) e, raccontando, sa darsi, il Marni, arie da giovinotto e rizza la testa con tanta fierezza da far dimenticare i suoi sessantanove anni prossimi a suonare».
Di Pozzoli, Gilardi scriveva: «Apparteneva egli alla nobile e spesso misconosciuta schiera degli scrittori che conoscon bene i loro limiti e non esagerano mai, quand'anche ne abbiano tutti i diritti, i loro meriti. (...) Egli si era volto, per naturale impulso dell'animo suo, alla rievocazione delle cose passate, alla ricerca assidua di ogni elemento che valesse a raffigurare un po' il piccolo mondo lecchese ormai tramontato. (...) S'era fatto giornalista in un batter d'occhio e di quest'arte aveva l'intuito, la scaltrezza, la genialità. Mantenne inalterati, però, la modestia e il candore dello studioso provinciale e quel suo modo, francescano, di concepire ed attuare la vita come missione di bene ed oggetto di bontà».
Scrittore provinciale, dunque. Eppure «non c'è, in Lombardia, in quegli anni, uno scrittore locale o di cose locali che abbia il suo respiro, il suo garbo, la sua vivacità, il suo fascino»: così Aroldo Benini e Gianfranco Scotti nella serata commemorativa in occasione del cinquantesimo della morte (il resoconto si trova nel primo numero del 1981 di "Archivi di Lecco"), nel corso della quale l'allora sindaco Giuseppe Resinelli di Pozzoli disse: «Nessuno come lui fu intimamente, profondamente lecchese: e confessava di aver voluto, quasi per scommessa riscoprire usi antichi, tradizioni, filastrocche, memorie della nostra città e del nostro territorio, per dimostrare che Lecco non era da meno di altri luoghi tanto giustamente attenti alla propria collocazione della storia con la S maiuscola».

Tra l'altro, è non facile incombenza lo scegliere un brano anziché un altro di questi "frammenti" così densi di memoria e memorie e così toccanti per linguaggio e parole, nonostante lo stile giornalistico sia quello di ormai cent'anni fa.
L'inizio della prima guerra mondiale, per esempio: «"L'è rivaa ‘l telegramm in municipi!" Non c'era più niente da sperare: la notizia era ufficiale e recideva tutti assieme i fili che ancora, dopo le notizie giunte da altre parti e sussurrate a mezza voce, tenevano legato il cuore di una mamma o di una sposa alla speranza che non fosse vero, che si trattasse di un altro nome, che, almeno, quel povero ragazzo fosse soltanto ferito, magari ferito grave, ma, o Madonna, non morto! Il Ronchi - per via del suo posto allo Stato Civile, e poi anche perché conosceva tutta Lecco - aveva l'incarico di comunicare il telegramma alla famiglia, e doveva, tutte le volte, trovare le parole adatte, scegliere il momento giusto, e cercare il parente più lontano, che avesse l'animo d'andare in casa a dire alle donne: "Vostro figlio, il vostro uomo è morto". (...) Il primo telegramma giunse in municipio il 3 luglio 1915 per annunciare la morte di Carletto Longhi (...) caduto alle 14 del 12 giugno, colpito mortalmente alla testa durante la conquista di una postazione sul monte Cucco, ed era spirato invocando la mamma ed il papà suo. (...) Al Longhi seguì l'Alberto Grassi, morto per malattia il 25 giugno, nell'ospedale di S. Giovanni di Manzano, anelando ai monti che lo avevano visto ardimentoso, sfidare ogni pericolo». Per inciso, si tratta di quell'Alberto Grassi al quale è intitolato il rifugio alle falde del Pizzo dei Tre Signori e di proprietà della Sel, della quale era socio.
Accanto alla "storia grande", le storie minori; «Il Busàll aveva piantato (...) la sua edicola alla riuva del lago, davanti al portone dell'Albergo Italia ed il... distaccamento in stazione l'aveva fin da quando - circa cinquant'anni fa - la stazione di lecco era ancora una casotta di legno. Il Busàll faceva anche servizio con le barche (...) e si faceva aiutare da suo figlio Pietro - el Busàlin - e da sua nuora Ercolina. L'altro figlio del Busàll, Giovanni, faceva lo spedizioniere con recapito alle "due Torri". Tanto el Busàlin che suo fratello morirono presto e col 1° gennaio 1897, il Bsàll fu costretto - prima d'andare a morire nei Vecchioni - a cedere l'edicola e l'impresa delle barche al Bigio Riva; il quale, fin dall'anno prima, aveva comperata ad Oggiono, per 150 lire un'edicola di ferro e l'aveva piantata in piazza XX Settembre. (...) Nella nuova edicola, il Bigio - che aveva 18 anni - vendette il primo giornale, il 16 novembre 1896, al presidente del Tribunale d'allora, Benda».

E, nel settembre 1928, a proposito dei grandi temi che animavano le discussioni: «E già stato detto che i Piani Resinelli sono da considerarsi terreno perduto per gli jeratici custodi della solennità della montagna. Come se non bastassero quattro rifugi, un albergo e una diecina di villette (...) si è aperto quest'anno un negozio di generi alimentari e si sono preparati progetti per altre cinque case da costruirsi in primavera. Le lampade elettriche hanno sostituito nei rifugi il tremolante lume a petrolio (...) e dalla vetta del Resegone si possono, per le luci, contare nell'oscurità tutte le case che di giorno macchiano di bianco questi prati. Soltanto la chiesetta è ancora al buio; ma per poco; ché continuando di questo passo bisognerà piantare quassù una parrocchia. (...) Una teleferica privata, che porta a Laorca grandi fasci di legnam risale con tutto quello che occorre ai rifugi; ogni giorno salgono da Ballabio muli carichi di ogni ben di Dio; dall'Abbadia e da Mandello vengono i venditori di frutta. (...) Come dovrebbe esser fuori d'ambiente quassù quel signore noto sotto il nome di esattore. Ed invece -horresco refrens - ha voluto anch'egli la sua parte, ed ha fatto distribuire nei giorni del solleone le cartelle del cosiddetto valore localivo: cento, centocinquanta lire di tassa a gente che al piano ne paga molto di menp. Natuuralmente sono seguite le proteste dei proprietari di case» per via che a fronte della tassazione non vi sono servizi, e allora «ateci la teleferica o una strada comoda e pagheremo volentieri sia pure intendiamoci, con la dovuta moderazione». Teleferica o strada che «è il dilemma che quasi tutti metton fuori quando parliamo dei Piani Resinelli; e quasi tutti sono persuasi - anche chi rivedrebbe volentieri la Grignetta com'era vent'anni fa - che a questo bivio bisogna scegliere, se si vuole camminare innanzi».
A chiudere "Frammenti" anche alcune delle poesie dialettali che Pozzoli pubblicava sulla rivista "All'ombra del Resegone" nella rubrica intitolata "El Canton di Ball", alcune delle quali anche i lecchesi d'oggi hanno avuto modo d'ascoltare in qualche fortunata occasione. Come il "Magg in valada" (Vegnii soeu che visén a San Giuvann/ - se voeuref inciuchéf de puesìa/ a la matina prest, quand che i campann/ i sunen teoucc insemm l'Ave Maria) o la "Ghislanzoneide" (Eri apena tiraa l'ultim fiaa,/seri minga gnamò del teeutt secch/ quand che gh'era giamö ‘n Cumitàa/ per famm sou ‘n monüment in mezz Lecch; l'era amûr e dulûr e passion/ per la mort del pôr Togn Ghislanzon).
Dario Cercek
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