SCAFFALE LECCHESE/167: le biografie di Giovanni Mazzucconi, dal Lario a Woodlark

Woodlark è un’isola tra la Papua Nuova Guinea e l’arcipelago delle Salomone nell’Oceano Pacifico. Una piccola isola: solo 700 metri quadri di superficie. Più o meno come Minorca, per intenderci da quest’altra parte del mondo. Dirla sperduta non è un luogo comune. Un’isola nemmeno immaginabile, a metà dell’Ottocento. Magari da un sacerdote nato e cresciuto a Rancio e che ancora a 26 anni si era spinto tutt’al più in Svizzera. Eppure, proprio a Woodlark quel giovane prete avrebbe trovato la morte a soli 29 anni, dopo tre di missione, ucciso dalla popolazione locale. Si chiamava Giovanni Mazzucconi: venerato come martire, nel 1983 è stato beatificato da papa Giovanni Paolo II.


L'altare a Rancio dedicato al Beato

Proprio in occasione della beatificazione veniva pubblicato dall’Editrice missionaria italiana (Emi) “Mazzucconi di Woodlark. Un martire per il nostro tempo”, una biografia del sacerdote lecchese redatta da Piero Gheddo (1929-2017), anch’egli missionario oltre che giornalista e scrittore, nonché tra i fondatori proprio dell’Editrice missionaria; nel 2016 tracciava un bilancio della propria attività in un libro (“Inviato speciale ai confini della fede”) scritto con il giornalista lecchese Gerolamo Fazzini.
La biografia di Mazzucconi ha la prefazione dell’allora arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini che ricorda come il missionario di Rancio sia stato il primo beato ambrosiano dopo quasi quattro secoli (il precedente è nientemeno che Carlo Borromeo, beatificato nel 1602 e canonizzato nel 1610), sottolineandone inoltre la «radicalità evangelica: si era lasciato possedere totalmente da Cristo, tutta la sua breve vita è ritmata dalla gioia di donarsi in una missione dura e difficile». Considerazioni che possono apparire retoriche, ma v’è da ammettere che soltanto una fede sconfinata possa spiegare la scelta di un giovane che se ne va a vivere all’altro capo del mondo, appunto su un’isola sperduta fuori da ogni rotta, per evangelizzare popolazioni sconosciute. A metà del XIX secolo, quando l’altro capo del mondo era davvero ancora un altro mondo.


Alcuni oggetti appartenuti a Giovanni Mazzucconi

Prima del libro di Gheddo (che nel 1984 di Mazzucconi avrebbe pubblicato anche una più stringata biografia: “Missione in Oceania”, per le Edizioni Paoline), altri si erano occupati del sacerdote lecchese. Già nel 1857 (due anni dopo la morte o, meglio, un anno dopo che la notizia della morte era arrivata in Italia) il missionario Giacomo Scurati aveva stampato i “Cenni sul sacerdote Giovanni Mazzucconi” (perché «la morte edificante del missionario apostolico sacerdote Giovanni Mazzucconi» aveva destato la curiosità di saperne di più sulla sua vita), mentre nel 1955, nel centenario della morte, era uscito “Sangue su La Gazelle”, la biografia scritta da Carlo Suigo, pure missionario. Lo stesso Suigo, inoltre, nel 1965 aveva curato la pubblicazione degli scritti dello stesso Mazzucconi.
Giovanni Mazzucconi nasce nel 1826 in una famiglia benestante e religiosissima; è il nono di dodici figli, anche se tre muoiono infanti. Gli altri prendono quasi tutti i voti: quattro sorelle suore, due fratelli preti. Allo stato laicale rimangono solo il fratello Domenico che prende le redini della filanda di papà Giacomo e una sorella.
«Il Lecchese – scrive Gheddo - è sempre stato, e lo era certamente al tempo di Mazzucconi, una terra di forte tradizione cristiana, di profondo rispetto e amore alla Chiesa e ai sacerdoti (anche qui giunge l’anti-clericalismo, ma solo all’inizio del sec. XX), di vita parrocchiale intensa concretizzatasi nelle molte associazioni e confraternite, nelle scuole ed oratori cattolici, nella pietà popolare ricca di feste, di processioni, di novene. Ancor oggi, nonostante il generale movimento di scristianizzazione, la zona pastorale di Lecco è quella che, nella diocesi di Milano, dà più vocazioni maschili e femminili, in rapporto alla consistenza numerica della popolazione. Nel secolo scorso, la vita sociale del Lecchese era ritmata dalle manifestazioni pubbliche della fede, dalle funzioni religiose; il sacerdote, pur in tempi di rapide trasformazioni sociali, era ancora l’uomo di maggior saggezza e prestigio; il parroco, custode della tradizione e della moralità pubblica, paciere nelle liti di paese ed educatore della gioventù, era il personaggio che emergeva come padre e guida della comunità».



Dopo gli studi tradizionali, nel 1840 il quattordicenne Giovanni entra nel seminario di San Pietro Martire a Seveso (quello lecchese era stato chiuso proprio l’anno prima). Anche se nessuno ne parla, deve avere in qualche modo incrociato il futuro abate Antonio Stoppani, più anziano di due anni ma pure seminarista in quel periodo seguendo lo stesso percorso di studi: prima Seveso, poi Monza e infine Milano. Almeno per quattro anni. Stoppani e Mazzucconi dovrebbero essere stati compagni. Anche nel 1848, quando Stoppani viene ordinato sacerdote, ma anche quando scoppiano le insurrezioni antiaustriache e Milano dà vita alle famose Cinque Giornate. Alle quali partecipano pure i seminaristi.
«Anche il seminario teologico è in fermento – ricorda Gheddo -: per i primi tre giorni, i chierici si dividono in squadre col compito di assistere i profughi e i malati, portando vettovaglie e acqua e medicine. Mazzucconi è tra i più attivi, ma al terzo giorno se ne torna in famiglia a Rancio».
Le biografie di Stoppani ci riportano l’episodio dei palloncini aerostatici ideati dal futuro abate per inviare messaggi fuori Milano. Da parte sua, Gheddo ci racconta di Carlo Salerio, compagno di studi di Mazzucconi e destinato a diventare il padre superiore del gruppo di missionari diretti in Oceania, che sale sulle barricate e come altri si arruola per la prima guerra di indipendenza. Mazzucconi invece si ritira: «A prima vista, un giovane così ci delude. Ma Giovanni è fatto così: fin che si arriva a curare i feriti, e di aiutare i senza tetto, di portare acqua e viveri, egli si impegna con tutti gli altri senza badare a fatiche. Ma quando bisogna costruire barricate e combattere contro gli austriaci, quando il seminario chiude per lasciare i chierici liberi di fare in coscienza la propria scelta, Giovanni torna alla casa paterna e si rimette a studiare. In questa scelta (…) sta la personalità di Mazzucconi, diversa dal comune. Egli non soffre di complessi, non ha paura di sentirsi dare del “vigliacco” (può darsi che qualcuno l’abbia anche fatto!): quel che pensa di dover fare secondo la sua coscienza, lo fa con la massima serenità di spirito, senza condannare gli altri che la pensano diversamente, ma anche senza lasciarsi intruppare nel generale entusiasmo patriottico».



Anni cruciali politicamente, ma anche anni determinanti sul versante missionario e nel determinare le scelte di Mazzucconi, ordinato sacerdote il 25 maggio1850. Che è anche l’anno in cui sorge quello che poi sarà il Pime (Pontificio istituto missioni estere): è il primo istituto missionario italiano e viene istituito proprio nella diocesi di Milano. Parte come Seminario per le Estere Missioni su iniziativa di monsignor Angelo Ramazzotti che mette a disposizione anche lo stabile di proprietà a Saronno. Il nuovo istituto viene aperto il 31 giugno 1850 e a celebrare la messa inaugurale è proprio Giovanni Mazzucconi. E’ da tempo infatti che il lecchese pensa di diventare missionario.
Gheddo parla di un incontro quasi profetico, quando nel 1847 era venuto a parlare ai seminaristi milanesi monsignor Orazio Bettacchini, vicario apostolico a Ceylon: «circondato da alunni avidi di sentir parlare della sua missione (…) erano circa 70 (…) gira lo sguardo e lo ferma su Mazzucconi, lo fissa in viso, poi, interrompendo il suo discorso e additandolo dice: “lei andrà nelle Missioni”», ci racconta degli incoraggiamenti di monsignor Ramazzotti, della richiesta di ammissione al Pime inoltrata cinque giorni prima dell’ordinazione sacerdotale: «Le missioni sono il segreto desiderio del mio cuore già da alcuni anni».
«La sua vocazione – scrive Gheddo - ha due radici ben chiare: primo, le preghiere “per i poveri infedeli” recitate fin dall’infanzia; secondo, le letture di libri di viaggi e d’avventura, sui quali la fantasia del piccolo Giovanni cavalcava liberamente, e più tardi, già in seminario, degli “Annali della Propagazione delle Fede” » che « riportavano quasi solo lettere di missionari francesi ed ebbero grande importanza, per tutto il secolo XIX, nel suscitare vocazioni missionarie e favorire la cooperazione alle missioni».
Del resto l’Ottocento è un periodo di ripresa dello slancio missionario dopo un periodo di stanca.



«Al tempo di Mazzucconi, il missionario era inteso come il factotum della missione; faceva tutto lui perché era spesso l’unico cristiano, con i suoi compagni d’avventura, ad essere presente in un determinato territorio. L’immagine del missionario era quella di un buon sacerdote, di robusta salute e grande entusiasmo nella fede, coraggioso e generoso fino all’eccesso ma senza alcuna preparazione specifica: bastava un po’ di studio dell’inglese (o di altre lingue europee a seconda dell’area di colonizzazione in cui si andava), qualche conoscenza di medicina e poi l’abilità di fare un po’ tutto: falegname, meccanico, agricoltore, muratore, architetto, idraulico, sarto, ecc.». Inizialmente, al Pime ci sono solo quattro sacerdoti, poi il numero cresce. Mazzucconi è quindi tra i primissimi, collabora a stendere le regole del nuovo organismo e sua è anche la preghiera della partenza scritta nel 1851 e «che ancora oggi viene recitata dai missionari del Pime prima di lasciare l’Italia».
Nel 1852, la partenza per la Papua alla vista della quale «mi venne in mente – scriveva in una lettera lo stesso Mazzucconi – quel giorno che, col Michele, io la rimirava quest’isola immensa sul Mappamondo e discorrevamo insieme come ella poteva divenire un bel campo pei missionari cattolici, ma allora pareva una cosa lontana lontana». «Ancora oggi – scrive Gheddo nel 1983 - è, come dice l’Enciclopedia Britannica, “the last unknown”, cioè : “’ultimo sconosciuto” punto del pianeta terra (…) E’ anche il paese che ha conservato flora e fauna della preistoria e popolazioni fra le più arretrate della terra (…) con popoli che vivono ancora in parte nella preistoria». Immaginiamoci la situazione a metà dell’Ottocento. La meta di Mazzucconi e degli altri missionari che partono con lui sono le isole di Woodlark e di Rook. Precedentemente, tra 1847 e 1848, c’erano già stati tentativi di avviare missioni su quelle isole da parte di padri maristi francesi. Che passano il testimone proprio agli italiani.



Il viaggio dall’Italia dura mesi. Comincia il 16 marzo e per Mazzucconi si conclude il 23 ottobre quando arriva sull’isoletta di Rook. Scrive egli stesso: «Ad un’ora pomeridiana (…) gettammo l’ancora, terminando così un viaggio, che un po’ qui, un po’ là, aveva continuato quasi otto mesi, benché poi tutta la vita del missionario ed anche degli altri uomini, non è che un viaggio». I missionari sono gli unici occidentali, soli con una popolazione sconosciuta e diffidente che poco comprende quelle strane figure arrivate fin laggiù per chissà che motivo. L’unico contatto con il resto del mondo e una nave che passa da Rook una volta all’anno.
«I rapporti con gli indigeni non sono facili e «anche gli sforzi per elevare umanamente quelle popolazioni non avevano successo – dice Gheddo -. I missionari si preoccuparono di preparare il terreno per campi che coltivarono con sementi portate dall’Australia: mais, aranci, pomodori, carote, vite, ecc. Non riuscirono mai a convincere gli indigeni, anche facendo gustare loro quei prodotti di un’agricoltura più evoluta, a coltivare la terra con un minimo di razionalità. Così come furono inutili gli sforzi di insegnar loro a cucire, a purificare l’acqua stagnante, a curare minimi principi d’igiene» e così i missionari rimandano anche l’evangelizzazione.
Scrive Mazzuccconi: «Non abbiamo ancora creduto opportuno di spiegare formalmente il catechismo e ci siamo finora limitati a tentare con le conversazioni per sprigionare quelle povere menti dai loro errori antichi e radicati e per comunicar loro almeno quelle idee generali che possono servire di base al dogma e alla morale; ma purtroppo sono lontani dalla luce, lontani assai».
Mazzucconi si ammala di malaria, deperisce. nel gennaio 1855 è quasi in fin di vita. E’ il mese in cui passa l’unica nave che una volta all’anno tocca l’isola di Rook, Mazzucconi si imbarca, il 19 aprile è a Sidney, in quattro mesi si rimette in salute ed è pronto a ripartire per Woodlark e Rookl, ma intanto tutti i missionari hanno già lasciato le due isole e stanno tornando a Sidney: vi arrivano il 23 agosto 1855, senza riuscire a incontrare Mazzucconi, ripartito il 18 agosto per tornare su isole ormai abbandonate dagli stessi missionari e dove non ci sono più bianchi.


Nel settembre 1855, a bordo della “Gazelle”, arriva in vista dell’isola di Woodlark l’appuntamento con il destino. Gli abitanti dell’isola sono più aggressivi di quelli di Rook, sentono la penetrazione del bianco come una minaccia e sono decisi a contrastarla con tutti i mezzi, anche uccidendo gli ospiti indesiderati. Prima di arrivare all’isola, la “Gazelle” si incaglia: «Cioè, [Mazzucconi] è stato ucciso ancora prima di sbarcare a Woodlark – sottolinea il biografo -. E’ un fatto importante per capire la meccanica del martirio e la decisione già presa dagli indigeni di uccidere qualunque missionario fosse tornato nell’isola. Non si sa di preciso in che giorno “La Gazelle” giunse in vista di Woodlark e si incagliò suoi coralli di Rue: probabilmente in uno dei primi giorni di settembre. A Sydney però nessuno ne seppe nulla, tutti pensavano che Mazzucconi, non trovando più i suoi confratelli, sarebbe tornato anche lui a Sydney»
Il 14 aprile 1856 padre Giovanni Timoleone Raimondi parte con “La Favorite” per Woodlark dove arriva il 4 maggio scoprendo quanto accaduto per bocca di un indigeno («Furono tutti uccisi»). Nel 1857, Scurati la raccontava così: «Il 17 agosto [Mazzucconi] s’abbandona a una navigazione che noi non conosciamo. (…) Passati più mesi e non ricomprando la goletta, cominciano le ansietà, e appena s’aprì la stagione propizia alla navigazione, il 14 aprile 1856, una nave muove alla ricerca. Alle due pomeridiane del 4 maggio, il capitano grida “brik Gazelle! brik Gazelle!”. Essa stava, cogli alberi rotti, riversata sui coralli che circondano Woodlark, contro cui aveva naufragato. Ma così vicino a terra, non avrebbe potuto salvarsi lui, il capitano e tutto l’equipaggio? Certo se avessero dovuto sfuggire solo al mare, ma ebbero a che fare con gente senza gratitudine, senza umanità, e Mazzucconi fu ucciso col capitano e coll’equipaggio. (…) Allorché fu dato il segnale da [un indigeno] che alzando la sua grossa scure con un sol colpo abbattè morto a terra il povero Mazzucconi. (…) I corpi furono gettati in mare». Più avanti, riflettendo, padre Scurati parla delle misere condizioni degli indigeni e invita a non giudicare perché «se il Signore non avesse versate copiose benedizioni su noi, non ci avesse assistiti con una particolare provvidenza, forse ci saremmo tenuti al di qua del loro limite, ma forse avremmo fatto e faremmo quel che fanno essi, e forse ancora li avremmo superati». Oggi sappiamo che, nonostante le «copiose benedizioni» spesso li abbiamo davvero superati.
«Dal momento del martirio di Giovanni Mazzucconi (settembre 1855) a quando la notizia della sua morte giunge in Italia passa un anno. Subito a Milano si scrivono articoli sui giornali e i missionari del Pime pubblicano un opuscolo intitolato: “Relazione sulla morte del Missionario Apostolico don Giovanni Mazzucconi”. (…) Era il primo missionario italiano che moriva martire in quell’epoca in cui stava dilagando l’ideale missionario. (…) P. Tragella scrive che l’annunzio della morte di Mazzucconi fu “davvero singolare, irrorato di tenere lacrime e illuminato da una incontenibile gioia, perché tutti avevano la certezza che il nuovo Seminario delle missioni avesse ora un Martire in cielo, il suo primo Martire, degnissimo di stare accanto al marista Pietro Chanel, ucciso quattordici anni prima”».


Il cippo con il refuso

Al beato Mazzucconi, nel 1984 è dedicato un altare nel piccolo santuario di Santa Maria Gloriosa a Rancio: ai lati della pala dipinta da Angelo Sesti, alcuni ex voto sono testimonianza di una devozione ancora viva. Nel vicino cimitero, a ricordare il missionario è un cippo con un refuso sfuggito all’incisore - "pussimo" anzichè "purissimo" - e che potrebbe essere corretto.
Nel suo libro, infine, padre Gheddo non tralascia le discussioni (e polemiche) sul “valore” delle missioni di evangelizzazione, oggi forse sopite ma negli anni Ottanta del secolo scorso molto animate, anche in seno al mondo cattolico. Che richiederebbero tante altre righe.



PER RILEGGERE LE PUNTATE PRECEDENTI DELLA RUBRICA CLICCA QUI
Dario Cercek
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.