Lecco ricorda tre 'martiri della porta accanto': pietre d'inciampo per Minonzio, Frigerio e Colombo, testimoni della democrazia

In occasione della Giornata della memoria dedicata alla Shoah e ai deportati nei campi di sterminio nazisti, sono state posate in tre punti della città altrettante pietre d’inciampo a ricordare i lecchesi fucilati dai nazifascisti il 12 luglio 1944 a Fossoli dove erano stati deportati per la loro attività contro l’occupazione tedesca e il nazifascismo. 
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La pietra d'inciampo in ricordo di Franco Minonzio a Castello
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Si tratta di Franco Minonzio, 33 anni, impiegato alla Badoni, membro del Cln e dal marzo 1944 responsabile del Comitato sindacale clandestino; abitava a Castello nella via ora intitolata a monsignor Moneta.
Di Antonio Colombo, 40 anni, commerciante, punto di riferimento per gli sbandati che arrivavano in città e che prendevano la via dei monti nonché membro anche della rete per l’espatrio di prigionieri ed ebrei; nella sua casa di via Digione si tennero le prime riunione del Cln. Di Luigi Frigerio, 43 anni, trafiliere alla Badoni e responsabile sindacale del Partito democratico cristiano, anch’egli partecipe del giro per gli espatri in Svizzera; abitava a Malavedo. Tutti e tre vennero arrestati il 19 maggio 1944 nel corso di una grande retata che sostanzialmente smantellò la rete della cospirazione antifascista in città e inviati a Fossoli il 29 giugno.

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Assieme a loro, nello stesso eccidio, venne fucilato a Fossoli anche Lino Ciceri, acquatese di 21 anni, pure operaio alla Badoni: dopo l’8 settembre fu tra i primi a entrare nel gruppo partigiano dei Piani d’Erna; era stato arrestato il 23 febbraio e aveva preceduto di un paio di mesi a Fossoli i suoi compagni di destino: vi era infatti arrivato il 27 aprile.
A ricordare Lino Ciceri e il padre Pietro (52 anni, deportato dopo gli scioperi del 7 marzo 1944 e morto a Mauthausen) già nel 2019 era stata posata una pietra di inciampo all’esterno della loro abitazione in via Resegone ad Acquate.
I quattro lecchesi vennero uccisi assieme ad altri 63 detenuti nel campo di concentramento emiliano, in una esecuzione di massa decisa dal comando tedesco per motivi ancora oggi non chiariti, un episodio peraltro avvolto a lungo da una coltre di silenzio.
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La pietra d'inciampo per Luigi Frigerio a Malavedo
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La toponomastica cittadina ha intitolato una via ai Caduti lecchesi a Fossoli e nel luglio 2017 il Comune e l’Anpi hanno posato una targa per ricordare la vicenda e che rientra in quel “percorso della memoria” realizzato in questi anni in città.
Le pietre di inciampo, come si ricorderà, sono un progetto artistico promosso dall’artista tedesco Gunter Demnig e avviato ormai una trentina di anni fa che prevede la posa di queste pietre dorate all’esterno delle case dove abitavano quei deportati che dai campi di concentramento nazisti non avevano fatto ritorno. In occasione della Giornata della memoria di quest’anno, l’Aned (Associazione dei deportati e dei loro famigliari) e la Fondazione Fossoli che si occupa di mantenere la memoria sul campo di concentramento nei pressi di Carpi in provincia di Modena, hanno deciso appunto di commemorare i 67 uccisi nella fucilazione del 12 luglio 1944 proprio con la posa di pietre di inciampo.
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Momenti della cerimonia in via Digione
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Nella giornata di oggi – sabato 25 febbraio – si è proceduto quindi alla posa in memoria di Minonzio, Frigerio e Colombo, nel corso di una cerimonia articolata in diversi momenti tra la via Moneta a Castello, il corso San Michele del Carso a Malavedo e la via Digione nel centro cittadino.
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Mauro Gattinoni. Sotto un momento della conferenza di ieri
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Un pellegrinaggio civile per rendere onore ai martiri della porta accanto e a testimoni della democrazia, come ha detto il sindaco Mauro Gattinoni nell’orazione ufficiale che ha aperto la mattinata. Ricordando come occorra restare in guardia perché quegli episodi non sono stati consegnati per sempre alla storia, ma quanto sta accadendo oggi nel mondo ci riporta a momenti bui e allora il nostro dovere è quello di «monitorare i processi» e cioè prestare attenzione all’involuzione del quadro politico perché si consideri il nazismo non come una passeggera catastrofe naturale o il frutto della mente di un pazzo bensì come conseguenza di un lungo processo sviluppatosi nel tempo. Dunque prestare attenzione al deterioramento delle istituzioni democratiche, all’esasperazione della burocrazia, alla produzione di leggi ingiuste applaudite come conquiste civili, alla limitazione della libertà di espressione, alla diffusione di false verità, alla propaganda di massa martellante oggi particolarmente raffinata e che induce a credere che solo indifferenza e odio siano le risposte ai problemi di oggi, alla sovrapposizione tra interessi privati e pubblici. Attenzione ai segnali, dunque, perché l’esito estremo è la disumanità. E allora «dobbiamo smontare in prima persona questo meccanismo, senza aspettare che siano gli altri a farlo, perché gli altri siamo noi».
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Enrico Avagnina. Sotto Eleonora Plos
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Il presidente provinciale dell’Anpi lecchese, Enrico Avagnina, ha sottolineato come spesso si guardi a certi eventi come a vicende accadute lontano e invece no, invece sono accadute anche qui. Delle pietre di inciampo ha detto che non sono monumenti di grande visibilità: «Rappresentano un vuoto che il passante deve riempire. E’ un momento di memoria per i quartieri della città. E, parlando nel cortile dove un tempo aveva abitato Minonzio, Avagnina ha ricordato il percorso che questi faceva per andare dalla sua casa all’ufficio alla Badoni. Ed è un vero e proprio percorso della memoria - ha spiegato – lungo il quale si incontro le targhe che ricordano lo sciopero del 7 marzo 1944, in occasione del quale 26 operai lecchesi vennero arrestati e deportati. Tra loro appunto Pietro Ciceri, ma anche Emma Casati alla quale pure è stata dedicata una pietra di inciampo inaugurata nel maggio dello scorso anno a Varigione. Ciceri e Casati furono tra i 19 operai che non tornarono a casa. E quel percorso fino alla Badoni prosegue fino a largo Montenero dove, davanti al liceo, sorge il monumento alla Resistenza e la targa che ricorda don Giovanni Ticozzi che fu preside del liceo classico, amico di Franco Minonzio e anch’egli arrestato nell’autunno 1944.
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Dario Biagini
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E’ poi intervenuto Dario Biagini della Fondazione Fossoli che ha ricordato come la fucilazione del 12 luglio 1944 sia centrale per “comprendere” il campo di concentramento «perché c’è ancora bisogno di porsi domande difficili su una storiua scomoda che rappresenta una bussola morale».
Da parte sua, Eleonora Plos dell’Aned ha detto come con il progetto delle pietre di inciampo si affidi la cura della storia ai cittadini.
Ha concluso la viceprefetta Paola Cavalcanti ricordando come tutti siamo «sentinelle della democrazia».
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Alla cerimonia sono intervenuti anche gli alunni della scuola media “Ticozzi” di San Giovanni che hanno presentato la biografia dei tre martiri, letto alcuni brani e offerto anche proprie riflessioni. L’accompagnamento musicale è stato affidato agli stessi ragazzi della “Ticozzi” e ai musicisti Pilly Cossa, Ranieri Fumagalli e Carlo Redi.

La cerimonia della posa è stata preceduta, venerdì, da un incontro a Palazzo delle paure con le relazioni storiche di Carla Bianchi Iacono, già ricercatrice dell'Università Statale di Milano e presidente dell'Associazione famigliari dei Caduti di Fossoli, Elonora Plos di Aned, Angelo De Battista dell'Anpi lecchese d Franco Minonzio, docente ed editore-òlibraio ma nipote del Franco Minonzio fucilato a Fossoli.
Il programma della Giornata della memoria in città prosegue domani - domenica 26 gennaio alle ore 20,30 - alla Sala Ticozzi con la rappresentazione teatrale "Viaggio ad Auschwitz a/r" promossa in collaborazione con Teatro Invito. In scena, la compagnia "Il Melarancio". Ingresso libero.
D.C.
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