Lecco: morta ad Auschwitz, Emma Casati torna a casa. Posata la pietra d'inciampo

«Ti abbiamo riportato a casa». Una pietra di inciampo, quella posata all’ingresso del numero 17 di via Gramsci nel rione lecchese di San Giovanni, che vuole essere in qualche modo simbolo di quel ritorno che non c’è mai stato dai campi di concentramento nazisti.
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Emma Casati era un’operaia alla Rocco Bonaiti di Castello e partecipò allo sciopero del 7 marzo 1944 e fu tra i 26 deportati lecchesi ma anche di quei 19 che non ritornarono. Arrestata a Lecco, trasferita con gli altri a Como e poi a Bergamo fu poi portata a Mauthausen e quindi ad Auschwitz e lì scomparve. L’ultima traccia che rimane di lei è un documento firmato dal famigerato dottor Josef Mengele che ne certificava il ricovero in infermerie per febbre tifoidea. Mentre le sue colleghe della Bonaiti vennero trasferite a Ravensbruck e a Flossenburg per il lavoro coatto nelle fabbriche tedesche, Emma Casti rimase ad Auschwitz. Morta di tifo o finita in una camera a gas perché ormai inabile al lavoro, non ci è dato sapere. 
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Nella primavera di quest’anno, alcune studentesse del liceo “Bertacchi” di Lecco e dell’istituto “Greppi” di Monticello hanno partecipato a un viaggio a Mauthausen, un viaggio che simbolicamente ha voluto essere un ripercorrere la strada di Emma Casati, raccoglierne la memoria e quei resti dispersi nel vento per riportarli a casa. E la posa della pietra di inciampo ha suggellato questa restituzione.
Questa mattina – sabato 18 maggio – si è quindi tenuta la cerimonia per la posa della pietra con l’intervento del sindaco Mauro Gattinoni e di Dario Pirovano per l’Associazione Pio Galli; Patrizia Milani, presidente cittadina dell’Anpi; Elisabetta Ruffini dell’Istituto storico della Resistenza di Bergamo e delle stesse studentesse del viaggio della memoria che a Emma Casati hanno virtualmente inviato alcune lettere che sono state lette durante l’incontro di stamattina e raccolte in un opuscolo.
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Mauro Gattinoni

Nel suo intervento, il sindaco Gattinoni è partito addirittura dall’abate e geologo Antonio Stoppani che per i sentieri delle Grigne andava raccogliendo sassi attraverso i quali rileggere la storia. «Le pietre d’inciampo – ha spiegato il primo cittadino – sono dunque come quei sassi, pietre posate sulle strade comuni, le strade che tutti percorriamo e che anche Emma ha percorso, occasione per rileggere la storia attraverso i sassi, per rinsaldare il nostro impegno di oggi. La mappa di queste pietre dorate che quindi luccicano sono come le stelle che i navigatori seguivano un tempo per non perdere la rotta. Queste pietre scintillanti servono dunque a tutti noi per non perdere la rotta, per guidarci nelle nostre scelte politiche».
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Al microfono Patrizia Milani

«Questa pietra – ha quindi proseguito la presidente dell’Anpi, Milani – è un segno di quanto accaduto tanti anni fa. Spero che gli abitanti di questa località ne abbiano cura. E’ una pietra che ricorda una donna semplice che ha fatto una scelta di disobbedienza che era una sfida al nazifascismo, una sfida incredibile, una sfida unica in tutta l’Europa. E ha pagato caramente la sua scelta. E’ quindi importante lasciare tracce di memoria come le pietre di inciampo o le altre targhe posizionate in questi anni sui luoghi della Resistenza. Non ci sono più coloro che hanno vissuto quel periodo e che ne rendevano testimonianza. Bisogna quindi lasciare dei segni.
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Elisabetta Ruffini

Infine è intervenuta Elisabetta Ruffini in rappresentanza dell’Istituto storico bergamasco perché Emma Casati – nel suo viaggio della morte verso Aushwitz – è passata anche da Bergamo, dove in un paio di caserme erano stati inizialmente ammassati i prigionieri degli scioperi del marzo 1944 rastrellati anche in altre località lombarde prima di essere inviate verso Bolzano, il Brennero e la “notte e nebbia” dei campi di concentramento e di sterminio.
La pietra di inciampo di via Gramsci fa parte di quel grande progetto artistico promosso dall’artista tedesco Gunter Demnig negli anni Novanta del secolo scorso proprio per realizzare antimonumenti alla memoria dei deportati non più ritornati.
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Dario Pirovano

Quando venne pensata la targa per Emma Casati – ha spiegato Dario Pirovano - ancora non si sapeva dove l’operaia della “Rocco Bonaiti” abitasse. E infatti si era inizialmente pensato di posare la pietra dove sorgeva l’ormai scomparsa fabbrica che è poi il terreno sul quale è stato edificato proprio il liceo “Bertacchi” frequentato da alcune delle studentesse partecipanti al progetto.
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La casa dove viveva

Avviato il quale e già commissionata a Demnig la realizzazione della pietra, si è risalite alla casa in cui Emma abitava, appunto in quella vecchia casa con una corte affacciata su una stradicciuola che all’indomani della Liberazione sarebbe stata intitolata ad Antonio Gramsci. Ecco perché, nella pietra posata questa mattina c’è inciso, tra le altre notizie, che Emma Casati «qui lavorava».
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Ha detto Pirovano: «Abbiamo deciso di posarla comunque davanti alla sua abitazione. Ora pensiamo di realizzare un’altra pietra “corretta” che la sostituisca. E questa posizionarla appunto al “Bertacchi”».
D.C. 

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