SCAFFALE LECCHESE/205: le guide - inventario pubblicate da Villani
Nato nel 1874 e morto nel 1965, dunque una vita discretamente lunga, Ariberto Villani fu un maestro elementare di origini emiliane, giunto giovanissimo a Lecco e innamoratosi «di questa terra che descrisse con una vena inesausta in almeno due belle guide turistiche - come leggiamo sul Dizionario illustrato della provincia - Uso al sigaro toscano, commentò negli ultimi anni della sua vita episodi e fatti relativi al Manzoni e al suo romanzo, con particolare riguardo agli avvenimenti lecchesi. (…) Collaboratore di “Paesi manzoniani” e poi di “Lecco” e quindi distribuì le sue collaborazioni tra la non variopinta stampa locale del secondo dopoguerra. A lui si deve l’iniziativa di raccogliere numerose edizioni straniere del romanzo manzoniano» conservate oggi a Villa Manzoni.
Delle due guide turistiche la prima uscì nel 1928 dalla Tipografia Fratelli Grassi anche se l’iniziativa fu della Società Escursionisti Lecchesi che l’anno seguente avrebbe celebrato i propri trent’anni di fondazione. Si trattava della “Guida illustrata – turistica e descrittiva – di Lecco e dei paesi finitimi”.
Ce ne dà conto Fermo Magni (1874-1935), egli pure docente e poi dirigente scolastico, sindaco di Introbio e poi podestà di Primaluna, a sua volta autore di una “mitica” Guida illustrata della Valsassina uscita nel 1904 e riaggiornata nel 1926. Lo stesso Villani, infatti, chiese alcune parole di introduzione alla propria guida proprio a Magni. Il quale, appunto, scrisse non senza una venatura polemica: «Dal lavoro di Ariberto Villani, salta fuori evidentissima una verità che forse pochi avevano fin qui rilevato, ma che ad ogni modo giova mettere in evidenza: Lecco è ora al centro di una vastissima zona: la facilità delle comunicazioni, la posizione geografica, l'attività della sua popolazione ne hanno fatto il vero capoluogo; le suddivisioni, gli artifici amministrativi, le deficienze di chi non ha saputo ancora dare alla città i caratteri di grande città, potranno ritardare, ma non impedire l'ascensione sicura di questa borgata che raccoglie in sé tutto il fervore di opere della Valtellina, del Lario, delle valli che gli sono tributarie a destra ed a sinistra, della Brianza, di buona parte delle terre limitrofe del Bergamasco. Poco importa se i Lecchesi sono ancora obbligati a cercare gli uffici, le scuole altrove, poco importa se i Lecchesi non hanno ancora pensato che essi non solo devono trarre profitto dall'affluire delle popolazioni alla loro città, ma che devono anche fornire a queste popolazioni i comodi e le istituzioni che loro occorrono; scomparirà colla coscienza della loro grandezza il meschino egoismo che impedì finora la visione esatta dell'importanza e dei doveri che derivano al capoluogo e Lecco raggiungerà quella opulenza che è nei suoi destini.(...) Che Lecco è città nuova e che compiono opera vana quelli che tentano di nobilitarne i magnanimi lombi frugando nelle più strane etimologie e nelle più fantastiche leggende. (…) La nobiltà di Lecco deriva da ben altre fonti, da ben altre forze che non siano l'antichità, i celti, i greci; la nobiltà di Lecco deriva dal lavoro, dalla operosità dei suoi abitanti, dalla storia degli ultimi cento anni che ne hanno fatto un centro di primo ordine. (…) Ora Lecco è una città che ha un grande avvenire. Ora incomincia la storia di Lecco.»
Non è certo il caso di seguire Villani passo passo nella sua lunga escursione, spulciando un po’ qui e un po’ là in maniera del tutto superficiale, senza però rendere l’idea di quanto possa essere intrigante mettersi a bighellonare con questa guida fra le mani, anche solo per il gusto di scoprire i cambiamenti del paesaggio. La difficoltà è un’altra e cioè che il libro è praticamente introvabile. Se non lo si recupera su qualche bancarella, ci si dovrà affidare alle copie che le biblioteche conservano gelosamente.
Qualche chicca, però, va pur concessa. Per esempio la descrizione di quella che ancora nella prima metà del Novecento, nonostante ormai la grande manifattura abbia scelto sedi a ridosso della linea ferroviaria, continua a rappresentare una sorta di grande unica fucina, l’antica spina dorsale dell’industria lecchese.
Avrete capito, «siamo nel territorio delle Ferriere – scrive Villani - così chiamato per le innumerevoli officine e gli importanti stabilimenti che fiancheggiano la strada e tutta la Valle del Gerenzone. Un canale di derivazione del Gerenzone stesso, la Fiumicella, a sinistra della vecchia provinciale, viene utilizzata come forza motrice e scorre, giallastra, spesso nascondendosi e gettandosi, di poi, nel lago, alla Malpensata. Il maglio “domator del ferro” riempie del suo ritmo cadenzato ed assordante tutta la valle industre, ove si compie un lavoro diuturno e snervante. Castello, S. Giovanni, Malavedo, Laorca, allineati sulla strada, e in parte sulla ruotabile di Arlenico, al di qua e al di là del torrente, respirano quest'atmosfera febbrile di ininterrotta attività, fonte di perenne ricchezza, mirabile esempio di instancabile fervore. Acciaierie, ferriere, trafilerie, magli, fabbriche di fibbie e di catene, di reti e tele metalliche, di minuterie, di broccami, di morse, di attrezzi rurali, di molle da letto, di coppiglie e serramenti in genere ecc., senza contare le fabbriche di cartucce, le filande, le fonderie, le cartiere, la lavorazione dei velluti e la torcitura del cotone, rendono questa valle, coi reparti finitimi, una delle più importanti della regione lombarda.»
Poi, risalendo la vallata si raggiunge Ballabio con «le montagne bucate dalle miniere con i «lavori per la ricerca di questi minerali, ripresi ed abbandonati» e «tuttora sospesi». Testimonianza di come ancora negli anni Venti l’attività estrattiva che aveva caratterizzato per secoli l’economia valsassinese e alimentato le fucine del Gerenzone, non era stata ancora del tutto abbandonata. Siamo dunque verso i Piani Resinelli dove si sa che l’ultimo impianto ha funzionato tra alti e bassi fino al 1958.
A proposito di Piani Resinelli, nel 1928 la strada carrozzabile non esisteva ancora. Sarebbe stata realizzata di lì a poco e infatti già se ne parlava. Accompagnandoci verso la Val Calolden, Villani scrive: «Dalla piazzetta della chiesa di Laorca, dopo aver percorso il primo tratto del sentiero che seguono gli alpinisti per recarsi ai Piani Resinelli, ed ammirata la teleferica Gerosa che, da questi, per tutta la valle, giunge al Ponte della Gallina. Si discorre di una filovia per il trasporto di passeggeri da Laorca agli stessi Piani Resinelli, a somiglianza di quella che unisce Torre de' Busi a Valcava. Si parla pure di una strada in partenza da Ballabio. L'idea è luminosa e, se attuata, poterebbe innegabili benefici.»
E poi la Brianza e naturalmente Montevecchia che «vanta le sue pregiate “robiole” saporitissime e ricercate». E il lago fino alla prima Valtellina. E le valli compresi i versanti bergamaschi. E via andando: sono circa duecento le località segnalate (alcune delle quali all’epoca erano Comuni autonomi e oggi non più).
Confini più ridotti, invece, per la guida turistica successiva, “Dalle Dolomie del Resegone alla verde Valsassina”. Edita nel 1937 dalla Pro Lecco, si limitava dunque al territorio di diretta competenza dell’ente turistico dell’epoca, pur sconfinando nell’immediato circondario (tra Civate e Oggiono fino al San Genesio, Olginate, Calolziocorte e San Girolamo) oltre con “una corsa in Valsassina”, evidenziando in tal modo lo stretto legame tra la città e la valle dove la grande attrattiva erano le terme di Tartavalle, un «lembo di paradiso, in cui sogliono ritrovarsi liete brigate che vi trascorrono l'ore in sereno oblio. Non solo lo spirito riceve sollievo dall'amenità del luogo e della signorile ospitalità negli alberghi e nei caffè che confortano il moderno stabilimento, ricco di sollazzevoli ritrovi; ma il corpo risente i benefici effetti dell'acqua minerale ferruginosa, manganesifera, arsenicale, di grande efficacia terapeutica, affiorante al suolo.»
La guida veniva pubblicata in occasione della quarta Mostra Quinquiennale che si sarebbe svolta dal 20 agosto al 20 settembre di quell’anno. La quale mostra – si legge nell’introduzione un po’ retorica e pomposa alla guida - «schiererà, in superba sintesi, i prodotti della nostra plaga industre ed operosa. Sarà una nuova affermazione della potenza creativa di nostra gente che, nella diuturna fatica, tempra il cuore e i muscoli e contribuisce al continuo moto ascensionale del nostro centro importante, su cui la natura ha impresso le sue indelebili orme. Potremo così, insieme agli incanti della zona, alzare un inno alla volontà tenace del popolo nostro, legato alla sua quotidiana attività».
Del resto, la Quinquiennale era anche importante occasione di promozione turistica perché indubbiamente «Lecco, col suo lago incastonato come lucente gemma, nella conca meravigliosa, col diadema delle sue superbe vette elevate al cielo, ben merita di essere conosciuta ed apprezzata. (…) Lecco è il centro di raccolta delle correnti avviate alle regioni che danno vigore al corpo e luce all'anima, è l'invito alle più sane competizioni sportive». Considerato inoltre che «la nuova strada automobilistica ai Piani Resinelli» avrebbe facilitato l’ingresso «nel regno della Grigna maliarda». Perché adesso sì, la strada carrozzabile soltanto ipotizzata nel 1928 era diventata realtà, inaugurata nel 1936 garantendo così ai Piani Resinelli “«un sicuro avvenire».
In quanto ai testi, nulla di particolarmente differente ci è indicato rispetto alla guida di nove anni prima. Pur con i dovuti aggiornamenti. Per esempio l’abete piantato in piazza Mazzini in memoria di Arnaldo Mussolini, «fervido apostolo del rimboschimento», ma soprattutto fratello del duce Benito al quale peraltro erano state intitolate le scuole elementari di Castello.
E il clima dell’epoca si avverte anche nelle righe dedicate al centro cittadino «che attende impaziente l'opera risanatrice del piccone demolitore. (…) Il Governo Provvisorio di Lombardia, il 22 giugno 1848, gli decretò il titolo di città e da allora attende, con fermo proposito, al suo grande rinnovamento, per rendersi degna delle consorelle». Attesa della modernità, dunque. Auspicio rimasto sulla carta fino a un certo a punto: se qualcosa del vecchio centro storico è rimasto, il piccone demolitore ha ha pur fatto scempi non indifferenti.
Delle due guide turistiche la prima uscì nel 1928 dalla Tipografia Fratelli Grassi anche se l’iniziativa fu della Società Escursionisti Lecchesi che l’anno seguente avrebbe celebrato i propri trent’anni di fondazione. Si trattava della “Guida illustrata – turistica e descrittiva – di Lecco e dei paesi finitimi”.
Era il manzoniano “borgo che s’avviava a diventar città”. E che già si sentiva punto di riferimento per un più ampio territorio. C’era già allora, un’idea di quello che era il “territorio lecchese” destinato qualche decennio dopo a essere promosso provincia. Anche se l’attualità spicciola dell’epoca era quella della “grande Lecco” formatasi proprio tra il 1923 e il 1928, vale a dire la municipalità unica a raggruppare i piccoli Comuni della conca, i quali avrebbero comunque mantenuto particolarità proprie e orgogli di campanile. Non è un caso che la visita proposta da Villani si sviluppi secondo quell’antica suddivisione che permane ancora oggi: «Descritta così la città, come era prima della annessione dei Comuni limitrofi, diamo uno sguardo ai Reparti annessi che, perduta la loro autonomia comunale, si preparano a dare un nuovo impulso a questa plaga ridente e fortunata.» Mentre delle piccole frazioni di un tempo, alcune ormai sono solo ricordate dal nome di qualche via: Galandra, Cabadone, Roccolo, Cavalesino, Cafrancoscio….
Ce ne dà conto Fermo Magni (1874-1935), egli pure docente e poi dirigente scolastico, sindaco di Introbio e poi podestà di Primaluna, a sua volta autore di una “mitica” Guida illustrata della Valsassina uscita nel 1904 e riaggiornata nel 1926. Lo stesso Villani, infatti, chiese alcune parole di introduzione alla propria guida proprio a Magni. Il quale, appunto, scrisse non senza una venatura polemica: «Dal lavoro di Ariberto Villani, salta fuori evidentissima una verità che forse pochi avevano fin qui rilevato, ma che ad ogni modo giova mettere in evidenza: Lecco è ora al centro di una vastissima zona: la facilità delle comunicazioni, la posizione geografica, l'attività della sua popolazione ne hanno fatto il vero capoluogo; le suddivisioni, gli artifici amministrativi, le deficienze di chi non ha saputo ancora dare alla città i caratteri di grande città, potranno ritardare, ma non impedire l'ascensione sicura di questa borgata che raccoglie in sé tutto il fervore di opere della Valtellina, del Lario, delle valli che gli sono tributarie a destra ed a sinistra, della Brianza, di buona parte delle terre limitrofe del Bergamasco. Poco importa se i Lecchesi sono ancora obbligati a cercare gli uffici, le scuole altrove, poco importa se i Lecchesi non hanno ancora pensato che essi non solo devono trarre profitto dall'affluire delle popolazioni alla loro città, ma che devono anche fornire a queste popolazioni i comodi e le istituzioni che loro occorrono; scomparirà colla coscienza della loro grandezza il meschino egoismo che impedì finora la visione esatta dell'importanza e dei doveri che derivano al capoluogo e Lecco raggiungerà quella opulenza che è nei suoi destini.(...) Che Lecco è città nuova e che compiono opera vana quelli che tentano di nobilitarne i magnanimi lombi frugando nelle più strane etimologie e nelle più fantastiche leggende. (…) La nobiltà di Lecco deriva da ben altre fonti, da ben altre forze che non siano l'antichità, i celti, i greci; la nobiltà di Lecco deriva dal lavoro, dalla operosità dei suoi abitanti, dalla storia degli ultimi cento anni che ne hanno fatto un centro di primo ordine. (…) Ora Lecco è una città che ha un grande avvenire. Ora incomincia la storia di Lecco.»
In effetti i confini geografici scelti da Villani sono molti larghi: la guida ci accompagna in Brianza e nel Pian d’Erba, in Alto Lario e in Valtellina fino a Morbegno arrestandosi sulla riva del torrente Bitto. E poi dalla Valsassina si spinge nelle valli bergamasche fino al corso del fiume Brembo, seguendo anche le direttrici delle linee ferroviarie e delle strade provinciali.
Dobbiamo dire che la guida “contiene” molto, scontando il difetto dell’erudizione ed enumerando così un po’ troppe “attrattive” tra palazzi, ville, chiese, cappelle, monumenti e lapidi varie, oltre ad alberghi, trattorie, banche, sedi di associazioni e altri indirizzi utili. Un’elencazione pedante per un visitatore forestiero, ma che si traduce in un inventario prezioso per i lecchesi. Per quelli di oggi, probabilmente, più che per quelli dell’epoca.
Non è certo il caso di seguire Villani passo passo nella sua lunga escursione, spulciando un po’ qui e un po’ là in maniera del tutto superficiale, senza però rendere l’idea di quanto possa essere intrigante mettersi a bighellonare con questa guida fra le mani, anche solo per il gusto di scoprire i cambiamenti del paesaggio. La difficoltà è un’altra e cioè che il libro è praticamente introvabile. Se non lo si recupera su qualche bancarella, ci si dovrà affidare alle copie che le biblioteche conservano gelosamente.
Qualche chicca, però, va pur concessa. Per esempio la descrizione di quella che ancora nella prima metà del Novecento, nonostante ormai la grande manifattura abbia scelto sedi a ridosso della linea ferroviaria, continua a rappresentare una sorta di grande unica fucina, l’antica spina dorsale dell’industria lecchese.
Avrete capito, «siamo nel territorio delle Ferriere – scrive Villani - così chiamato per le innumerevoli officine e gli importanti stabilimenti che fiancheggiano la strada e tutta la Valle del Gerenzone. Un canale di derivazione del Gerenzone stesso, la Fiumicella, a sinistra della vecchia provinciale, viene utilizzata come forza motrice e scorre, giallastra, spesso nascondendosi e gettandosi, di poi, nel lago, alla Malpensata. Il maglio “domator del ferro” riempie del suo ritmo cadenzato ed assordante tutta la valle industre, ove si compie un lavoro diuturno e snervante. Castello, S. Giovanni, Malavedo, Laorca, allineati sulla strada, e in parte sulla ruotabile di Arlenico, al di qua e al di là del torrente, respirano quest'atmosfera febbrile di ininterrotta attività, fonte di perenne ricchezza, mirabile esempio di instancabile fervore. Acciaierie, ferriere, trafilerie, magli, fabbriche di fibbie e di catene, di reti e tele metalliche, di minuterie, di broccami, di morse, di attrezzi rurali, di molle da letto, di coppiglie e serramenti in genere ecc., senza contare le fabbriche di cartucce, le filande, le fonderie, le cartiere, la lavorazione dei velluti e la torcitura del cotone, rendono questa valle, coi reparti finitimi, una delle più importanti della regione lombarda.»
Poi, risalendo la vallata si raggiunge Ballabio con «le montagne bucate dalle miniere con i «lavori per la ricerca di questi minerali, ripresi ed abbandonati» e «tuttora sospesi». Testimonianza di come ancora negli anni Venti l’attività estrattiva che aveva caratterizzato per secoli l’economia valsassinese e alimentato le fucine del Gerenzone, non era stata ancora del tutto abbandonata. Siamo dunque verso i Piani Resinelli dove si sa che l’ultimo impianto ha funzionato tra alti e bassi fino al 1958.
A proposito di Piani Resinelli, nel 1928 la strada carrozzabile non esisteva ancora. Sarebbe stata realizzata di lì a poco e infatti già se ne parlava. Accompagnandoci verso la Val Calolden, Villani scrive: «Dalla piazzetta della chiesa di Laorca, dopo aver percorso il primo tratto del sentiero che seguono gli alpinisti per recarsi ai Piani Resinelli, ed ammirata la teleferica Gerosa che, da questi, per tutta la valle, giunge al Ponte della Gallina. Si discorre di una filovia per il trasporto di passeggeri da Laorca agli stessi Piani Resinelli, a somiglianza di quella che unisce Torre de' Busi a Valcava. Si parla pure di una strada in partenza da Ballabio. L'idea è luminosa e, se attuata, poterebbe innegabili benefici.»
Uscendo dalla conca di Lecco, si viene condotti invece verso quell’attrazione galbiatese che ormai oggi sembra essere confinata nel mito e cioè la famosa eco: dal centro di Galbiate, «seguendo la via Cavour, poco dopo la Casa Comunale, a destra, s'apre la via Bertarelli, colla villa omonima, in un parco delizioso, che guarda sulla strada che scende a Sala al Barro, in cospetto del tranquillo lago di Oggiono. Lasciando a destra la Filanda Stucchi ed a sinistra l'antico Oratorio di S. Ambrogio, in dieci minuti, per una strada campestre, si può andare in una località, ove viene udita distintamente un'eco, che può persino ripetere un endecasillabo.» Fenomeno che a suo tempo era stato esageratamente sottolineato anche da Ottone Brentari a proposito dei luoghi manzoniani mentre si avviava alla Cascina Costa segnalata naturalmente anche Villani: «Su una rustica casa di contadini, una lapide ricorda che, ivi, fu messo a balia Alessandro Manzoni. (…) La lapide vi fu collocata nel 1873, l’anno in cui morì il sommo scrittore, dal signor Giuseppe Bertarelli di Milano, che era il possessore dello stabile.»
E poi la Brianza e naturalmente Montevecchia che «vanta le sue pregiate “robiole” saporitissime e ricercate». E il lago fino alla prima Valtellina. E le valli compresi i versanti bergamaschi. E via andando: sono circa duecento le località segnalate (alcune delle quali all’epoca erano Comuni autonomi e oggi non più).
La guida veniva pubblicata in occasione della quarta Mostra Quinquiennale che si sarebbe svolta dal 20 agosto al 20 settembre di quell’anno. La quale mostra – si legge nell’introduzione un po’ retorica e pomposa alla guida - «schiererà, in superba sintesi, i prodotti della nostra plaga industre ed operosa. Sarà una nuova affermazione della potenza creativa di nostra gente che, nella diuturna fatica, tempra il cuore e i muscoli e contribuisce al continuo moto ascensionale del nostro centro importante, su cui la natura ha impresso le sue indelebili orme. Potremo così, insieme agli incanti della zona, alzare un inno alla volontà tenace del popolo nostro, legato alla sua quotidiana attività».
Del resto, la Quinquiennale era anche importante occasione di promozione turistica perché indubbiamente «Lecco, col suo lago incastonato come lucente gemma, nella conca meravigliosa, col diadema delle sue superbe vette elevate al cielo, ben merita di essere conosciuta ed apprezzata. (…) Lecco è il centro di raccolta delle correnti avviate alle regioni che danno vigore al corpo e luce all'anima, è l'invito alle più sane competizioni sportive». Considerato inoltre che «la nuova strada automobilistica ai Piani Resinelli» avrebbe facilitato l’ingresso «nel regno della Grigna maliarda». Perché adesso sì, la strada carrozzabile soltanto ipotizzata nel 1928 era diventata realtà, inaugurata nel 1936 garantendo così ai Piani Resinelli “«un sicuro avvenire».
In quanto ai testi, nulla di particolarmente differente ci è indicato rispetto alla guida di nove anni prima. Pur con i dovuti aggiornamenti. Per esempio l’abete piantato in piazza Mazzini in memoria di Arnaldo Mussolini, «fervido apostolo del rimboschimento», ma soprattutto fratello del duce Benito al quale peraltro erano state intitolate le scuole elementari di Castello.
E il clima dell’epoca si avverte anche nelle righe dedicate al centro cittadino «che attende impaziente l'opera risanatrice del piccone demolitore. (…) Il Governo Provvisorio di Lombardia, il 22 giugno 1848, gli decretò il titolo di città e da allora attende, con fermo proposito, al suo grande rinnovamento, per rendersi degna delle consorelle». Attesa della modernità, dunque. Auspicio rimasto sulla carta fino a un certo a punto: se qualcosa del vecchio centro storico è rimasto, il piccone demolitore ha ha pur fatto scempi non indifferenti.
Dario Cercek