SCAFFALE LECCHESE/162: la storia delle miniere ai Resinelli e gli interventi di recupero
All'interno della miniera
Miniere. Così erano e in certe parti del mondo ancora sono. Sarà scontato evocare l'inferno, ma è riferimento tra i più immediati. Altro che serafici gnomi o nanetti. Come le allegre statuine che decorano un angolo della miniera "Anna" ai Piani Resinelli. Perché è anche dei Resinelli che parliamo e del volumetto appena pubblicato dalla Comunità montana del Lario orientale per raccontare ai visitatori la località ai piedi della Grigna con un occhio particolare rivolto proprio all'attività estrattiva che per secoli, accanto all'agricoltura, ne ha rappresentato la peculiarità. Prima che arrivassero lo sport e la villeggiatura.Curata da Aroldo Benini e Pino Comi, una breve storia dei Piani Resinelli era già uscita nel 1989. Allora, le vecchie miniere erano ancora cunicoli abbandonati in cui si avventuravano, con tanta incoscienza, i ragazzi che ne conoscevano gli imbocchi. E negli anni di piombo anche qualche terrorista delle Brigate Rosse per un tirassegno clandestino. Ci vorranno infatti oltre dieci anni ancora perché si pensasse al recupero delle miniere da convertire in attrazione turistica proprio da parte della comunità montana allora presieduta da Cesare Perego.
La copertina del volume
Come si evince dal titolo, il libro appena pubblicato ("I Piani Resinelli. Identità antica e recente di un'area mineraria") concentra l'attenzione proprio sulle miniere, alla luce di quanto fatto in tutti questi anni, degli interventi di recupero e delle ricerche storiche e archeologiche che consentono oggi di avere una panoramica più esaustiva. Non vengono trascurati tuttavia gli altri lati della località che sono poi quelli che ne hanno caratterizzato lo sviluppo nel corso del Novecento.
Curato da Gabriele Perego, direttore della miniera, il libro si avvale anche dello studio dell'archeologo Mauro Vassena ("Le miniere prima delle miniere. Primi approcci allo studio archeominerario dei Piani Resinelli") che costituisce il cuore della pubblicazione e degli interventi di Alberto Benini ("La storia recente dei Piani Resinelli") e di Pietro Corti ("Alpinisti e scalatori. Alla scoperta della Grigna"). E c'è quasi il senso di un passaggio di testimone. Se Gabriele Perego, infatti, è figlio di quel Cesare che promosse il recupero della miniera, Alberto Benini lo è invece di Aroldo, coautore del libro del 1989. E la cui casa di villeggiatura ai piedi della Grigna è proprio quel roccolo di caccia che era della famiglia Resinelli e che nell'Ottocento finì con il dare il nome alla località: «Nome nemmeno fissato in modo definitivo nemmeno oggi - scrive Alberto Benini -, se la cartellonistica stradale ce lo restituisce nelle forme sostanzialmente adiafore di Piano (o Pian) dei Resinelli, Piani Resinelli e via combinando, anche se l'uso del parlato ricorre sovente al più breve e semplice Resinelli. Di certo il nome si origina con la consuetudine di rendere visita al Roccolo della famiglia Resinelli, a cavaliere fra le valli Monastero e Calolden, prima costruzione a carattere ludico-ricreativo sorta nella località, la cui storia si definisce con certezza a partire dal 1884 quando viene iniziato il Primo album dei visitatoti del Roccolo Resinelli. E si afferma nel giro di una ventina d'anni con la presa di possesso del luogo da parte degli sciatori e poi degli escursionisti. (...) E il nome viene poi a estendersi, grazie al proliferare, prima lento e poi vieppiù frenetico, di nuove costruzioni di impianto residenziale».
Una foto d'epoca
Da monti per l'alpeggio e la fienagione, la località diventa quindi turistica: sorgono ville, rifugi, impianti sportivi come il trampolino per i salti con sci. In quanto all'alpinismo, sarà prima terra di conquista dei milanesi e poi grande palestra per la fioritura della "scuola" lecchese e dei Ragni ed è storia novecentesca. Anche se - ci ricorda Pietro Corti - «è del 1837 la prima salita documentata ad una vetta del Gruppo delle Grigne, quando l'11 agosto, partendo da Varenna, Vincenzo Cesati e Carlo Nasazza detto Carlogrand, sindaco di Esino, salgono la Grigna Settentrionale da nord ovest per quella che sarà conosciuta come "la via della Ganda". (...) L'esplorazione prosegue con altre due salite al Grignone. (...) Non è un caso che queste prime salite siano avvenute sui facili pendii del versante valsassinese sul Grignone, ma presto l'attenzione si sposta sulla Grigna Meridionale o Grignetta molto più impervia. Il 15 luglio 1894 la guida Angelo Locatelli di Ballabio, Edoardo Binda e Democrito Prina del Cai Milano partono da Tonzanico (Mandello del Lario) e raggiungono la Val Scarettone sul versante settentrionale della Grignetta che risalgono per un buon tratto». Risalgono quella che diventerà la Cresta Segantini e arrivano in vetta dopo nove ore complessive di salita. Poi «gli alpinisti milanesi abbandonano i sentieri per mettere le mani sulle pareti rocciose, iniziando con il versante orientale del Torrione Magnaghi dove Giacomo Casati, Emilio Buzzi e Giovanni Ghinzoni aprono la prima via su roccia delle Grigne; 120 metri, II grado. E' il 15 aprile 1900, giorno di Pasqua».
Una raffigurazione dell'estensione della miniera
Oltre vent'anni dopo, nel 1926, sulla Grigna arrivano finalmente i lecchesi: «Il 20 giugno 1926 Giuseppe "Pino" Perego, Giovanni Gandini e Rinaldo Ponzini dell'Ape di Lecco salgono l'ultima guglia ancora vergine, una scaglia alta una cinquantina di metri in bilico tra i vertiginosi canali sotto la Torre Costanza. Dedicano la Punta a Giulia Resta» che è una giovane alpinistica iscritta all'Associazione proletari escursionisti, associazione un po' troppo socialista e pertanto soppressa dal fascismo proprio nell'aprile 1926: risorgerà all'indomani della seconda guerra mondiale e della Liberazione.
Come detto, però, il libro intende focalizzare l'attenzione sulle vecchie miniere, una delle quali - proprio quella che i turisti possono ora perlustrare in parte - è rimasta in funzione fino all'anno 1958.
«La Valsassina - scrive Perego -, come le valli bergamasche e bresciane, ha rappresentato per molti secoli una importante "area mineraria" in cui è fiorito un forte apparato artigianale specializzato nelle produzioni siderurgiche e metallurgiche. L'esistenza di numerose piccole miniere di ferro e larga disponibilità di legname ha originato, sin dal tardo Medio-Evo una serie di unità produttive artigianali che, praticamente, detenevano il monopolio tecnico-commerciale per il Ducato di Milano e la repubblica di Venezia, delle produzioni metallurgiche: armi, attrezzi agricoli, utensileria. Nel periodo della Restaurazione il mercato lombardo diventa dominio dell'industria austriaca che conta su una attrezzatura produttiva più adeguata e su un favorevole sistema doganale».
In seguito, l'eccessivo disboscamento e l'esaurirsi delle vene minerarie «portano alla obsolescenza di impianti divenuti poco economici. (...) Di qui, nell'800, la ricerca di efficaci e durature alternative per l'economia valsassinese, al progressivo scomparire dell'industria mineraria e metallurgica. In questo contesto, nei primissimi anni dell'unificazione italiana, avviene la scoperta di alcune miniere di piombo argentifero nell'area dei Piani Resinelli», scoperta frutto «delle pazienti ricerche del figlio di un minatore» che convinse alcuni nobili stranieri a mettere i capitali costituendo una società per l'estrazione.
In quanto alla miniera "Anna", le origini risalgono al XVII secolo, quando «i Busca e un Pedrotti si propongono di avviare una miniera di piombo sulla Grigna, o meglio sul Coltignone, avendo ottenuta regolare autorizzazione il 30 luglio 1676». L'impianto, tra alti e bassi, resterà in funzione fino al 1958. Inoltre, «evidenti sono ancora le tracce delle due "decauville" che consentivano il trasporto del minerale. La ferriera principale si sviluppa dall'imbocco Nord della miniera Anna e prosegue in quota verso settentrione attraversando dapprima l'impluvio della Val Caldolden per poi passare dalla Costa Adorna fino a giungere nella Val Grande. In quest'ultima zona era presente la stazione di partenza della teleferica. (...) La stazione di rinvio della stessa era ubicata al piede del versante orientale dei "Corni del Nibbio" nella zona ove sorgeva l'antica laveria».
Un'altra foto d'epoca scattata ai Piani dei Resinelli
Dobbiamo dunque immaginarci un paesaggio industriale scomparso. E comunque, per quanto oggi possa apparirci strano per via di una memoria che col tempo è andata sbiadendosi e solo negli ultimi anni è stata in qualche modo recuperata, «le miniere lecchesi hanno avito un forte rapporto con il territorio, esse hanno rappresentato per secoli la fonte di lavoro e sostentamento per una buona parte della popolazione montana».
Oltre alle informazioni storiche, Gabriele Perego ci accompagna anche nella perlustrazione della vasta area mineraria, tra il "Forcellino" e il Coltignone, la Val Calolden e la Val Grande, la Val Monastero fino a scendere alla cascata del Cenghen, la zona dei Campelli.
Da parte sua, l'archeologo Mauro Vassena traccia un profilo storico della ricerca mineraria ai Resinelli con la ricostruzione, attraverso alcuni ritrovamenti o la conformazione di certi luoghi, dell'evoluzione della ricerca mineraria ai Piani Resinelli a cominciare dall'antichità. Facendo peraltro rilevare come molto sia ancora da scoprire.
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