SCAFFALE LECCHESE/232: a spasso tra monumenti e sculture della città
Vai che vai, finisce che salta sempre fuori quella parolina lì: “sobria”. Riferito a Lecco. Pochi fronzoli e tanto pragmatismo, va da sé. In tutti i campi. Figuriamoci l’arte. E la scultura in particolare: nel Settecento «qualche facciata barocca di palazzo in cui fioriscono portali, finestre e balconi in pietra scolpita. “Particolari che possono aiutare a giudicare con minore severità la granitica apatia lecchese per le cose d’arte”», così che appaiono già un po’ troppo sfacciati quegli “umétt de Porta Noeuva” che ancora ci guatano dall’altro mentre percorriamo la via Bovara. E a proposito di Bovara e cioè dell’architetto Giuseppe Bovara, lui «che ha sovrinteso al decoro cittadino ed è stato tanto prolifico nella progettazione di architetture civili e religiose nei primi decenni dell’Ottocento si è limitato a recuperare una scultura settecentesca per la fontana neoclassica di Castello e a creare tempietti e cibori per ospitare sculture all’interno delle chiese da lui progettate». Esempi, questi con altri, per sottolineare un «difficile rapporto tra architettura e scultura» che «unito ad una cultura improntata alla sobrietà, alla funzionalità, alla produttività più che alla cura estetica del paesaggio urbano, è alla base di questa scarsa attenzione alla qualificazione artistica degli esterni pubblici e privati».Così scrive Tiziana Rota in “Scultura all’aperto a Lecco e provincia” (con fotografie di Eugenio Anghileri, Massimo Di Stefano e Angelo Pirovano), libro uscito nel 2009 su iniziativa dell’associazione degli “Amici dei musei del territorio lecchese” fondata nel 1990 e rilanciata negli anni Dieci di questo nostro secolo e da qualche tempo silente dopo avere promosso una serie di meritevoli iniziative. E’ un volume che ci racconta l’evoluzione della scultura “lecchese”, quella dei monumenti pubblici, grandi e piccoli, che incontriamo nelle strade e quella delle opere private che sono soprattutto tombe, steli o statue conservate nei cimiteri (delle quali, la stessa Rota si sarebbe occupata anche successivamente.
Avendo in comune, gli uni e le altre, il fatto d’essere sotto gli occhi di tutti e non conservate in dimore o altri luoghi privati.Ad alcuni monumenti lecchesi è anche dedicato un libriccino di Gianfranco Scotti pubblicato nel 2003 su iniziativa del Rotary club di Lecco (“La memoria scolpita. Storia e vicende di monumenti lecchesi” con fotografie di Giuseppe Giudici).
L’itinerario proposto da Rota e articolato in ordine cronologico, muove da Castello, dalla fontana che si trova accanto alla chiesa parrocchiale, quella sulla quale è stato issato il San Giovanni Nepomuceno che si vuole arrivi dall’antico Ponte visconteo, ma – ci dice Scotti - «sull’origine e sulle precedenti collocazioni esistono solo congetture. E’ probabile che in un primo tempo l’effigie del santo si trovasse su un parapetto del ponte Visconti sull’Adda. Si tramanda che la statua fosse finita nelle acque del fiume nel corso della celebre battaglia fra gli austro-russi e i francesi, vinta dai primi, avvenuta nell’aprile del 1799. Successivamente recuperata, fu ricollocata ai piedi della scalinata d’accesso alla Prepositurale di S. Nicolò». In epoca imprecisata, la statua sarebbe quindi stata trasferita a Castello e nel 1841-42 collocata, come detto sulla fontana progettata dal Bovara. La fontana è lo sbocco di un acquedotto realizzato tra il 1841 e il 1842, dopo l’epidemia di colera verificatasi nel 1836 e la cui particolare virulenza fu attribuita al fatto che l’acqua per gli usi domestici veniva attinta da quella stessa Fiumicella che faceva funzionare le fabbriche lungo la valle del Gerenzone e se ne può quindi immaginare l’inquinamento. Nel 1850, invece, nasceva a Costa Masnaga quel Francesco Confalonieri che avrebbe lasciato opere importanti in molte località della provincia: «A cavallo tra Ottocento e Novecento, è sicuramente il protagonista indiscusso della scultura monumentale e funebre nel territorio di Lecco. (…) Privilegia la scultura monumentale pubblica eseguita su commissione o concorso, quel tipo di scultura celebrativa che ebbe una grande fioritura nei decenni post-unitari, e che (…) testimoniava nelle piazze la sua funzione educativa del popolo». Suo è il monumento di Lecco a Giuseppe Garibaldi, suoi quello ad Alessandro Manzoni e quello a Giuseppe Parini eretto a Bosisio. Suoi i “ritratti “valsassinesi di Giuseppe Arrigoni e del garibaldino Tranquillo Baruffaldi e poi una lunga serie di sepolture di un certo fascino.
Un altro grande protagonista del paesaggio artistico lecchese è il milanese Michele Vedani (1874-1969) che copre un lungo periodo interessato da radicali trasformazioni: «Nella prima metà del Novecento è uno degli artisti più richiesti nell’ambito della scultura funeraria milanese, ma i lecchesi lo ricordano per il monumento all’abate Stoppani a Lecco (suo anche il busto davanti al rifugio Rosalba in Grignetta), per quello ai Caduti di Barzio (il celeberrimo “leone”) e per la Via Crucis di Esino realizzato nell’arco di un trentennio (tra il 1939 e il 1967).
Dal periodo prima neoclassico e poi romantico si arriva alla seconda metà del Novecento, coprendo quindi un periodo di quasi due secoli che hanno visto all’opera nel nostro territorio anche artistici di prestigio: Francesco Modena, Giannino Castiglioni, Francesco Wildt, Francesco Messina, Romano Rui, per fare qualche nome. Un capitolo è poi dedicato espressamente agli artisti lecchesi nel Novecento.
Non stiamo a elencare tutti gli aspetti affrontati dal libro di Tiziana Rota o dagli stimoli offerto dal libretto di Scotti. Ci soffermiamo so su alcuni tra monumenti e sculture caratterizzati da vicende significative.
Cominciamo dal “busto scomodo” dello scrittore Antonio Ghislanzoni, costretto
«ad errare per la città – racconta Rota -fino ad approdare, discreto, in una aiuola del lungolago. Evidentemente quando i personaggi risultano scomodi al potere di turno non si esita ad eliminarli o perlomeno ad esiliarli». Il busto lecchese, opera dello scultore Antonio Bezzola, venne inaugurato il 19 novembre 1893: «Collocato su un piedistallo di sienite, dapprima in piazza della stazione e poi nei depositi di Palazzo Belgioioso, è ora nei giardini del lungolago». Peripezie che il giornalista Uberto Pozzoli ebbe a raccontare in una gustosa poesia, la “Ghislanzoneide”: «Eri apena tira l’ultim fiàa/ serii minga gnamò del toeutt secch/ quand che gh’era gemò ‘n Comitàa/ per famm soeu ‘n monument uin mezz Lecch».
Per quanto riguarda Mario Cermenati, il primo monumento, inaugurato nel 1927, venne realizzato dallo scultore Mario Rutelli, palermitano ma molto attivo a Roma: il politico e scienziato lecchese era «ritratto in piedi mentre parla al pubblico e gesticola animatamente, era l’uomo politico radicale protagonista di tante battaglie, il grande comunicatore più che lo studioso di scienze. (…) La sua vivace storia politica può forse spiegare il motivo della collocazione nella piazza (…) con le spalle voltate alla Canonica e alla Basilica di San Nicolò e spiegare come mai, per disposizione del governo fascista durante la II Guerra Mondiale, fu rimossa e fusa per ricavarne metallo da donare alla patria». Fu poi nel 1945 che una nuova statua, questa volta in marmo bianco, venne commissionato allo scultore Francesco Modena. Che preferì un Cermenati scienziato.
In quanto al monumento a Garibaldi, inaugurato il 16 novembre 1884, Scotti scrive: «La decisione di commemorare il duce dei Mille con un monumento in una piazza cittadina fu motivo di accesi scontri tra laici e cattolici. (…) Sembra che quello di Lecco sia stato il secondo monumento eretto in tutta Italia all’Eroe dei Due Mondi. (…) Agli inizi degli anni Sessanta del Novecento, la statua fu arretrata di alcuni metri e collocata a ridosso del Teatro della Società, una posizione incongrua e infelice giustificato dalla prevista demolizione del Teatro». Salvato il teatro, non si è pensato di ricollocare il monumento che «è ancora lì in posizione illogica e in attesa di una più confacente sistemazione della piazza».
Merita d’essere raccontata anche la storia del monumento ad Alessandrina Menager al cimitero monumentale realizzata dallo scultore lecchese Giuseppe Mozzanica nel 1945: «Il gruppo scultoreo – scrive Rota - era costituito da una grande roccia in granito, poggiante su di una stele marmorea con le iscrizioni e i ritratti dei defunti. Un angelo in volo, collocato nella parte sommitale della roccia, si rivolgeva ad una dolente inginocchiata. La grandiosità dell’insieme ne faceva un punto di riferimento qualificante del cimitero. (…) nel 1993, allo scadere della concessione, come da regolamento cimiteriale, in mancanza di riutilizzo da parte della famiglia, il monumento è stato rimosso “in economia”, inevitabilmente danneggiato e “riposto” nei pressi del cimitero di Castello». L’angelo finì con l’ala spezzata e la dolente venne addirittura rubata.
Differente, invece, la “querelle” per la Pietà dello scultore di origini uruguaiane ma lecchese d’adozione Pablo Atchugarry: scolpita nel 1982 si ispira alla Pietà di Michelangelo nella basilica di San Pietro a Roma, una composizione che «rimanda armonia, unità, perfezione (…) al di sopra della realtà umana». Invece, quella di Atchugarry «è sproporzionata, disarticolata, ridotta a struttura essenziale per esprimere il dramma di un dolore che deforma. (…) Questa Pietà rimase nella basilica di S. Nicolò per dieci anni e poi fu inspiegabilmente estromessa». Incomprensioni su un linguaggio artistico ritenuto incongruo. Una ferita sanata ora che, dello scultore, la basilica ha accolto un “Volto di Dio”
Inoltre, è possibile che il nome del giapponese Susumu Shingu suoni sconosciuto se non a pochi addetti ai lavori. Eppure la sua opera lecchese – “Dialogo con le nuvole” è certamente quella che in città vedono proprio tutti: si tratta della quattro grandi vele di acciaio collocate sulla sommità delle torri del centro Meridiana al Caleotto che «si muovono aerodinamiche su perni mobili, eredi degli antichi segnavento di latta sui comignoli o sul colmo dei tetto. (…)Visibili da qualsiasi punto della città divengono un riferimento monumentale che visualizza nel cielo l’energia di quei venti [che sono] la reale terza dimensione dell’opera»E in tema di “scultura all’aperto” non si poteva dimenticare la singolare esperienza di Morterone. Ci racconta ancora Rota: «Dal 1986, anno della prima mostra “una ragione inquieta”, l’associazione culturale “Amici di Morterone” dà vita ad una esperienza d’avanguardia nel comune montano. All’insegna delle visioni scientifico-filosofiche della poetica della “Natura Naturans”, autore Carlo Invernizzi, sono coinvolti pittori e scultori di respiro internazionale. (…) Qui, nel corso degli anni, gli artisti espongono le loro opere in mostre temporanee negli spazi aperti e realizzano installazioni che dialogano stabilmente con il paesaggio e con le architetture rurali. (…) Passeggiando tra i dispersi nuclei di insediamenti, o al ritorno da un’escursione al Resegone, ci si imbatte in insolite presenze che pongono interrogativi, stimolano curiosità, certo sorprendendo anche l’escursionista più indifferente ai fenomeni dell’arte contemporanea».
Avendo in comune, gli uni e le altre, il fatto d’essere sotto gli occhi di tutti e non conservate in dimore o altri luoghi privati.Ad alcuni monumenti lecchesi è anche dedicato un libriccino di Gianfranco Scotti pubblicato nel 2003 su iniziativa del Rotary club di Lecco (“La memoria scolpita. Storia e vicende di monumenti lecchesi” con fotografie di Giuseppe Giudici).
L’itinerario proposto da Rota e articolato in ordine cronologico, muove da Castello, dalla fontana che si trova accanto alla chiesa parrocchiale, quella sulla quale è stato issato il San Giovanni Nepomuceno che si vuole arrivi dall’antico Ponte visconteo, ma – ci dice Scotti - «sull’origine e sulle precedenti collocazioni esistono solo congetture. E’ probabile che in un primo tempo l’effigie del santo si trovasse su un parapetto del ponte Visconti sull’Adda. Si tramanda che la statua fosse finita nelle acque del fiume nel corso della celebre battaglia fra gli austro-russi e i francesi, vinta dai primi, avvenuta nell’aprile del 1799. Successivamente recuperata, fu ricollocata ai piedi della scalinata d’accesso alla Prepositurale di S. Nicolò». In epoca imprecisata, la statua sarebbe quindi stata trasferita a Castello e nel 1841-42 collocata, come detto sulla fontana progettata dal Bovara. La fontana è lo sbocco di un acquedotto realizzato tra il 1841 e il 1842, dopo l’epidemia di colera verificatasi nel 1836 e la cui particolare virulenza fu attribuita al fatto che l’acqua per gli usi domestici veniva attinta da quella stessa Fiumicella che faceva funzionare le fabbriche lungo la valle del Gerenzone e se ne può quindi immaginare l’inquinamento. Nel 1850, invece, nasceva a Costa Masnaga quel Francesco Confalonieri che avrebbe lasciato opere importanti in molte località della provincia: «A cavallo tra Ottocento e Novecento, è sicuramente il protagonista indiscusso della scultura monumentale e funebre nel territorio di Lecco. (…) Privilegia la scultura monumentale pubblica eseguita su commissione o concorso, quel tipo di scultura celebrativa che ebbe una grande fioritura nei decenni post-unitari, e che (…) testimoniava nelle piazze la sua funzione educativa del popolo». Suo è il monumento di Lecco a Giuseppe Garibaldi, suoi quello ad Alessandro Manzoni e quello a Giuseppe Parini eretto a Bosisio. Suoi i “ritratti “valsassinesi di Giuseppe Arrigoni e del garibaldino Tranquillo Baruffaldi e poi una lunga serie di sepolture di un certo fascino.
Un altro grande protagonista del paesaggio artistico lecchese è il milanese Michele Vedani (1874-1969) che copre un lungo periodo interessato da radicali trasformazioni: «Nella prima metà del Novecento è uno degli artisti più richiesti nell’ambito della scultura funeraria milanese, ma i lecchesi lo ricordano per il monumento all’abate Stoppani a Lecco (suo anche il busto davanti al rifugio Rosalba in Grignetta), per quello ai Caduti di Barzio (il celeberrimo “leone”) e per la Via Crucis di Esino realizzato nell’arco di un trentennio (tra il 1939 e il 1967).
Dal periodo prima neoclassico e poi romantico si arriva alla seconda metà del Novecento, coprendo quindi un periodo di quasi due secoli che hanno visto all’opera nel nostro territorio anche artistici di prestigio: Francesco Modena, Giannino Castiglioni, Francesco Wildt, Francesco Messina, Romano Rui, per fare qualche nome. Un capitolo è poi dedicato espressamente agli artisti lecchesi nel Novecento.
Non stiamo a elencare tutti gli aspetti affrontati dal libro di Tiziana Rota o dagli stimoli offerto dal libretto di Scotti. Ci soffermiamo so su alcuni tra monumenti e sculture caratterizzati da vicende significative.
Cominciamo dal “busto scomodo” dello scrittore Antonio Ghislanzoni, costretto
«ad errare per la città – racconta Rota -fino ad approdare, discreto, in una aiuola del lungolago. Evidentemente quando i personaggi risultano scomodi al potere di turno non si esita ad eliminarli o perlomeno ad esiliarli». Il busto lecchese, opera dello scultore Antonio Bezzola, venne inaugurato il 19 novembre 1893: «Collocato su un piedistallo di sienite, dapprima in piazza della stazione e poi nei depositi di Palazzo Belgioioso, è ora nei giardini del lungolago». Peripezie che il giornalista Uberto Pozzoli ebbe a raccontare in una gustosa poesia, la “Ghislanzoneide”: «Eri apena tira l’ultim fiàa/ serii minga gnamò del toeutt secch/ quand che gh’era gemò ‘n Comitàa/ per famm soeu ‘n monument uin mezz Lecch».
Per quanto riguarda Mario Cermenati, il primo monumento, inaugurato nel 1927, venne realizzato dallo scultore Mario Rutelli, palermitano ma molto attivo a Roma: il politico e scienziato lecchese era «ritratto in piedi mentre parla al pubblico e gesticola animatamente, era l’uomo politico radicale protagonista di tante battaglie, il grande comunicatore più che lo studioso di scienze. (…) La sua vivace storia politica può forse spiegare il motivo della collocazione nella piazza (…) con le spalle voltate alla Canonica e alla Basilica di San Nicolò e spiegare come mai, per disposizione del governo fascista durante la II Guerra Mondiale, fu rimossa e fusa per ricavarne metallo da donare alla patria». Fu poi nel 1945 che una nuova statua, questa volta in marmo bianco, venne commissionato allo scultore Francesco Modena. Che preferì un Cermenati scienziato.
In quanto al monumento a Garibaldi, inaugurato il 16 novembre 1884, Scotti scrive: «La decisione di commemorare il duce dei Mille con un monumento in una piazza cittadina fu motivo di accesi scontri tra laici e cattolici. (…) Sembra che quello di Lecco sia stato il secondo monumento eretto in tutta Italia all’Eroe dei Due Mondi. (…) Agli inizi degli anni Sessanta del Novecento, la statua fu arretrata di alcuni metri e collocata a ridosso del Teatro della Società, una posizione incongrua e infelice giustificato dalla prevista demolizione del Teatro». Salvato il teatro, non si è pensato di ricollocare il monumento che «è ancora lì in posizione illogica e in attesa di una più confacente sistemazione della piazza».
Merita d’essere raccontata anche la storia del monumento ad Alessandrina Menager al cimitero monumentale realizzata dallo scultore lecchese Giuseppe Mozzanica nel 1945: «Il gruppo scultoreo – scrive Rota - era costituito da una grande roccia in granito, poggiante su di una stele marmorea con le iscrizioni e i ritratti dei defunti. Un angelo in volo, collocato nella parte sommitale della roccia, si rivolgeva ad una dolente inginocchiata. La grandiosità dell’insieme ne faceva un punto di riferimento qualificante del cimitero. (…) nel 1993, allo scadere della concessione, come da regolamento cimiteriale, in mancanza di riutilizzo da parte della famiglia, il monumento è stato rimosso “in economia”, inevitabilmente danneggiato e “riposto” nei pressi del cimitero di Castello». L’angelo finì con l’ala spezzata e la dolente venne addirittura rubata.
Differente, invece, la “querelle” per la Pietà dello scultore di origini uruguaiane ma lecchese d’adozione Pablo Atchugarry: scolpita nel 1982 si ispira alla Pietà di Michelangelo nella basilica di San Pietro a Roma, una composizione che «rimanda armonia, unità, perfezione (…) al di sopra della realtà umana». Invece, quella di Atchugarry «è sproporzionata, disarticolata, ridotta a struttura essenziale per esprimere il dramma di un dolore che deforma. (…) Questa Pietà rimase nella basilica di S. Nicolò per dieci anni e poi fu inspiegabilmente estromessa». Incomprensioni su un linguaggio artistico ritenuto incongruo. Una ferita sanata ora che, dello scultore, la basilica ha accolto un “Volto di Dio”
Inoltre, è possibile che il nome del giapponese Susumu Shingu suoni sconosciuto se non a pochi addetti ai lavori. Eppure la sua opera lecchese – “Dialogo con le nuvole” è certamente quella che in città vedono proprio tutti: si tratta della quattro grandi vele di acciaio collocate sulla sommità delle torri del centro Meridiana al Caleotto che «si muovono aerodinamiche su perni mobili, eredi degli antichi segnavento di latta sui comignoli o sul colmo dei tetto. (…)Visibili da qualsiasi punto della città divengono un riferimento monumentale che visualizza nel cielo l’energia di quei venti [che sono] la reale terza dimensione dell’opera»E in tema di “scultura all’aperto” non si poteva dimenticare la singolare esperienza di Morterone. Ci racconta ancora Rota: «Dal 1986, anno della prima mostra “una ragione inquieta”, l’associazione culturale “Amici di Morterone” dà vita ad una esperienza d’avanguardia nel comune montano. All’insegna delle visioni scientifico-filosofiche della poetica della “Natura Naturans”, autore Carlo Invernizzi, sono coinvolti pittori e scultori di respiro internazionale. (…) Qui, nel corso degli anni, gli artisti espongono le loro opere in mostre temporanee negli spazi aperti e realizzano installazioni che dialogano stabilmente con il paesaggio e con le architetture rurali. (…) Passeggiando tra i dispersi nuclei di insediamenti, o al ritorno da un’escursione al Resegone, ci si imbatte in insolite presenze che pongono interrogativi, stimolano curiosità, certo sorprendendo anche l’escursionista più indifferente ai fenomeni dell’arte contemporanea».
Dario Cercek