Lecco: donata alla Basilica la scultura 'Eterno' di Pablo Atchugarry
Scoperta nella cappella battesimale della basilica di San Nicolò la scultura di Pablo Atchugarry commissionata ormai quarant’anni fa da don Marino Colombo, prete lecchese e per decenni parroco di Onno e Limonta, ora ultranovantenne, che ha deciso di donare l’opera alla chiesa nella quale è stato battezzato.L’inaugurazione è avvenuta oggi dopo la Messa solenne delle 10.00 concelebrata dal prevosto don Bortolo Uberti e dallo stesso don Marino. E le parole dell’omelia di quest'ultimo sono sembrate preludere allo svelamento della scultura: "L’uomo è sempre stato un cercatore del volto di Dio. Ma quel volto si è nascosto a lungo e faceva così paura da esserne proibita la sua rappresentazione. A volte Dio sembra invisibile anche a noi, ma il Signore si è rivelato perché preoccupato per l’uomo. Il suo volto è quello di un re appeso alla croce: è così che si manifesta, e davanti a quel volto non si può rimanere indifferenti. Il dramma dell’uomo contemporaneo è che lo specchio in cui si è sempre guardato si è appannato. Deve allora tornare a guardare la Croce per ritrovare il senso della sua esistenza".
E proprio il volto di Dio è ciò a cui si richiama la scultura di Pablo Atchugarry intitolata “Eterno”, realizzata appunto nel 1985 in marmo bianco di Carrara e ispirata alla cantica conclusiva del Paradiso della Divina Commedia di Dante: "Qual è ‘l geometra che tutto s’affige/ per misurar lo cerchio, e non ritrova,/ pensando, quel principio ond’elli indige,/ tal era io a quella vista nova:/ veder volevo come si convenne/ l’imago al cerchio e come vi s’indova;/ ma non eran da ciò le proprie penne:/ se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne./ A l’alta fantasia qui mancò possa:/ ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,/ sì come rota ch’igualmente è mossa,/ l’amor che move il sole e l’altre stelle".
Fu proprio don Marino, che in occasione della cerimonia inaugurale ha riletto il brano dantesco, a suggerire l’idea all’artista sudamericano, ma ormai lecchese da qualche anno, che il sacerdote ha sostenuto fin dai suoi primi passi nel nostro Paese.
Nato nel 1954 a Montevideo in Uruguay, dedicatosi alla pittura, nel corso di un viaggio in Europa per “misurarsi” con la storia artistica del vecchio continente passò per Parigi e nel 1978 arrivò casualmente a Lecco, città della quale si innamorò stabilendosi definitivamente nel quartiere di San Giovanni e trasformandosi in scultore: risale al 1979 la sua prima opera in marmo, “La lumière”. Ancora oggi si divide tra Lecco e l’Uruguay dove da qualche anno ha aperto il “Maca” (Museo de arte contemporaneo Atchugarry) che si estende, tra struttura coperta e parco, su un’area di 45 ettari. Già insignito delle benemerenza civica lecchese, lo scorso anno è stato ospitato dal Comune per una grande mostra tra Palazzo delle paure e le piazze circostanti.
In quanto ad “Eterno”, ha scritto Barbara Cattaneo, già direttrice e ora consulente dei musei civici: "Nelle forme, aspre e geometriche da un lato ed espressionistiche dall’altro, l’autore rappresenta l’immagine di un Dio potente. Gli occhi, che quasi fuoriescono dalle orbite, lo sguardo fisso, il naso affilato, la bocca serrata e l’accenno della barba, pur nella semplificazione geometrizzante delle forme, conferiscono all’opera l’aura dell’eternità».
I curatori del Mabel, il museo della parrocchia di San Nicolò, invitano inoltre a "cercare nel passato, a partire dall’arte medievale, le radici del linguaggio duro e potente che contraddistingue la scultura lecchese. Lo sguardo severo dell’Eterno richiama alla mente le rappresentazioni austere del Cristo pantocratore nella mandorla luminosa: un tema iconografico di forte impatto emotivo attestato nelle chiese romaniche, anche lariane, fino al XVII secolo".
Al momento inaugurale sono intervenuti, oltre a don Marino Colombo e al prevosto don Bortolo Uberti, naturalmente lo stesso Pablo Atchugarry e per il Comune il sindaco Mauro Gattinoni e l’assessore alla cultura Simona Piazza. Per don Bortolo, “Eterno” – scultura per la quale probabilmente sarà studiata una illuminazione particolare – ha un valore non solo artistico e culturale ma anche pastorale, e appartiene non solo alla basilica ma all’intera città.
Naturalmente, nell’occasione dello svelamento non se ne è parlato, ma la collocazione di questa scultura in basilica acquista un significato particolare in virtù di una precedente incomprensione. Sempre negli anni Ottanta venne infatti collocata nella stessa basilica lecchese un’altra importante scultura dell’artista uruguaiano: si trattava di una “Pietà” ispirata alla celebre composizione michelangiolesca di San Pietro a Roma ma reinterpretata con i canoni dell’arte moderna.
La scultura restò nella prepositurale per qualche anno, ma ci fu chi mugugnò, chi ritenne il linguaggio di Atchugarry troppo moderno e incongruo. Finì che lo scultore si riprese l’opera che oggi è esposta proprio al Maca in Uruguay. Ora, la “riconciliazione”.
E proprio il volto di Dio è ciò a cui si richiama la scultura di Pablo Atchugarry intitolata “Eterno”, realizzata appunto nel 1985 in marmo bianco di Carrara e ispirata alla cantica conclusiva del Paradiso della Divina Commedia di Dante: "Qual è ‘l geometra che tutto s’affige/ per misurar lo cerchio, e non ritrova,/ pensando, quel principio ond’elli indige,/ tal era io a quella vista nova:/ veder volevo come si convenne/ l’imago al cerchio e come vi s’indova;/ ma non eran da ciò le proprie penne:/ se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne./ A l’alta fantasia qui mancò possa:/ ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,/ sì come rota ch’igualmente è mossa,/ l’amor che move il sole e l’altre stelle".
Fu proprio don Marino, che in occasione della cerimonia inaugurale ha riletto il brano dantesco, a suggerire l’idea all’artista sudamericano, ma ormai lecchese da qualche anno, che il sacerdote ha sostenuto fin dai suoi primi passi nel nostro Paese.
Nato nel 1954 a Montevideo in Uruguay, dedicatosi alla pittura, nel corso di un viaggio in Europa per “misurarsi” con la storia artistica del vecchio continente passò per Parigi e nel 1978 arrivò casualmente a Lecco, città della quale si innamorò stabilendosi definitivamente nel quartiere di San Giovanni e trasformandosi in scultore: risale al 1979 la sua prima opera in marmo, “La lumière”. Ancora oggi si divide tra Lecco e l’Uruguay dove da qualche anno ha aperto il “Maca” (Museo de arte contemporaneo Atchugarry) che si estende, tra struttura coperta e parco, su un’area di 45 ettari. Già insignito delle benemerenza civica lecchese, lo scorso anno è stato ospitato dal Comune per una grande mostra tra Palazzo delle paure e le piazze circostanti.
In quanto ad “Eterno”, ha scritto Barbara Cattaneo, già direttrice e ora consulente dei musei civici: "Nelle forme, aspre e geometriche da un lato ed espressionistiche dall’altro, l’autore rappresenta l’immagine di un Dio potente. Gli occhi, che quasi fuoriescono dalle orbite, lo sguardo fisso, il naso affilato, la bocca serrata e l’accenno della barba, pur nella semplificazione geometrizzante delle forme, conferiscono all’opera l’aura dell’eternità».
I curatori del Mabel, il museo della parrocchia di San Nicolò, invitano inoltre a "cercare nel passato, a partire dall’arte medievale, le radici del linguaggio duro e potente che contraddistingue la scultura lecchese. Lo sguardo severo dell’Eterno richiama alla mente le rappresentazioni austere del Cristo pantocratore nella mandorla luminosa: un tema iconografico di forte impatto emotivo attestato nelle chiese romaniche, anche lariane, fino al XVII secolo".
Al momento inaugurale sono intervenuti, oltre a don Marino Colombo e al prevosto don Bortolo Uberti, naturalmente lo stesso Pablo Atchugarry e per il Comune il sindaco Mauro Gattinoni e l’assessore alla cultura Simona Piazza. Per don Bortolo, “Eterno” – scultura per la quale probabilmente sarà studiata una illuminazione particolare – ha un valore non solo artistico e culturale ma anche pastorale, e appartiene non solo alla basilica ma all’intera città.
Naturalmente, nell’occasione dello svelamento non se ne è parlato, ma la collocazione di questa scultura in basilica acquista un significato particolare in virtù di una precedente incomprensione. Sempre negli anni Ottanta venne infatti collocata nella stessa basilica lecchese un’altra importante scultura dell’artista uruguaiano: si trattava di una “Pietà” ispirata alla celebre composizione michelangiolesca di San Pietro a Roma ma reinterpretata con i canoni dell’arte moderna.
La scultura restò nella prepositurale per qualche anno, ma ci fu chi mugugnò, chi ritenne il linguaggio di Atchugarry troppo moderno e incongruo. Finì che lo scultore si riprese l’opera che oggi è esposta proprio al Maca in Uruguay. Ora, la “riconciliazione”.
D.C.