Lecco: 'La storia siamo anche noi!', in Comune la mostra sulle donne nella Resistenza
Sala consiliare affollata, in municipio, per l’inaugurazione della mostra “La storia siamo anche noi! Donne nella Resistenza del territorio lecchese” allestita nel corridoio al primo piano dello stesso Palazzo civico fino al 23 novembre.
Una nuova occasione per ricordare figure importanti della lotta di Liberazione rimaste troppo a lungo nell’ombra, dopo altri momenti che hanno caratterizzato questi ultimi mesi.
Già nel mese di maggio si era parlato della Resistenza al femminile in un incontro tenutosi alla Camera del lavoro di via Besonda e all’indomani a San Giovanni era stata scoperta la pietra d’inciampo in memoria di Emma Casati, una delle operaie deportate dopo gli scioperi del marzo 1944 e morta ad Auschwitz. Il 20 ottobre, invece, è stato intitolato il piazzale di partenza della funivia per i Piani d’Erna a Francesca “Vera” Ciceri.
Una serie di iniziative ricordate dall’assessore comunale alla cultura Simona Piazza che ha sottolineato come da qualche anno sia stata avviata una collaborazione con l’Anpi, l’associazione dei partigiani, proprio per realizzare in città “percorsi della memoria” per far conoscere i luoghi della Resistenza lecchese che sono anche un importante spunto di riflessione capace di indicarci il nostro comportamento per il futuro.
Con Piazza, all’inaugurazione sono intervenuti Patrizia Milani (vicepresidente provinciale dell’Anpi), Liliana Rota (dell’Anpi meratese e dall’associazione culturale Puntorosso), Raffaella Cerrato (dell’Udi, Unione donne d’Italia), Andrea Donato (studente autore di una ricerca sulle donne lecchesi nella Resistenza), Angelo De Battista (docente e storico) e Barbara Cattaneo (consulente del Sistema museale lecchese).
La mostra racconta la storia di 24 donne lecchesi che a vario titolo hanno partecipato alla lotta contro i nazifascisti ed è germogliata da un’altra mostra allestita a Cernusco Lombardone in occasione delle celebrazioni di quest’anno per il 25 aprile, festa di liberazione nazionale (“La donna dal fascismo alla Resistenza. Le nostre partigiane”).
«“La Resistenza siamo anche noi!” è un titolo provocatorio – ha detto Patrizia Milani - A lungo la Resistenza è stata raccontata solo come lotta armata. Poi, alcune storiche hanno cominciato a rileggere quel periodo con un’attenzione di genere. Parlare di donne nella Resistenza significa parlare di donne nelle Resistenze: la Resistenza civile, la Resistenza diffusa, che hanno visto le donne protagoniste. Era un movimento che partiva dalle case ed emerge la ricchezza dell’universo femminile. Il ruolo delle donne è stato spesso raccontato limitandosi alle staffette. Ma le donne non hanno solo dato un contributo, le donne hanno avuto un ruolo fondamentale, erano presenti in tutti i rami della Resistenza. E senza le donne, anche i gruppi armati non sarebbero stati in grado di sopravvivere».
Liliana Rota ha raccontato com’è iniziato il lavoro di ricerca per la prima mostra cernuschese, con il contributo storico di Alberto Magni e con la consultazione dell’archivio comunale che ha riservato molte sorprese. «E oggi il racconto si arricchisce di nuovi nomi».
Raffaella Cerrato ha sottolineato come la collocazione della mostra, nel corridoio all’ingresso della sala del Consiglio comunale lecchese, «sia giusta perché il Comune è la casa di tutte e di tutti. Ed è quindi giusto che siano qua le nostre donne coraggiose perché è anche per loro se abbiamo un Comune e uno Stato democratici. Perché non dimentichiamoci che è per il loro impegno nella Resistenza se le donne hanno potuto finalmente votare. E chi oggi non vota tradisce la loro memoria e il loro sacrificio. Quelle donne erano volontarie per la libertà perché non erano obbligate a combattere, ma hanno fatto una scelta personale. E senza di loro la Resistenza non sarebbe stata quello che è stata. Sono riflessioni personali che devono diventare collettive su cosa faccio oggi e cosa avrei fatto allora. Oggi c’è una forma acuta di alzheimer sociale: ci si dimentica di troppo, ma la memoria è centrale per il bene comune. Quelle donne erano appassionate femministe e appassionate pacifiste e la nostra liberazione continua ancora oggi contro le violenze di genere e i femminicidi. Le ragazze ci guardano, offriamo loro dei modelli».
Andrea Donato, studente all’istituto Badoni, ha poi parlato dalla propria ricerca “Collegatori, collegatrici, staffette. L’endoscheletro della Resistenza” soffermandosi su alcuni aspetti spesso trascurati: il primo dato che emerge è la maggioranza di donne rispetto agli uomini, il 62% contro il 37. E ciò solo in base alle schede ufficiali dell’esercito alleato che conteggia solo i partecipanti diretti alla battaglia armata.
Ma c’è poi tutto un mondo non registrato in gran parte costituito da donne. Figure dimenticate in una società che è rimasta maschilista. Non a caso tra le migliaia di monumenti presenti in Italia, solo 171 sono dedicati a donne e ci sono solo sei monumenti a partigiane peraltro anonime e altri sei di carattere “collettivo”. «Mi chiedo – la conclusione provocatoria - se la nostra Costituzione sia più rappresentata da Indro Montanelli o dalle partigiane?»
Qualche cifra è stata fornita da Angelo De Battista che ha ricordato come le partigiane combattenti siano state 35mila, le patriote 25mila e si ipotizza che altre 70mila siano state in qualche modo coinvolte in varie iniziative come la rete degli espatri per far fuggire in Svizzera prigionieri e ricercati dal regime, una rete che nei gangli cruciali vedeva proprio le donne. Sono state 4600 le donne arrestate, 3mila quelle giustiziate, 2600 le deportate. Si tratta di persone che non erano costrette a quella scelta.
Come i maschi che dovevano scegliere se arruolarsi nella Rsi o andare dall’altra parte per evitare l’arresto e la deportazione. Le donne non avevano questa necessità. Eppure hanno scelto. Gli studi sul loro ruolo nella Resistenza sono cominciati tardi, alla metà degli anni Settanta grazie ad alcune storiche piemontesi, ma stanno ancora andando avanti e molto c’è ancora da scoprire.La mostra, al primo piano del municipio, è aperta al pubblico da lunedì a venerdì dalle 9 alle 18,30 e il sabato dalle 9 alle 12. Ingresso libero. Per visite di gruppo o scolastiche è necessaria la prenotazione: telefono 0341.251361; e-mail segreteria@anpilecco.it.
Una nuova occasione per ricordare figure importanti della lotta di Liberazione rimaste troppo a lungo nell’ombra, dopo altri momenti che hanno caratterizzato questi ultimi mesi.
Già nel mese di maggio si era parlato della Resistenza al femminile in un incontro tenutosi alla Camera del lavoro di via Besonda e all’indomani a San Giovanni era stata scoperta la pietra d’inciampo in memoria di Emma Casati, una delle operaie deportate dopo gli scioperi del marzo 1944 e morta ad Auschwitz. Il 20 ottobre, invece, è stato intitolato il piazzale di partenza della funivia per i Piani d’Erna a Francesca “Vera” Ciceri.
Una serie di iniziative ricordate dall’assessore comunale alla cultura Simona Piazza che ha sottolineato come da qualche anno sia stata avviata una collaborazione con l’Anpi, l’associazione dei partigiani, proprio per realizzare in città “percorsi della memoria” per far conoscere i luoghi della Resistenza lecchese che sono anche un importante spunto di riflessione capace di indicarci il nostro comportamento per il futuro.
Con Piazza, all’inaugurazione sono intervenuti Patrizia Milani (vicepresidente provinciale dell’Anpi), Liliana Rota (dell’Anpi meratese e dall’associazione culturale Puntorosso), Raffaella Cerrato (dell’Udi, Unione donne d’Italia), Andrea Donato (studente autore di una ricerca sulle donne lecchesi nella Resistenza), Angelo De Battista (docente e storico) e Barbara Cattaneo (consulente del Sistema museale lecchese).
La mostra racconta la storia di 24 donne lecchesi che a vario titolo hanno partecipato alla lotta contro i nazifascisti ed è germogliata da un’altra mostra allestita a Cernusco Lombardone in occasione delle celebrazioni di quest’anno per il 25 aprile, festa di liberazione nazionale (“La donna dal fascismo alla Resistenza. Le nostre partigiane”).
«“La Resistenza siamo anche noi!” è un titolo provocatorio – ha detto Patrizia Milani - A lungo la Resistenza è stata raccontata solo come lotta armata. Poi, alcune storiche hanno cominciato a rileggere quel periodo con un’attenzione di genere. Parlare di donne nella Resistenza significa parlare di donne nelle Resistenze: la Resistenza civile, la Resistenza diffusa, che hanno visto le donne protagoniste. Era un movimento che partiva dalle case ed emerge la ricchezza dell’universo femminile. Il ruolo delle donne è stato spesso raccontato limitandosi alle staffette. Ma le donne non hanno solo dato un contributo, le donne hanno avuto un ruolo fondamentale, erano presenti in tutti i rami della Resistenza. E senza le donne, anche i gruppi armati non sarebbero stati in grado di sopravvivere».
Liliana Rota ha raccontato com’è iniziato il lavoro di ricerca per la prima mostra cernuschese, con il contributo storico di Alberto Magni e con la consultazione dell’archivio comunale che ha riservato molte sorprese. «E oggi il racconto si arricchisce di nuovi nomi».
Raffaella Cerrato ha sottolineato come la collocazione della mostra, nel corridoio all’ingresso della sala del Consiglio comunale lecchese, «sia giusta perché il Comune è la casa di tutte e di tutti. Ed è quindi giusto che siano qua le nostre donne coraggiose perché è anche per loro se abbiamo un Comune e uno Stato democratici. Perché non dimentichiamoci che è per il loro impegno nella Resistenza se le donne hanno potuto finalmente votare. E chi oggi non vota tradisce la loro memoria e il loro sacrificio. Quelle donne erano volontarie per la libertà perché non erano obbligate a combattere, ma hanno fatto una scelta personale. E senza di loro la Resistenza non sarebbe stata quello che è stata. Sono riflessioni personali che devono diventare collettive su cosa faccio oggi e cosa avrei fatto allora. Oggi c’è una forma acuta di alzheimer sociale: ci si dimentica di troppo, ma la memoria è centrale per il bene comune. Quelle donne erano appassionate femministe e appassionate pacifiste e la nostra liberazione continua ancora oggi contro le violenze di genere e i femminicidi. Le ragazze ci guardano, offriamo loro dei modelli».
Andrea Donato, studente all’istituto Badoni, ha poi parlato dalla propria ricerca “Collegatori, collegatrici, staffette. L’endoscheletro della Resistenza” soffermandosi su alcuni aspetti spesso trascurati: il primo dato che emerge è la maggioranza di donne rispetto agli uomini, il 62% contro il 37. E ciò solo in base alle schede ufficiali dell’esercito alleato che conteggia solo i partecipanti diretti alla battaglia armata.
Ma c’è poi tutto un mondo non registrato in gran parte costituito da donne. Figure dimenticate in una società che è rimasta maschilista. Non a caso tra le migliaia di monumenti presenti in Italia, solo 171 sono dedicati a donne e ci sono solo sei monumenti a partigiane peraltro anonime e altri sei di carattere “collettivo”. «Mi chiedo – la conclusione provocatoria - se la nostra Costituzione sia più rappresentata da Indro Montanelli o dalle partigiane?»
Qualche cifra è stata fornita da Angelo De Battista che ha ricordato come le partigiane combattenti siano state 35mila, le patriote 25mila e si ipotizza che altre 70mila siano state in qualche modo coinvolte in varie iniziative come la rete degli espatri per far fuggire in Svizzera prigionieri e ricercati dal regime, una rete che nei gangli cruciali vedeva proprio le donne. Sono state 4600 le donne arrestate, 3mila quelle giustiziate, 2600 le deportate. Si tratta di persone che non erano costrette a quella scelta.
Come i maschi che dovevano scegliere se arruolarsi nella Rsi o andare dall’altra parte per evitare l’arresto e la deportazione. Le donne non avevano questa necessità. Eppure hanno scelto. Gli studi sul loro ruolo nella Resistenza sono cominciati tardi, alla metà degli anni Settanta grazie ad alcune storiche piemontesi, ma stanno ancora andando avanti e molto c’è ancora da scoprire.La mostra, al primo piano del municipio, è aperta al pubblico da lunedì a venerdì dalle 9 alle 18,30 e il sabato dalle 9 alle 12. Ingresso libero. Per visite di gruppo o scolastiche è necessaria la prenotazione: telefono 0341.251361; e-mail segreteria@anpilecco.it.
D.C.