Lecco rende omaggio alle sue donne nella Resistenza
Per anni, il racconto di una Resistenza eroica le ha lasciate nell’ombra. Eppure il loro ruolo è stato fondamentale. Del ruolo delle donne nella lotta di liberazione si è parlato nel salone Di Vittorio della Cgil lecchese su proposta dell’Associazione Pio Galli, dell’Udi (Unione delle donne in Italia), dell’Anpi (Associazione nazionale partigiani) e della Tavola lecchese per la pace. Con l’attenzione rivolta proprio alle protagoniste del nostro territorio: “Partigiane e deportate: le donne lecchesi nella Resistenza” era infatti il titolo dell’incontro introdotto da Dario Pirovano dell’Associazione Pio Galli.
Il senso dell’iniziativa è stato spiegato da Patrizia Milani, presidente dell’Anpi cittadina: «Tanti anni fa ci fu in città un incontro dedicato alle donne nella Resistenza. Poi non se n’è più parlato. Sull’argomento, c’è stato un ritardo della storiografia ed è mancata, come ha detto una storica, un’ottica di genere: il valore del ruolo delle donne è stato valutato in base alla vicinanza alle azioni maschili, senza dare spazio alle differenze. C’erano donne salite in montagna e altre che non lo erano. I ruoli maschile e femminile sono complementari, non c’è gerarchia ma differenza. Proprio dopo la Resistenza, il ruolo della donna non è più stato come prima».
E’ poi intervenuta Raffaella Cerrato (Udi): «Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro. E oggi è così. Pensiamo a quello che sta succedendo nel nostro Paese. Noi ci sentiamo sorelle delle donne che hanno fatto la Resistenza, una Resistenza che per le donne continua ancora oggi. Allora vennero fondati i Gruppi di difesa della donna che furono molto importanti nelle città. Leggere i documenti di fondazione è emozionante: sono attualissimi. A cominciare dal principio che anche le donne debbono fare politica perché le donne devono avere gli stessi diritti degli uomini. Si usciva dal Fascismo dove succedeva il contrario. Fu l’inizio del processo di emancipazione».
Cerrato ha quindi ricordato la fondazione dell’Udi il cui primo atto fu la battaglia per il voto alle donne e «le donne italiane che oggi non vanno a votare dovrebbero invece ricordare quanto sia costato avere il diritto di voto, non votare per una donna è quasi peggio che per un uomo».
Ha poi ricordato alcune protagonista dell’Udi lecchese: Giancarla Riva e Giovanna Rusconi e prima di loro Maria Preti e Stella Crotta che con “Soccorso rosso” aiutavano i familiari degli antifascisti mandati al confine. E del resto nel 1942 furono le donne a proclamare lo sciopero del pane, una mobilitazione nata con il passaparola per chiedere un aumento delle quote di pane imposte dalla tessera annonaria.
Andrea Donato, studente del “Badoni” ha poi presentato un proprio studio su “Staffette, collegatrici e collegatori” che hanno avuto un ruolo fondamentale nella Resistenza e non era di semplice supporto come si è soliti pensare. Nel Lecchese, il 62% delle staffette erano donne, la più giovane aveva 12 anni, la più anziana 67, per la gran parte casalinghe, seguite dalle operaie. Il simbolo è naturalmente la bicicletta, perché era il mezzo con il quale si poteva andare dappertutto, in un momento in cui molte strade erano impraticabili. Ma i collegatori non si preoccupavano solo di recapitare comunicazioni, informazioni o rifornimento, ma si occupavano anche dei lanci e cioè degli aiuti paracadutati dagli Alleati. Occorreva un’organizzazione accurata, bisognava indicare le zone precise dove far cadere armi e viveri e altro materiali, occorrevano nozioni che persone comune con la bassa istruzione dell’epoca non potevano avere e che invece hanno appreso.
Lo storico Angelo De Battista ha invece concentrato l’attenzione sulle donne deportate nel marzo 1944: Regina Aondio Funes, Emma Casati, Agnese Spandri Fumagalli, Elisa Missaglia, Antonietta Monti, Carlotta Villa.
Le prime cinque erano operaie alla “Rocco Bonati” e facevano parte degli operai lecchesi arrestati dopo gli scioperi del 7 marzo. La sesta, Carlotta Villa, è una delle quattro sorelle Villa la cui casa al Garabuso di Acquate era punto di riferimento importante sulla via dell’espatrio verso la Svizzera di prigionieri miliari, ebrei e altri fuggitivi.
De Battista ne ha ripercorso l’odissea tra i vari campi di concentramento, per quanto molti dettagli siano ancora sconosciuti. Ad Auschwitz, per esempio, si perdono le tracce di Emma Casati, l’unica delle sei a non tornare, probabilmente morta di tifo, malattia per la quale non era stata trasferita in altri campi come le altre per poi lavorare nelle fabbriche del regime nazista in una condizione di costrizione ma che consentiva comunque qualche stento in meno rispetto a chi era rinchiuso nei lager. Dove, si sa, chi era inabile al lavoro veniva lasciato morire o inviato alle camere a gas e il corpo poi incenerito dei forni crematori.
L’incontro è stato anche l’occasione per ricordare le figure di donne lecchesi che tra il 1943 e il 1945 sono state in prima linea nella battaglia patriottica contro i nazifascisti per la conquista della democrazia nel nostro Paese: la stessa Regina Aondio Funes e poi Francesca “Vera” Ciceri Invernizzi, Rachele Ferrari conosciuta come Laura Losi, Ida Omboni, Maria Panzeri Pozzoli.
Alba Monge, Luisa Denti, Giulia Dell’Oro, Angela Locatelli Guzzi, Anna Gentili, Carla Roi, Vittoria Bottani, Editta Giovanna Mainetti e appunto le sorelle Villa: oltre a Carlotta, c’erano Angela, Erminia e Rina.
Molte hanno continuato a testimoniare i valori resistenziali anche successivamente, andando nelle scuole a raccontare ai ragazzi quegli avvenimenti. Qualcuna non ha potuto, come Editta Giovanna Mainetti, rimasta gravemente ferita negli scontri lecchesi del 27 aprile 1945, ferite che l’avrebbero portata alla morte all’indomani della Liberazione. Oggi in vita vi è ancora la sola Carla Roi di Dorio.
Le loro biografie raccontano di funzioni di collegamento, ma anche di riunioni clandestine, di case messe a disposizione dei resistenti, di rocambolesche fughe con documenti importanti, di esili, di carcere.
La lettura delle biografie è stata affidata a persone diverse tra le quali alcuni parenti: Daniela Ciceri (nipote di Francesca Ciceri), Uberto Pozzoli (nipote di Maria Panzeri), Stefano Corbetta (cugino di secondo grado delle sorelle Villa), Claudia Colombo (nipote di Alba Monge), Andrea Funes (nipote di Regina Aondio), Gennaro Pannozzo (nipote di Angela Locatelli).
Le biografie sono rintracciabili sul sito dell’Anpi lecchese (https://www.anpilecco.com/resistenza-lecchese)
Il senso dell’iniziativa è stato spiegato da Patrizia Milani, presidente dell’Anpi cittadina: «Tanti anni fa ci fu in città un incontro dedicato alle donne nella Resistenza. Poi non se n’è più parlato. Sull’argomento, c’è stato un ritardo della storiografia ed è mancata, come ha detto una storica, un’ottica di genere: il valore del ruolo delle donne è stato valutato in base alla vicinanza alle azioni maschili, senza dare spazio alle differenze. C’erano donne salite in montagna e altre che non lo erano. I ruoli maschile e femminile sono complementari, non c’è gerarchia ma differenza. Proprio dopo la Resistenza, il ruolo della donna non è più stato come prima».
E’ poi intervenuta Raffaella Cerrato (Udi): «Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro. E oggi è così. Pensiamo a quello che sta succedendo nel nostro Paese. Noi ci sentiamo sorelle delle donne che hanno fatto la Resistenza, una Resistenza che per le donne continua ancora oggi. Allora vennero fondati i Gruppi di difesa della donna che furono molto importanti nelle città. Leggere i documenti di fondazione è emozionante: sono attualissimi. A cominciare dal principio che anche le donne debbono fare politica perché le donne devono avere gli stessi diritti degli uomini. Si usciva dal Fascismo dove succedeva il contrario. Fu l’inizio del processo di emancipazione».
Cerrato ha quindi ricordato la fondazione dell’Udi il cui primo atto fu la battaglia per il voto alle donne e «le donne italiane che oggi non vanno a votare dovrebbero invece ricordare quanto sia costato avere il diritto di voto, non votare per una donna è quasi peggio che per un uomo».
Ha poi ricordato alcune protagonista dell’Udi lecchese: Giancarla Riva e Giovanna Rusconi e prima di loro Maria Preti e Stella Crotta che con “Soccorso rosso” aiutavano i familiari degli antifascisti mandati al confine. E del resto nel 1942 furono le donne a proclamare lo sciopero del pane, una mobilitazione nata con il passaparola per chiedere un aumento delle quote di pane imposte dalla tessera annonaria.
Andrea Donato, studente del “Badoni” ha poi presentato un proprio studio su “Staffette, collegatrici e collegatori” che hanno avuto un ruolo fondamentale nella Resistenza e non era di semplice supporto come si è soliti pensare. Nel Lecchese, il 62% delle staffette erano donne, la più giovane aveva 12 anni, la più anziana 67, per la gran parte casalinghe, seguite dalle operaie. Il simbolo è naturalmente la bicicletta, perché era il mezzo con il quale si poteva andare dappertutto, in un momento in cui molte strade erano impraticabili. Ma i collegatori non si preoccupavano solo di recapitare comunicazioni, informazioni o rifornimento, ma si occupavano anche dei lanci e cioè degli aiuti paracadutati dagli Alleati. Occorreva un’organizzazione accurata, bisognava indicare le zone precise dove far cadere armi e viveri e altro materiali, occorrevano nozioni che persone comune con la bassa istruzione dell’epoca non potevano avere e che invece hanno appreso.
Lo storico Angelo De Battista ha invece concentrato l’attenzione sulle donne deportate nel marzo 1944: Regina Aondio Funes, Emma Casati, Agnese Spandri Fumagalli, Elisa Missaglia, Antonietta Monti, Carlotta Villa.
Le prime cinque erano operaie alla “Rocco Bonati” e facevano parte degli operai lecchesi arrestati dopo gli scioperi del 7 marzo. La sesta, Carlotta Villa, è una delle quattro sorelle Villa la cui casa al Garabuso di Acquate era punto di riferimento importante sulla via dell’espatrio verso la Svizzera di prigionieri miliari, ebrei e altri fuggitivi.
Alba Monge, Luisa Denti, Giulia Dell’Oro, Angela Locatelli Guzzi, Anna Gentili, Carla Roi, Vittoria Bottani, Editta Giovanna Mainetti e appunto le sorelle Villa: oltre a Carlotta, c’erano Angela, Erminia e Rina.
Le loro biografie raccontano di funzioni di collegamento, ma anche di riunioni clandestine, di case messe a disposizione dei resistenti, di rocambolesche fughe con documenti importanti, di esili, di carcere.
D.C.