Giir di Mont… letteralmente/10: Solino, il “balcon della valle” risorto più bello di prima dopo un terribile incendio
Dopo circa trenta minuti di cammino dall’alpe Premaniga (percorrendo il versante della Valvarrone in direzione di Dervio), giungiamo al decimo alpeggio del nostro Giir di Mont… letteralmente: siamo all’alpe Solino, il secondo mont più piccolo dopo l’alpe Vegessa. Al pari di quest’ultima, anche Solino è un alpeggio di costituzione relativamente recente, che nasce “per distacco” dalla vicina alpe Piancalada (la conosceremo nella prossima uscita).
Gli edifici che oggi costituiscono le quattordici unità abitative dell’alpeggio – disposte in fila, una unita all’altra, e situate al limitare di un vasto pascolo - fino a una cinquantina di anni fa non erano altro che le soste per il ricovero del bestiame utilizzate dagli alpigiani di Piancalada (che di pascolo ne avevano invece ben poco, ne riparleremo…).
Negli anni Settanta (dunque, un decennio più tardi rispetto a Vegessa) prese il via una prima fase di ristrutturazioni – il trasporto del materiale da Premana era ancora “responsabilità” dei muli… - che nei primi Ottanta aveva ormai trasformato tutte le soste in baite: nasceva così Solino, il dodicesimo alpeggio premanese. “[…] di tutti gli alpeggi sei l’ultimo nato, sei piccolo e solo lassù appollaiato” ci raccontano le strofe della canzone del Grest del 1982, le quali ci descrivono anche la tranquillità di un alpeggio meno “affollato” rispetto agli altri: “La tua fortuna col sole e la pace, è l’aria serena, il mondo che tace. Per fare vacanza vai proprio benone, noi lieti godiamo di questa occasione”.
Nonostante fosse “piccolo, solo e appena nato”, negli anni Ottanta anche Solino visse il suo periodo di splendore e di vitalità, tanto che le stesse strofe ribadiscono: “Siam pochi ma amici con tanta allegria. Evviva Solino e la sua compagnia”. Gli alpigiani passavano anche due mesi in alpe, dove c’erano ancora due stalle per le mucche. Quelli però non furono anni soltanto di allegria… e soprattutto di allegria ce ne fu poca – di paura e rabbia molte di più – la sera del 17 luglio 1987, quando un fulmine colpì e incendiò cinque baite, tra le prime ad essere state ristrutturate una decina di anni prima.
Lasciamo per un momento la parola ad uno degli alpigiani – ragazzino all’epoca – la cui baita fu completamente distrutta dalle fiamme. “È venerdì sera, piove che Dio la manda... Uno di quei temporali estivi particolarmente violenti, un turbinio di tuoni e fulmini. Uno di questi si abbatte sulle baite di Solino ed il conseguente incendio ne distrugge cinque; gli alpigiani della Valvarrone e della Val Fraina assistono in diretta allo spettacolo pirotecnico favorito dall'esplosione di diverse bombole di gas. Il giorno dopo, immediato sopralluogo, con la mamma, ottimista, che prende le chiavi di casa. Non sarebbero servite. È tutto un groviglio di rottami e di sassi; è colato tutto, anche le bottiglie di vetro. Ma nessun dramma, i drammi riguardano le persone. L'operazione ricostruzione, in testa mio papà, parte senza esitazione; il mitico Giacomo Lizzoli (Rósi) e il Dante di Pagnona la settimana successiva già erigono nuovi muri. Il 6 agosto viene posata la trave di colmo, pochi giorni dopo, la copertura del tetto. Fu un'estate movimentata, senza tregua, un vai e vieni continuo tra Solino, Premana e Premaniga (campo base provvisorio). Ero un bambino, e quasi mi dispiaceva di non poter dare il mio pieno contributo, sebbene avessi portato la mia dose di materiale a spalla (l'elicottero volò un solo giorno per tutti col materiale edile; il resto da Premaniga...). Pochi mesi dopo la baita era pronta da abitare, più bella, comoda, isolata, spaziosa e, come prima e più di prima, sempre aperta a tutti!! Le cinque baite vennero ricostruite tutte insieme, dividendosi le spese un po’ a spanne e senza troppa burocrazia. Ma il bello era che ogni giorno arrivava manodopera nuova e inaspettata, trasportatori occasionali che ti arrivavano a Solino con in spalla qualche fascio di perline, che prelevavano direttamente nella stalla, sempre aperta, del Mario falegname a Premaniga. Non erano ancora tempi di cellulari, ma quando bisognava posare il colmo del tetto, bastava un passaparola, e non c'erano problemi. Ricorderò per sempre di quell'estate soprattutto l'aiuto spontaneo di decine di parenti, amici, conoscenti, tutti solidali, e forse anche desiderosi di cancellare in fretta i ruderi, e vedere al più presto, con noi, Solino rinascere”.
E così, per l’appunto, Solino rinacque, e forse più bello di prima. Per tutti gli anni Novanta, questo mont fu ancora decisamente frequentato dai (pur pochi) alpigiani, mentre con l’entrata nel nuovo millennio sono sempre meno coloro che passano le proprie vacanze a Solino (per dare un’idea, l’ultimo past si è svolto nel 2006). Semmai, Solino è diventato un luogo di transito di diverse escursioni, oltre che esso stesso una delle mete più ambite nel territorio premanese per una breve passeggiata su quattro stagioni. La sua esposizione – e in generale quella di tutto il versante della montagna (ricordate quanto detto per Premaniga?) – lo rende una destinazione molto frequente per una camminata anche nei periodi più freddi. A proposito, Solino è il mont più soleggiato del territorio premanese – ed ecco spiegato il suo nome – e compete con i dirimpettai dell’alpe Chiarino per quale dei due offra il panorama migliore. “Solino balcon della valle, Solino la terra del sole”: così l’alpeggio viene descritto dalla stessa canzone del Grest. La vista che si gode dal “piazzöl de Solîn” (lo spiazzo poco distante dalle baite) è infatti eccezionale, in estate e forse ancor di più in inverno: da lì si può dominare con lo sguardo l’intera Valvarrone (“Tu sai del Varrone la foce e l’inizio, tu guardi nel lago il tramonto del sole”) e si riescono a scorgere le vette principali del territorio, tra le quali il Pizzo dei Tre Signori.
Dal 2015 al 2019, l’alpeggio è stato inoltre traguardo della gara di corsa in montagna, di sola salita, denominata “Solino in 20’”. Organizzata dall’Associazione Sportiva di Premana insieme con la compagnia dell’alpeggio, la competizione nasceva come una sorta di “sfida contro il tempo” – ancor prima che con gli avversari: percorrere il tratto da Premana a Solino (2,1 km e 600 metri di dislivello) in meno di venti minuti. Nelle cinque edizioni disputate, in verità sono pochi quelli che ci sono riusciti, mentre la “Solino in 20’” si è affermata in breve tempo come una competizione di buon livello, partecipata da runner di spessore, oltre che come occasione di festa per gli alpigiani. Nel 2022, inoltre, Solino è stato traguardo del “Giir di Mont Uphill”, nuovo format della tradizionale gara di corsa in montagna del premanese (poi mai più ripetuto), valido in quell’occasione come campionato italiano di corsa in montagna categoria “solo salita” e come prova per la classifica World Athletics “VALSIR Mountain Running World Cup” categoria “short uphill”.
Anche a Solino non manca poi una bella cappelletta, costruita nel 1956 a pochi passi dalle baite, mentre la tradizionale croce di legno, tipica di tutti gli alpeggi, ormai qui non la si ripianta più perché sistematicamente abbattuta dai fulmini…
Un’ultima nota su Solino ci ricorda che anche questo mont – alla pari di Chiarino – era noto per la scarsità di acqua: non ci sono infatti sorgenti nelle vicinanze, ma solo qualche pozza dove potevano abbeverarsi le mucche. Gli alpigiani costruirono dapprima una cisterna – nella seconda metà degli anni Quaranta – mentre nel 1977 la realizzazione di un acquedotto “volante” della lunghezza di un chilometro e mezzo ha portato l’acqua all’interno delle case. E sottolineiamo che – nonostante l’altitudine – se la neve scende a coprire le tubature, in inverno l’acqua non gela e continua a rifornire gli alpigiani. Restando in tema, beviamo un bel sorso d’acqua al pozzo e ci muoviamo in direzione di Piancalada, l’undicesimo alpeggio del nostro Giir di Mont… letteralmente. Si riparte!
Gli edifici che oggi costituiscono le quattordici unità abitative dell’alpeggio – disposte in fila, una unita all’altra, e situate al limitare di un vasto pascolo - fino a una cinquantina di anni fa non erano altro che le soste per il ricovero del bestiame utilizzate dagli alpigiani di Piancalada (che di pascolo ne avevano invece ben poco, ne riparleremo…).
Negli anni Settanta (dunque, un decennio più tardi rispetto a Vegessa) prese il via una prima fase di ristrutturazioni – il trasporto del materiale da Premana era ancora “responsabilità” dei muli… - che nei primi Ottanta aveva ormai trasformato tutte le soste in baite: nasceva così Solino, il dodicesimo alpeggio premanese. “[…] di tutti gli alpeggi sei l’ultimo nato, sei piccolo e solo lassù appollaiato” ci raccontano le strofe della canzone del Grest del 1982, le quali ci descrivono anche la tranquillità di un alpeggio meno “affollato” rispetto agli altri: “La tua fortuna col sole e la pace, è l’aria serena, il mondo che tace. Per fare vacanza vai proprio benone, noi lieti godiamo di questa occasione”.
Lasciamo per un momento la parola ad uno degli alpigiani – ragazzino all’epoca – la cui baita fu completamente distrutta dalle fiamme. “È venerdì sera, piove che Dio la manda... Uno di quei temporali estivi particolarmente violenti, un turbinio di tuoni e fulmini. Uno di questi si abbatte sulle baite di Solino ed il conseguente incendio ne distrugge cinque; gli alpigiani della Valvarrone e della Val Fraina assistono in diretta allo spettacolo pirotecnico favorito dall'esplosione di diverse bombole di gas. Il giorno dopo, immediato sopralluogo, con la mamma, ottimista, che prende le chiavi di casa. Non sarebbero servite. È tutto un groviglio di rottami e di sassi; è colato tutto, anche le bottiglie di vetro. Ma nessun dramma, i drammi riguardano le persone. L'operazione ricostruzione, in testa mio papà, parte senza esitazione; il mitico Giacomo Lizzoli (Rósi) e il Dante di Pagnona la settimana successiva già erigono nuovi muri. Il 6 agosto viene posata la trave di colmo, pochi giorni dopo, la copertura del tetto. Fu un'estate movimentata, senza tregua, un vai e vieni continuo tra Solino, Premana e Premaniga (campo base provvisorio). Ero un bambino, e quasi mi dispiaceva di non poter dare il mio pieno contributo, sebbene avessi portato la mia dose di materiale a spalla (l'elicottero volò un solo giorno per tutti col materiale edile; il resto da Premaniga...). Pochi mesi dopo la baita era pronta da abitare, più bella, comoda, isolata, spaziosa e, come prima e più di prima, sempre aperta a tutti!! Le cinque baite vennero ricostruite tutte insieme, dividendosi le spese un po’ a spanne e senza troppa burocrazia. Ma il bello era che ogni giorno arrivava manodopera nuova e inaspettata, trasportatori occasionali che ti arrivavano a Solino con in spalla qualche fascio di perline, che prelevavano direttamente nella stalla, sempre aperta, del Mario falegname a Premaniga. Non erano ancora tempi di cellulari, ma quando bisognava posare il colmo del tetto, bastava un passaparola, e non c'erano problemi. Ricorderò per sempre di quell'estate soprattutto l'aiuto spontaneo di decine di parenti, amici, conoscenti, tutti solidali, e forse anche desiderosi di cancellare in fretta i ruderi, e vedere al più presto, con noi, Solino rinascere”.
E così, per l’appunto, Solino rinacque, e forse più bello di prima. Per tutti gli anni Novanta, questo mont fu ancora decisamente frequentato dai (pur pochi) alpigiani, mentre con l’entrata nel nuovo millennio sono sempre meno coloro che passano le proprie vacanze a Solino (per dare un’idea, l’ultimo past si è svolto nel 2006). Semmai, Solino è diventato un luogo di transito di diverse escursioni, oltre che esso stesso una delle mete più ambite nel territorio premanese per una breve passeggiata su quattro stagioni. La sua esposizione – e in generale quella di tutto il versante della montagna (ricordate quanto detto per Premaniga?) – lo rende una destinazione molto frequente per una camminata anche nei periodi più freddi. A proposito, Solino è il mont più soleggiato del territorio premanese – ed ecco spiegato il suo nome – e compete con i dirimpettai dell’alpe Chiarino per quale dei due offra il panorama migliore. “Solino balcon della valle, Solino la terra del sole”: così l’alpeggio viene descritto dalla stessa canzone del Grest. La vista che si gode dal “piazzöl de Solîn” (lo spiazzo poco distante dalle baite) è infatti eccezionale, in estate e forse ancor di più in inverno: da lì si può dominare con lo sguardo l’intera Valvarrone (“Tu sai del Varrone la foce e l’inizio, tu guardi nel lago il tramonto del sole”) e si riescono a scorgere le vette principali del territorio, tra le quali il Pizzo dei Tre Signori.
Dal 2015 al 2019, l’alpeggio è stato inoltre traguardo della gara di corsa in montagna, di sola salita, denominata “Solino in 20’”. Organizzata dall’Associazione Sportiva di Premana insieme con la compagnia dell’alpeggio, la competizione nasceva come una sorta di “sfida contro il tempo” – ancor prima che con gli avversari: percorrere il tratto da Premana a Solino (2,1 km e 600 metri di dislivello) in meno di venti minuti. Nelle cinque edizioni disputate, in verità sono pochi quelli che ci sono riusciti, mentre la “Solino in 20’” si è affermata in breve tempo come una competizione di buon livello, partecipata da runner di spessore, oltre che come occasione di festa per gli alpigiani. Nel 2022, inoltre, Solino è stato traguardo del “Giir di Mont Uphill”, nuovo format della tradizionale gara di corsa in montagna del premanese (poi mai più ripetuto), valido in quell’occasione come campionato italiano di corsa in montagna categoria “solo salita” e come prova per la classifica World Athletics “VALSIR Mountain Running World Cup” categoria “short uphill”.
Anche a Solino non manca poi una bella cappelletta, costruita nel 1956 a pochi passi dalle baite, mentre la tradizionale croce di legno, tipica di tutti gli alpeggi, ormai qui non la si ripianta più perché sistematicamente abbattuta dai fulmini…
Un’ultima nota su Solino ci ricorda che anche questo mont – alla pari di Chiarino – era noto per la scarsità di acqua: non ci sono infatti sorgenti nelle vicinanze, ma solo qualche pozza dove potevano abbeverarsi le mucche. Gli alpigiani costruirono dapprima una cisterna – nella seconda metà degli anni Quaranta – mentre nel 1977 la realizzazione di un acquedotto “volante” della lunghezza di un chilometro e mezzo ha portato l’acqua all’interno delle case. E sottolineiamo che – nonostante l’altitudine – se la neve scende a coprire le tubature, in inverno l’acqua non gela e continua a rifornire gli alpigiani. Restando in tema, beviamo un bel sorso d’acqua al pozzo e ci muoviamo in direzione di Piancalada, l’undicesimo alpeggio del nostro Giir di Mont… letteralmente. Si riparte!
Rubrica a cura di Alessandro Tenderini