Giir di Mont…letteralmente/3: Casarsa, l’alpeggio nella “valle della fame” che era “casa” del tenente Todeschini
Dopo una decina di minuti di discesa dall’alpe Barconcelli, eccoci giunti al terzo alpeggio del nostro di Giir di Mont...letteralmente. Attraversiamo il fiumiciattolo che scorre ai nostri piedi e siamo pronti a scoprire l’alpe Casarsa, situata a 1.180 m.s.l.m.
Anche in questo caso non manca qualche caratteristica curiosa. Se all’alpe Chiarino si rischia di soffrire la sete, per l’alpe Casarsa l’appellativo “valle della fame” pare essere autoesplicativo. L’alpeggio a pochi passi da Barconcelli e ancor più vicino all’alpe Forni – che conosceremo nella prossima uscita – negli anni del dopoguerra subiva infatti la spietata concorrenza dei “vicini” nell’accesso ai pascoli per il bestiame. L’erba per bovini e caprini era insufficiente e le donne di Casarsa erano costrette ad andare a raccogliere il fieno selvatico tra le rocce sopra l’alpeggio per poter integrare l’alimentazione del bestiame. Anche nelle strofe di “Ól Giir di Mónt” non manca un accenno a questo fatto: “Ént in Casàrse, queste a l’è vége, ai à da fa ün böc in-tè la corège; daan s’a l’è pòche l’è èrbe bóne racomandèves a la Madóne” (“In Casarsa, questa è vecchia, devono fare un buco nella cintura; anche se è poca è erba buona, raccomandatevi alla Madonna”).
Oggi per fortuna gli alpigiani di Casarsa non hanno più di questi problemi e possono trascorrere estati spensierate in un alpeggio che è facilmente raggiungibile e che - insieme ai vicini Forni – è sempre molto “trafficato” in quanto luogo di passaggio per diverse escursioni.
Trafficata, ma con ben altra accezione, l’alpe Casarsa era anche negli anni della Seconda Guerra Mondiale, quando l’alpeggio fu teatro di eventi drammatici. Covo dei partigiani, nell’ottobre del 1944 Casarsa fu bruciata dalle milizie della RSI, anche se – a differenza di Barconcelli, dove a salvarsi fu una sola abitazione – alcune case riuscirono a scampare alle fiamme. Un anno dopo i fratelli Ambrosioni (del casato “Mas-cìt”) allestirono una segheria funzionante ad acqua lungo il fiume Varrone al fine di lavorare il legname per la ricostruzione e a poco a poco l’alpeggio rinacque.
Tra i tanti partigiani che si rifugiarono in Casarsa e combatterono tra le valli premanesi nel corso della Guerra di Liberazione, una menzione particolare la merita certamente il tenente Giovan Battista Todeschini, “volto noto” della Resistenza locale.
Se è vero che ogni premanese “appartiene” per nascita al proprio mont, il tenente Todeschini era proprio un alpigiano di Casarsa. Così, qualche anno fa la compagnia dell’alpeggio ha deciso di trasferire la sua lapide – che stava per essere “rimossa” dal cimitero di Premana – presso il Gergiól dal Pégnadûr, una cappelletta situata a una ventina di minuti di cammino da Casarsa, lungo la strada che parte da Giabbio e porta fino in Varrone.
Di proprietà della stessa Compagnia di Casarsa, la chiesetta si divide in due parti, costruite in momenti diversi. La storia più celebre e curiosa riguarda la sua campanella per il richiamo ai fedeli, che proviene da una località sperduta delle Alpi Occidentali, “prelevata” da un soldato valtellinese – mandriano da civile - dai ruderi di una piccola chiesetta che era stata completamente distrutta dalle granate. Terminata la guerra, il valtellinese portò la campana al premanese Nicola “Bondiàl”, noto per le sue non comuni capacità nella fusione del bronzo, chiedendogli di ricavarne dei campanacci per le sue bestie. Nicola si rifiutò e offrì al valtellinese di scambiare quella campanella con alcuni campanacci già disponibili: quest’ultimo accettò di buon grado. Il 27 giugno 1954, in occasione di una festa al pégnadûr, Nicola – alpigiano di Casarsa - decise di donare quella campana alla chiesetta del suo alpeggio.
Proseguendo nella nostra finestra sulla storia, ricordiamo anche un’altra cappelletta dell’alpe Casarsa, situata questa volta nella piazzetta centrale dell’alpeggio (la Piàzze ‘t bélân). Fortemente voluta dagli alpigiani – che non avevano una chiesetta vicino alle case – e costruita dal muratore Dionigi Pomi (detto Nicio di Crisc) la cappelletta fu inaugurata nel 1947, dopo che Casarsa era rinata una prima volta, con le case che erano state completamente ricostruite dopo l’incendio del 1944.
Quell’ “una prima volta” non è casuale; al contrario ci dice che l’alpe Casarsa dovette più volte risollevarsi nel corso della sua storia: non più a causa della guerra, ma di alcuni eventi calamitosi. Nel 1975 una grande valanga scesa verso l'alpeggio dalla Valle di Barconcelli invase le abitazioni e vi recò grossi danni; gli alpigiani però sistemarono nuovamente le baite colpite.
Nel 2019 poi la grande alluvione di giugno che investì Premana e altre zone della provincia non risparmiò l’alpe Casarsa: due frane scesero in successione dall’alpe Barconcelli ma – fortunatamente - seguirono il corso della medesima valle, senza deviare verso le baite.
Passiamo ora in rassegna alcuni dei luoghi più noti dell’alpeggio. Oltre alla sopramenzionata Piàzze ‘t bélân, ecco la “Piàzze di Mas-cît” (il centro dell’alpe, dove ci si ritrova e si celebrano le messe), él bâit (la zona con le soste delle vacche), la prüme raal (dove si facevano i poiàt con il carbone), il gua da bagn (una pozza d’acqua nel Varrone, condivisa con l’alpe Forni.
Recentemente compromessa dopo un forte temporale, è stata ricostruita e continua a costituire una “meta ambita” dai bagnanti, compresi quelli di passaggio che non vedono l’ora di darsi una bella rinfrescata); la cros (un’alta croce in legno posta in un punto panoramico, che è anche “luogo di meditazione”); Bonacc (una zona lungo la strada che conduce all’alpe Varrone, con bellissimi prati dove fino agli anni Settanta si organizzava il tradizionale past del 15 agosto, poi “spostato” in alpeggio); infine, il cantonscèl (la zona dalla quale siamo appena discesi, con la sua aria gelida che rinfresca l’alpe Casarsa nelle sere estive più torride).
Non mancano infine alcuni personaggi storici di Casarsa, come il “Toni Conili” - che tutti i giorni andava avanti e indietro da Varrone col mulo a portare il formaggio – e il “Tino di Mas-cìt” – pastore che con le sue capre passava lunghissimi periodi in alpeggio, spesso restandoci da solo anche fino a ottobre.
Per il resto, l’alpe Casarsa è certamente un mont molto vivo: diverse baite appartengono a oriundi premanesi che non mancano di passare in alpeggio una parte del periodo estivo; nel 2012 gli alpigiani hanno ricevuto la visita del cardinale Tettamanzi, per una bella giornata di meditazione e di festa; un recente intervento manutentivo ha creato una nuova strada di accesso, a favore degli alpigiani più anziani e di quelli disabili.
Terminata la visita di questo bel mont, non ci resta che rimetterci in cammino: l’alpe Forni è davvero a pochi passi, già la vediamo di fronte a noi! Pronti per conoscere anche l’alpe Vegessa, ci avviamo…
Continua/4