Giir di Mont…letteralmente/2: a Barconcelli la Madonnina della caravîne veglia su un alpeggio ricco di storia e grande… “come Milàan”!
Prosegue il nostro Giir di Mont... letteralmente
Siamo nel mezzo della prima discesa di giornata, la strada è ancora tanta … d’un tratto ci viene un dubbio… non ci saremo mica persi!?! Davanti a noi sorgono infatti tante, tantissime case, questo centro sembra troppo grande per essere uno degli alpeggi premanesi… grande “come Milàan”! Niente paura, il capoluogo lombardo è decisamente lontano. Ci troviamo solamente all’ingresso del mont più esteso, l’alpe Barconcelli. E anche se la canzone del Grest del 1982 ci racconta che “Barconscèi ‘l è come Milàan al è lónch per sü e gió, al è larch per scià e là e gh’è sü cinquanta ca” (“Barconcelli è come Milano, è molto lungo, è molto largo e ci sono cinquanta case”), uno sguardo all’ambiente che ci circonda ci dovrebbe rassicurare. Addentriamoci…
Barconcelli deriva il suo nome da “barec” o “barc”, parole celtiche che significano “recinto”, con particolare riferimento a un recinto costruito con sassi a secco. Infatti, pare che nella Valle di Barconcelli ne esistessero almeno due molto vasti. Nel corso della Guerra di Liberazione l’alpeggio costituì un importante rifugio per i partigiani e fu teatro di eventi sanguinosi. L’8 ottobre 1944 una squadra del distaccamento partigiano “Carlo Marx” cadde in un’imboscata lungo il sentiero che sale verso Barconcelli, dopo che il giorno precedente erano stati gli stessi partigiani ad attaccare i nazifascisti.
Nello scontro a fuoco ai piedi dell’alpeggio cinque uomini della Resistenza persero la vita: oggi una croce in ferro – la “cròs di partigiani” – tiene viva la memoria del loro sacrificio. Nei giorni seguenti proseguirono gli scontri e l’11 ottobre Barconcelli fu vittima di un grande incendio provocato dai nazifascisti, che distrusse praticamente tutte le abitazioni. Con il tempo l’alpeggio è stato ricostruito e sono ancora oggi numerosissimi gli alpigiani che salgono nel periodo estivo.
Ma quali sono le peculiarità del più grande alpeggio premanese? Be’, certamente la prima cosa che salta all’occhio è la grande caravina (un agglomerato di pietre di origine franosa) di sassi che si trova giusto sopra le case e che copre praticamente tutta la lunghezza del “centro abitato”. Tra i simboli distintivi di Barconcelli (oltre che “casa” di molte marmotte), la “caravîne” è soprattutto un luogo di divertimento per i bambini, che sui sassi roventi fanno bollire il tè e cuociono le patate (certo, ci vuole un po’di pazienza!), mentre genitori e nonni raccomandano loro prudenza.
È ancora vivo in molti, infatti, il ricordo di quel 16 agosto 1964, quando – a seguito di un violento temporale occorso il giorno prima – un grosso masso si staccò dai dirupi che sovrastano la caravina e scese verso Barconcelli, sfaldandosi in più parti. Una bimba stava giocando tra i sassi e, per miracolo, fu solamente sfiorata da alcune schegge di pietra, senza rimanere ferita. L’anno successivo tra le rocce soprastanti sorse una bellissima statua della Madonna, in marmo di Carrara, in riconoscenza alla grazia ricevuta. Da quel momento la “Madonnina della caravîne” veglia su tutto l’alpeggio. “Ma la nòse Madonìne l’è la còse püsèe carìne e da sóre al caravìin l’an percüre sire a matìin” (“Ma la nostra Madonnina è la cosa più carina e da sopra la caravina ci protegge sera e mattina”) recita la canzone del Grest del 1982.
Uno dei punti di forza dell’alpe Barconcelli è la grande abbondanza di acqua (non proprio il cavallo di battaglia del primo alpeggio che abbiamo incontrato…), con lo storico “Riàal” - una canalina artificiale in pietra che prende l’acqua dalla vicina valle - che attraversando l’alpeggio da nord a sud rifornisce le tante fontane, la cascina e le due “lavandèer” (i lavatoi), oltre a permettere il funzionamento della teleferica (altro “simbolo” di questo mont).
L’alpeggio gode infine di una collocazione particolarmente strategica, che ne fa un punto di partenza per diverse possibili escursioni. “E per chicchè vööl girà ai gh’à nóma ól sentèer da intivà” (“E per chi vuole girare, c’è solo il sentiero da centrare”) ci spiegano sempre gli alpigiani nelle stesse strofe.
Procedendo oltre le case – cioè, da dove siamo arrivati nel nostro Giir di Mont virtuale – incontriamo i bellissimi pascoli di Pescegallo, dai quali è possibile proseguire fino alla zona dei Laghít. È proprio tra questi prati che fine a qualche decennio fa – ma quest’anno le condizioni meteo favorevoli hanno permesso un graditissimo ritorno - si svolgeva la tradizionale gara di sci di Barconcelli, fissata sempre a cavallo tra la stagione invernale e quella primaverile. Anche in questo caso non manca il riferimento nella canzone del 1984: “am fa la gare vèrs primavère!” (“facciamo la gara verso primavera”).
Presso i Laghít si tiene anche la tradizionale e omonima festa, che cade il 18 agosto di ogni anno: gli alpigiani salgono insieme in quota, celebrano la messa e poi pranzano in compagnia. Spingendosi ancora oltre, ecco che la Valbiandino non è una meta inusuale per gli alpigiani di Barconcelli, i quali ancora oggi talvolta raggiungono la valle nel comune di Introbio per partecipare alla santa messa delle ore 11.00 la domenica mattina.
Attraversando il bel torrente che scorre ai piedi dell’alpeggio, giungeremo invece nella zona della “bâse” e del “lazzaret”, con quest’ultimo che trae il proprio nome dalla grande moria di animali avvenuta negli anni Trenta del Novecento a causa dell’afta epizootica (che furono sepolti lì). Alla “bâse” invece il 14 agosto di ogni anno arde la tradizionale fógarâte (il rogo di una grande catasta di legna), in un punto dal quale è possibile osservare anche le pire dell’alpe Forni, dell’alpe Casarsa, dell’alpe Premaniga e dell’alpe Solino, che bruciano in contemporanea.
Se proseguiamo il nostro cammino, dopo pochi metri noteremo una cappelletta che si affaccia sulla valle. Si tratta del “giargiööl di vèrmi”, che, oltre ad essere un ottimo punto di osservazione, ha una storia molto particolare. Venne infatti costruito in omaggio alla Madonna, dopo che nel 1885 il pastore Alessandro Spazzadeschi fu protagonista di un episodio da brividi. Addormentatosi tra le rocce, al risveglio aveva addosso alcune vipere: con un gran sangue freddo, Alessandro non si mosse e – forse proprio grazie a un intervento divino – dopo qualche minuto i serpenti se ne andarono senza averlo morso. Procedendo oltre, raggiungeremo poi la Malga di Artino (dove si trova l’omonimo ristoro, attualmente in ristrutturazione) e, ancora più avanti, l’alpe Varrone.
L’ultimo possibile sentiero da imboccare è proprio quello che percorrono gli atleti del Giir di Mont (e che, dunque, seguiremo anche noi). Scendendo verso l’alpe Casarsa – prossimo alpeggio di giornata – passeremo per il cantonscèl, noto per la sua aria gelida: piacevole in salita, un po’ meno in discesa.
Andiamo!
Continua/3