SCAFFALE LECCHESE/216: l'epistolario tra Stoppani e la nipote-assistente Cecchina Cornelio

«E’ pubblicato un libro ipocritamente infame, anonimo contro di me. Chi sa che non dia luogo a processo». Così, il 24 ottobre 1886 don Antonio Stoppani scriveva da Milano alla nipote Cecchina. Di lì a poco, l’abate e geologo avrebbe querelato per diffamazione don Davide Albertario, direttore dell’Osservatore Cattolico e nel luglio del 1887 si sarebbe tenuto il processo che avrebbe dato ragione al lecchese. Fu un caso clamoroso, un capitolo della battaglia a quell’epoca in corso all’interno della Chiesa tra intransigenti e conciliatoristi, tra conservatori e modernisti. 
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Antonio Stoppani

L’accenno a quella vicenda è contenuto in una delle lettere raccolte in un libro datato Pasqua 1957: “Epistolario inedito di Antonio Stoppani con la nipote Cecchina Cornelio e con scienziati del tempo”. Il cuore è appunto costituito dalle 45 lettere inviate alla nipote. Il volume si deve al professor Ettore Penasa, nel 1957 preside dell’istituto tecnico “Giuseppe Parini”, e venne stampato dalla tipografia “Arte Grafica Valsecchi”. Lo rispolveriamo alla viglia dell’anniversario bicentenario della nascita del “nostro “ che si celebrerà il prossimo giovedì pare con l’apposizione di una nuova targa sulla casa natale di piazza XX Settembre.
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L’epistolario è corredato da un notevole apparato di note che consentono anche a un lettore comune di comprendere alcuni scarni riferimenti contenuti nelle lettere e che altrimenti resterebbero oscuri e muti. Dando così a quelle brevi “epistole”, messaggi quasi telegrafici e frasi laconiche, la corposità di una narrazione storica.
Il volume, come il titolo suggerisce, non contiene solo le lettere alla nipote. Ce n’è un’altra ventina, tra le quali anche una inviata a re Umberto che aveva chiesto una copia del libro “Il dogma e le scienze positive” che lo Stoppani aveva pubblicato in seconda edizione nel 1885.
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Il monumento lecchese a Stoppani

Da parte sua, Penasa ha arricchito il volume con gli alberi genealogici, complessi e intricati, delle famiglie Stoppani e Cornelio, con brevi saggi sul geologo lecchese quale pioniere delle ricerche petrolifere in Italia, sulla mobilitazione per l’erezione del monumento lecchese ad Alessandro Manzoni per la quale don Antonio fu il principale animatore, Alcuni appunti dello stesso Stoppani e il racconto delle sue peregrinazioni alla ricerca di “sassi” completano un’opera di indubbio spessore.
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Usciva, come detto, nel 1957, quando appunto Penasa dirigeva l’istituto Parini. Scuola dove, a insegnare lettere, c’era il professor Luigi Colombo che in quegli anni era anche sindaco della città. Ed è curioso, dunque, leggere tra gli interventi introduttivi le riflessioni che il sindaco Colombo dedica all’opera del proprio preside al momento di riconsegnargli un fascicolo che «è stato ora sulla mia scrivania d’ufficio, ora su quella di casa (…), me lo sono sentito vicino come un amico fraterno, pronto ad offrirmi di tanto in tanto il viatico di un alto messaggio di Fede, di scienza, di umanità, d’arte: di tutto quello a cui Ella, signor preside, ha dedicato, per tanti e tanti giovani passati nella “nostra” scuola, tutta la sua esistenza di insegnante e di educatore».
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La tomba di Stoppani

Le lettere a Cecchina sono quelle che i famigliari affidarono ai musei cittadini all’indomani del decesso della donna, nel 1929. Quasi trent’anni più tardi «è parso a chi scrive queste note – spiega il preside Penasa nell’introduzione – che l’insieme di queste lettere tuttora inedite meritassero, prima che l’ala del tempo ne abbia a distruggere i caratteri, di essere fissate e rese note a quanti si interessano alla grande figura del nostro cittadino che fu scienziato, patriota e “prete scagnozzo” com’egli modestamente diceva e scriveva di sé, che ha saputo però armonizzare nel pensiero e nell’opera le tre grandi idealità di Fede, di Scienza e di Patria.
Al “recupero” di quei testi in pericolo si dedicarono due giovani «i quali con vero entusiasmo hanno raccolto, interpretato, talora con non poca difficoltà e diligentemente trascritte le lettere a Cecchina, collaborando così in maniera meritoria alla stesura del presente lavoro». Quei giovani avrebbero poi avuto ruoli importanti nella vita culturale cittadina: uno si chiamava Marino Sottocornola e fu tra gli animatori del Circolo Musicale, l’altro Giacomo De Santis che sarebbe poi diventato l’editore-direttore per vent’anni di quel “Giornale di Lecco che Aroldo Benini stava mandando nelle edicole proprio nella primavera del 1957.
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Ma chi era Cecchina? Penasa ci dice che Francesca Cornelio, affettuosamente Cecchina, «si spense ottantunenne il 22 ottobre 1929 nella sua dimora lecchese di vicolo S. Giacomo (ex vicolo Sanguète) e con lei è scomparsa un’altra memoria vivente del grande geologo. Essa è stata la nipote prediletta; vissuta per 18 anni a fianco del suo illustre zio, ne ha divise le peripezie in alcuni viaggi, è stata l’accurata amanuense di parecchi di lui scritti e negli ultimi anni riferiva spesso con grande lucidità di mente e con giusto orgoglio molti episodi della di lui vita. (…) La signora Cecchina era figlia di Zaccaria Cornelio cancelliere del Tribunale di Lecco e di Maria, comunemente chiamata Marietta, Stoppani (sorella dell’abate, ndr). Era andata sposa l’8 marzo 1870 a 23 anni a un tal Giuseppe Agostino Antonio Gilardi cappellaio in Lecco, ma non aveva tratto dal matrimonio quelle soddisfazioni che aveva sperato. Di tutti i nipoti, era la prima nata nel 1847 e, invitata dallo Stoppani, aderì di buon grado, anche per trovare uno scopo e dare una sistemazione alla sua vita futura, a vivere con lui, prestandosi a essere la “direttrice di casa”, mansione che assolse in maniera encomiabile e sempre con sentita rispettosa devozione. Non aveva compiuto studi elevati, ma per la convivenza con l’illustre zio (…) si era formata una discreta cultura (…) i parenti più stretti la gratificavano, sia pur sommessamente, con l’epiteto di “la Cavour di casa Stoppani”». 
Fratello di Cecchina era invece quell’Angelo Maria Cornelio che nel 1858 pubblicava la prima e per lungo tempo unica biografia dello zio Antonio Stoppani, ancora oggi fonte irrinunciabile per gli studi sulla vita dell’illustre lecchese.
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Lo Stoppani a 50 anni

Le lettere che Cecchina conservò amorevolmente fino alla morte coprono il periodo dal 1875 al 1887. «Sono gli anni – annota Penasa - della piena maturità, non solo, ma dall’intensa sua produzione scientifica». Ci raccontano di uno Stoppani in gran movimento: Zurigo, Roma, Firenze, Napoli, Cassino, Rovereto, Milano, Domodossola, Parma, Venezia, Pietroburgo, Cracovia. Viaggiando magari «con molta noia, ma con moltissima fame» e incontrando amici strada facendo con i quali anche affrontare la «grande questione sull’immortalità dell’anima in mezzo al tramestio della stazione».
La prima lettera è del 17 agosto 1875: Antonio Stoppani si trovava ad Abano Terme per una cura di fanghi consigliata dal medico dopo il famoso e sfortunato viaggio verso Damasco, interrotto dal calcio di un cavallo che gli fratturò una gamba. Annunciando a Cecchina il proprio ritorno di lì a pochi giorni, si raccomandava per una cassetta piena di sassi... 
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Le lettere, s’è già detto, sono essenziali: informazioni pratiche, saluti vari, notizie sulla salute tra sciatica ed emicranie; solo veloci accenni alla propria attività di scienziato e di prete. Penasa ci aiuta a leggerle, a “tradurle”. Per esempio quando, il 27 marzo 1887, l’abate scrive di avere ricevuto la lettera col foglio “Cereria Cattolica”: dovrebbe essere un riferimento scherzoso al giornale gesuita “Civiltà Cattolica”.
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L’8 marzo 1878, invece, lo Stoppani scrive da Lecco e avverte Cecchina che «appena giunto costì ti darò da copiare una requisitoria contro i signori dell’Osservatore che in un articolo mi hanno coperto di calunnie e d’insulti. Vedrai che cose!»: si tratta del «primo accenno – chiosa Penasa – alla lotta lunga e deprimente che lo Stoppani dovette sostenere per oltre un decennio contro quella corrente di cattolici intransigenti che sostenevano doversi restaurare il Potere Temporale della Chiesa». Nella stessa lettera, però, Stoppani parla anche del monte San Martino che «fuma da due giorni» e di un «vento fiorentino, ossia di casa del diavolo». Si tratta di quel famoso incendio che per quattro giorni devastò la montagna lecchese che «pareva un vulcano in eruzione» e che Stoppani descrisse in una delle successive edizioni del “Bel Paese”.
In altre lettere, il “nostro” racconta dei lavori romani per la predisposizione della carta geologica italiana o del proprio impegno per la fondazione del giornale “Il Rosmini”, creato per sostenere appunto le idee del filosofo e teologo cattolico Antonio Rosmini: il periodico uscì il 1° gennaio 1887 e durò quasi due anni, dopo i quali fu addirittura posto all’Indice dai vertici della Chiesa.
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La casa natale di Stoppani

Il 5 dicembre 1881, invece, Antonio Stoppani scrive: «Ieri mi avrebbero accollato un discorso da fare a Roma il 18. Bisognerà dunque ch’io torni qui, dopo aver buttato giù di furia così qualche decina di pagine da leggere nella seduta reale, alla quale interverranno il Re e la Regina». Si tratta della famosa relazione sul “regresso dei ghiacciai nelle Alpi” che oggi è utilizzato nella polemica sui cambiamenti climatici da una parte e dall’altra. Gli “allarmisti” per descrivere lo Stoppani come uno che aveva già capito tutto e precorse i tempi e i negazionisti per sostenere invece come la storia sia fatta da ghiacciai che in un periodo si ritirano e in un altro si espandono e pertanto sulle “montagne nude” d’oggi non c’è di che preoccuparsi. All’epoca, secondo la leggenda, re Umberto si preoccupò: al relatore avrebbe chiesto cosa si sarebbe dovuto fare, ricevendo in risposta un invito ad affidarsi alla Provvidenza che ha i suoi metodi di compensazione.
Dario Cercek
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