SCAFFALE LECCHESE/93: l'abate e geologo Stoppani raccontato dal nipote nel 1898

I sassi, certo. «S’intende che in Seminario, il Tognino faceva ciò che poteva, mirando alle vacanze, non come a tempo di svago, ma come a periodo di lavoro prediletto e di libertà, della quale approfittava specialmente per far escursioni sulle montagne della Lombardia, osservando e raccogliendo fossili. (…) In questa sua tendenza speciale, trovò un’affettuosa e intelligente protettrice nell’amatissima madre, la quale, più del padre, che non vedeva chiaro nella sassologia del figliolo, si mostrava compresa degli studi e degli esperimenti del futuro geologo. (…) Nelle vacanze la buona signora, oppressa dagli affari e circondata da una troppo numerosa brigata di figlioli, ripeteva sovente: “Antonio, portami via questi ragazzi! Va: conducili su per i monti a cercare i tuoi sassi!”. E lui si tirava dietro fratelli e altri, entusiasmandoli colla sua parola, che, fin d’allora, dava vita alle rocce ed alle morene».


L’Antonio, vale a dire il “Tognino”, sarebbe poi lo Stoppani, l’autore del “Bel Paese”, così come ci viene raccontato da Angelo Maria Cornelio che ne fu nipote (la mamma Maria era sorella maggiore dell’abate), assiduo collaboratore e primo biografo: nel 1898, pubblicò infatti “Vita di Antonio Stoppani. Onoranze alla sua memoria” in una pregevole edizione di quell’Unione tipografico-editrice di Torino che è poi la Utet.


Quarto di sedici fratelli tra cui altri tre preti, Antonio Stoppani nacque nel 1824 a Lecco e morì nel 1891 a Milano, dove si tenne un funerale «d’insolita magnificenza» dopo il quale la salma, per desiderio dello stesso defunto, venne sepolta al cimitero monumentale lecchese.
Fu sacerdote di non trascurabile spessore. Ma fu innanzitutto geologo e paleontologo. Di più: fondatore della geologia italiana, ci dicono gli storici. E per via del cercar sassi su per i monti, ebbe pure un suo ruolo nell’alpinismo italiano allora agli albori.


Quando Cornelio ne pubblicò la biografia, lo zio Antonio era morto da appena sette anni. Ne sono passati più di cento eppure quella scritta dal nipote rimane ancora la biografia più esauriente dello Stoppani, fonte di tante notizie e di tanti documenti.
A Stoppani ci siamo già accostati in questa rubrica a proposito di quel best-seller ottocentesco che fu “Il Bel Paese” (CLICCA QUI) e di uno sfortunato viaggio verso Damasco (CLICCA QUI). Anche ad altre opere dovremo naturalmente dedicare qualche attenzione, mentre di quel suo andar per monti a raccattar sassi si era già accennato a certa sospettosità da parte dei soliti troppo pragmatici lecchesi che lo guardavano come uno personaggio quanto meno originale, per passare poi a venerarlo, facendone una presenza talmente abituale da poterla trascurare in tutta tranquillità.


La casa natale

Da parte sua, Cornelio considera «in Antonio Stoppani il fanciullo, il seminarista, il sacerdote, l’asceta, il patriota, il maestro, il conferenziere, il geologo, il filosofo, il letterato il poeta, il musicista, l’alpinista, il difensore dei perseguitati, l’amico dei poveri, la vittima della verità e della giustizia, l’uomo di carattere che si è sacrificato interamente al trionfo della scienza, della religione e della patria» oltre alle «elette doti del cuore di don Antonio che, figlio, fratello, zio, amico, effondeva tutto intorno a sé un’aura di amore, di pace e di carità».



Evidente lo slancio agiografico. Per quanto Cornelio premetta che «in omaggio al carattere adamantino dello Stoppani, mi sono prefisso di evitare quelle mezze misure che, col pretesto della opportunità e della prudenza, si adottano, in occasioni difficili, da scrittori o conferenzieri opportunisti, o timidi, o paralizzati dall’ambiente, o inceppati dai vincoli di una posizione speciale». A conti fatti, si tratta comunque di una lettura ancora imprescindibile per chi voglia approfondire lo Stoppani.



Il racconto parte da Zelbio, «il paese originario della famiglia» e dal quale nell’anno 1800, papà Giovanni Maria Stoppani mosse «per andare in cerca di fortuna». Trovandola a Lecco, pur dopo patimenti e titubanze. Anche grazie a «una buona persona, la quale gli offerse l’aiuto della divina Provvidenza con un prestito per l’impianto d’una piccola azienda commerciale», mentre altra «miglior fortuna fu poscia l’incontro di una giovane, la quale doveva essere veramente la corona della sua vita. Si chiamava Lucia Pecoroni, ed era dotata di eccezionale buon senso, di carattere serio e dolce nel tempo stesso, istruita come le migliori giovani di quell’epoca, e inclinata alla vita modesta e laboriosa». Mamma appunto di sedici figli tra cui il “Tognino”.
Nel raccontarcelo, Cornelio può contare su molti ricordi personali e su altri dello stesso Stoppani o raccolti nella cerchia famigliare offrendoci così anche non pochi aneddoti. Dall’infanzia agli studi al seminario di Castello, a Monza e a Milano, dalla prima messa nella chiesa lecchese di San Nicolò alle le docenze, agli studi scientifici e a gli incarichi prestigiosi, ma anche l’impegno “politico”: dalle lotte risorgimentali alle polemiche che lo videro spesso in prima fila. I convegni ci hanno abituati a indagare separatamente gli aspetti di una figura complessa quale indubbiamente era lo Stoppani.


Il monumento in città

Seguendo la scansione cronologica di questa “Vita”, riusciamo invece a comprendere meglio come si compenetrassero lo scienziato e il prete, senza che l’uno fosse sacrificato all’altro. Fautore della compatibilità tra pensiero scientifico e fede, Stoppani non mancò di ingaggiare battaglie accese, Annotando: «Quanto a quelli che credessero, per opposte ragioni, o schiava o libertina una scienza la cui storia è per gran parte una lotta interminabile tra i cultori delle scienze naturali e quelli delle scienze divine; io li pregherò ad esaminare più freddamente la questione, e vedere se la lotta abbia luogo tra la scienza e la rivelazione o non piuttosto tra la scienza e l’ignoranza e più spesso tra errore e errore, fanatismo e fanatismo…».
Erano gli anni in cui la Chiesa era spaccata tra gli intransigenti per i quali non si poteva scendere a patti con la modernità e i “conciliatoristi” che propugnavano invece la necessità di una mediazione tra religione e nuove istanze sociali. Senza dimenticare la questione aperta e sanguinante del nuovo Stato unitario.
Basti ricordare la querela del 1888 contro il giornale “L’Osservatore Cattolico” di don Davide Albertario che dava allo Stoppani del prete sacrilego e dello scienziato da strapazzo. Fu una clamorosa vicenda giudiziaria (un prete che ricorre all’autorità laica contro un altro prete) e Cornelio la ricostruisce anche ricorrendo a una serie di documenti interessanti. Oppure la vicenda del giornale “Il Rosmini”, fondato dallo Stoppani per diffondere il pensiero del filosofo Antonio Rosmini nell’alveo appunto di quel “conciliarismo” visto come strumento contro il materialismo. Il giornale fu messo all’indice e costretto a sospendere le pubblicazioni senza che lo Stoppani perdesse di piglio, visto che subito diede vita ad altra testata, “Il Nuovo Rosmini”.


La tomba

Sul fronte politico, erano quelli gli anni dell’Italia che andava facendosi, Dei miti risorgimentali, dello scontro tra Chiesa e Stato. In quanto allo Stoppani, è notoria la pagina delle Cinque giornate milanesi del marzo 1848: «I sacri bronzi suonavano a stormo – racconta Cornelio -, e, mentre tutta la popolazione milanese accorreva ad erigere barricate (…), i chierici del Seminario Arcivescovile di Milano (…) uscirono impavidi per partecipare al movimento insurrezionale. Antonio Stoppani, chierico diacono come uno dei più provetti, ebbe speciali incarichi nell’organizzazione della difesa. (…) Nata l’idea di divulgare le notizie al difuori della città assediata (…) col mezzo di palloni aerostatici, il chierico Stoppani fu quello che organizzò e diresse l’importante operazione. (…) Il Tognino non limitò la sua opera al movimento insurrezionale di Milano: egli avrebbe voluto inscriversi nel battaglione degli studenti e accorrere a combattere le prime battaglie della indipendenza; ma opponendosi al suo entusiasmo il divieto portato dagli Ordini maggiori, partì per il campo, e, con altri tre compagni, fu presente alla battaglia di S. Lucia, e rimase a Sommacampagna, per oltre un mese, sempre a tutte sue spese, per l’assistenza dei feriti».
Quasi trent’anni dopo (1876), troviamo invece uno Stoppani pronto a candidarsi per il Parlamento nazionale per il collegio di Lecco «sollecitato da’ suoi concittadini». Ricordiamo che i tempi erano quelli dei cattolici né elettori né eletti. E lo Stoppani non solo era cattolico, ma addirittura prete. La polemica infatti divampò alimentata dalla destra liberale, dai cattolici intransigenti e dai radicali e dalla sera alla mattina «don Antonio non era più il brillante scrittore, l’esimio scienziato, il piacevolissimo conferenziere; la sua mente era annebbiata: il poveretto aveva sbagliato strada. La stampa così detta cattolica fu quella che strillò maggiormente». Finì che lo Stoppani rinunciò alla corsa, senza però che le polemiche lo lasciassero in pace, tant’è che lasciò addirittura Milano per Firenze dove rimpiangeva di non poter vedere i monti lecchesi.


Il busto di Stoppani davanti al Rifugio Rosalba in Grigna

In quanto alla scienza, dalla pubblicazione degli Studi paleontologici sulla Lombardia, nel 1856 «che fu primissima manifestazione pubblica del genio di Stoppani», fu un crescendo di riconoscimenti e incarichi: cattedra di geologia prima a Pavia e poi a Milano con la già accennata parentesi fiorentina, pubblicazioni importanti tra cui appunto quel “Bel Paese” che fu campione di vendita ed è titolo immortale, segretario della Società italiana di scienze naturali, la creazione dei Musei naturalistici milanesi «lasciandovi tutte le sue raccolte geologiche e paleontologiche», i famosi “sassi” che aveva cominciato a raccogliere da ragazzo sui monti.


Capanna Stoppani in una foto d'epoca

Già, i monti: «Pareva e pare che nulla, assolutamente nulla di più bello, di più ammirabile si potesse e si possa trovare all’infuori di ciò che offre la montagna» da frequentare con opportuna calma e pertanto non tollerando «quegli alpinisti vantatori solamente di gite compiute a grande velocità; e quando udiva dire: “Siamo stati sul Resegone in quattr’ore e siamo ritornati in tre” esclamava: “Bei minchioni! Non osservano nulla, non comprendono nulla, non godono nulla».
Ancora oggi, scarpinando sulle nostre pendici qualche angolo ci ricorda Stoppani: la “capanna” alle falde del Resegone che i lecchesi gli intitolarono nel 1895 o il busto che ci saluta al rifugio Rosalba che è struttura del Cai di Milano, sezione fondata nel dicembre 1873 con lo Stoppani tra i promotori e primo presidente: «La gita inaugurale fu compiuta nel successivo giugno (…) in Val di Scalve. L’escursione durò cinque giorni, e lo Stoppani, che ne aveva compilato l’itinerario, diresse la comitiva dandole interessantissime spiegazioni geologiche».



Nell’avviarsi a conclusione, Cornelio ci racconta il momento della morte dello Stoppani, quasi in forma giornalistica senza disdegnare una nota di colore: «Accorsi da Porta Nuova verso via Umberto, passando da via Parini; ma, avendo incontrato alcuni giovinastri avvinazzati che si accoltellavano, dovetti retrocedere e fare un lungo giro. Correndo sempre, arrivai trafelato nella camera da cui ero appena uscito coll’ultima espressione d’affetto di quell’impareggiabile cuore, che aveva cessato di battere…».


Poi, fu il tempo dei monumenti e delle dediche, appunto delle “onoranze in sua memoria”, con il Consiglio comunale lecchese che «straordinariamente convocato, deliberò di accettare e collocare nella sala delle adunanze un bellissimo e grandioso ritratto ad olio dello Stoppani, dipinto dal di lui nipote Giovanni Todeschini (ancora oggi appeso nell’aula consiliare del Palazzo Civico, ndr); di dedicare alla memoria dell’illustre concittadino le Scuole tecniche, decorandole del suo nome, nonché la via che dalla piazza Garibaldi conduce al largo Manzoni, e d’immurare una lapide commemorativa sulla facciata della casa in cui Antonio Stoppani venne alla luce Inoltre si costituì uno speciale Comitato per erigere in Lecco un ricordo monumentale».



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Dario Cercek
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