Lecco: la conquista del Cerro Torre raccontata da Giorgio Spreafico in un libro
Un giorno, al giornalista Giorgio Spreafico, l’alpinista Casimiro Ferrari raccontò di una festa organizzata per ricordare la conquista del Cerro Torre lungo la parete Ovest da parte dei “Ragni” nel gennaio del 1974, una festa in cui molti venivano a chiedergli una fila di dettagli tecnici. Mentre lui, che già era il “re della Patagonia”, riviveva invece quella spedizione attraverso emozioni che si rinnovavano.
Ed è stato proprio ricordando quella confidenza che Spreafico, il quale già nel 2006 aveva pubblicato ''Enigma Cerro Torre'', ha deciso di tornare a parlare di quella storica impresa dei ''Ragni'' con un nuovo libro, ''Quelli del Cerro Torre'' pubblicato da Teka Edizioni, per mettere a fuoco l’esperienza umana più che quella sportiva. Il libro è uscito in questi giorni, nell’anno in cui si intrecciano le celebrazioni per i 150 anni della sezione lecchese del Cai e i cinquant’anni della conquista della vetta patagonica le cui celebrazioni sono cominciate lo scorso mese di gennaio con la proiezione di immagini in piazza XX Settembre e con un incontro alla Sala Ticozzi nel giorno dell’anniversario.
Il nuovo libro è stato presentato ieri sera al Palazzo del commercio in piazza Garibaldi da parte dello stesso Spreafico in quella che ha avuto più la forma del teatro di narrazione che di una conferenza, un racconto più sentimentale che cronachistico. Pur ricordando naturalmente la storia controversa e affascinante di una vetta “scoperta” a metà del secolo scorso e diventata subito un’ossessione per gli alpinisti di tutto il mondo.
Una storia che parte dalle parole di Lionel Terray che la definì una montagna impossibile, passa attraverso il tentativo fallito nel 1958 da Carlo Mauri e Walter Bonatti, quando si ritrovarono a sfidare una spedizione trentina della quale faceva parte anche Cesare Maestri.
Il quale, l’anno seguente, comunicò al mondo d’essere arrivato in cima assieme a Tony Egger, morto poi durante la discesa. Una conquista destinata a diventare uno dei gialli più incredibili della storia dell’alpinismo, una conquista che negli anni seguenti è stata poi messa in discussione e che oggi ormai è ritenuta mai avvenuta, assegnando pertanto alla spedizione lecchese il riconoscimento di primi salitori. Appunto nel 1974, quattro anni dopo un altro tentativo fallito da Carlo Mauri.
E quattro anni dopo la follia di Maestri che aprì la famosa via del compressore, vale a dire una via chiodata all’inverosimile con l’uso di un compressore da 180 chili portato a spalle e poi abbandonato in parete; una via che si fermava prima del fungo sommitale di ghiaccio che l’alpinista trentino non superò ''perché tanto non fa parte della montagna e prima o poi sarebbe caduto''. In quanto all’uso del compressore avrebbe poi spiegato che non aveva fatto altro che anticipare quello che sarebbe venuto dopo con gli arrampicatori attrezzati di trapano per piantare chiodi laddove le pareti sono lisce lisce. Che nemmeno l’intelligenza artificiale, interrogata sul computer di casa Spreafico, se ne capacita visto che in prima battuta risponde con un alpinista dotato di un trapano usato all’incontrario.
In mezzo ci sono stati anni di polemiche, rivalità, frasi sibilline, sfottò, accuse, colpi bassi, prima di arrivare a parlare di quella cima patagonica come della montagna dei lecchesi, una ''montagna distante in linea d’aria 13mila chilometri – ha detto Spreafico – ma che dal 13 gennaio 1974 è la montagna che sentiamo più vicina''.
In ''Enigma Cerro Torre'', quasi vent’anni fa con Maestri ancora vivo a spergiurare d’essere arrivato in vetta nel 1959, Spreafico lasciava ancora sospeso un giudizio definitivo. Oggi che non ci sono più dubbi, a risolvere quel ''giallo'' c’è una vignetta del New York Times con un Pinocchio alpinista sdraiato e sul cui lungo naso si arrampica un altro alpinista.
Ma quell’epopea è anche fatta di storie umane. Fin dagli anni Cinquanta, fin da Tony Egger, la cui morte aveva pure sconvolto Lecco dove l’alpinista austriaco aveva molti amici (Cesare Giudici, lo stesso Mauri, Franco Mandelli) e dove era venuto a omaggiare il grande Riccardo Cassin.
Ma il Cerro Torre è soprattutto la montagna di Casimiro Ferrari: era con Carlo Mauri nel tentativo fallito del 1970 con la spedizione della sottosezione dal Cai Belledo che la sezione “madre” del Cai Lecco aveva in realtà mal sopportato. In quell’occasione si parlò anche di coinvolgere Reinhold Messner, ipotesi liquidata da Ferrari con strane (e improbabili) questioni a proposito di una giacca a vento scomparsa.
Comunque Ferrari e Mauri più volte tornavano sull’argomento finché in occasione del centenario del Cai lecchese, fu proprio Ferrari a manovrare perché l’impresa del secolo fosse appunto quella del Torre. Ma il vero putiferio scoppiò quando il ''Miro'' decise di mettersi lui alla testa del gruppo. Non solo, ma anche lasciando a casa i mostri sacri: lo stesso Mauri e nientepopodimeno che Cassin. Una sera ai Piani Resinelli si venne quasi alle mani. Ma Ferrari era convinto che fosse arrivato il momento della svolta, del passaggio di testimone ai giovani, alle nuove leve, di fare largo alle nuove generazioni. Mauri avrebbe poi compreso e perdonato, Cassin probabilmente no.
Ci sono dunque anche tutti questi aspetti nel racconto di “Quelli del Cerro Torre” che diventa così una sorta di cartina di tornasole del mondo alpinistico lecchese, grandezze ma anche miserie si potrebbe dire. E se ormai la Patagonia è quasi una “colonia lecchese” (se ne è parlato in un convegno a febbraio dedicato alla figura di padre Alberto Maria De Agostini), visto che i Ragni continuano ad andarci, quel 1974 fu un momento in cui tutta una città si strinse attorno ai suoi alpinisti. Così concludendo la serata, Spreafico si è chiesto se siamo ancora così, se siamo ancora una comunità in grado di sostenere quelle imprese: ''Chissà. Io lo spero''. E così, il cinquantesimo diventa un’occasione per riflettere.
Ed è stato proprio ricordando quella confidenza che Spreafico, il quale già nel 2006 aveva pubblicato ''Enigma Cerro Torre'', ha deciso di tornare a parlare di quella storica impresa dei ''Ragni'' con un nuovo libro, ''Quelli del Cerro Torre'' pubblicato da Teka Edizioni, per mettere a fuoco l’esperienza umana più che quella sportiva. Il libro è uscito in questi giorni, nell’anno in cui si intrecciano le celebrazioni per i 150 anni della sezione lecchese del Cai e i cinquant’anni della conquista della vetta patagonica le cui celebrazioni sono cominciate lo scorso mese di gennaio con la proiezione di immagini in piazza XX Settembre e con un incontro alla Sala Ticozzi nel giorno dell’anniversario.
Il nuovo libro è stato presentato ieri sera al Palazzo del commercio in piazza Garibaldi da parte dello stesso Spreafico in quella che ha avuto più la forma del teatro di narrazione che di una conferenza, un racconto più sentimentale che cronachistico. Pur ricordando naturalmente la storia controversa e affascinante di una vetta “scoperta” a metà del secolo scorso e diventata subito un’ossessione per gli alpinisti di tutto il mondo.
Una storia che parte dalle parole di Lionel Terray che la definì una montagna impossibile, passa attraverso il tentativo fallito nel 1958 da Carlo Mauri e Walter Bonatti, quando si ritrovarono a sfidare una spedizione trentina della quale faceva parte anche Cesare Maestri.
Il quale, l’anno seguente, comunicò al mondo d’essere arrivato in cima assieme a Tony Egger, morto poi durante la discesa. Una conquista destinata a diventare uno dei gialli più incredibili della storia dell’alpinismo, una conquista che negli anni seguenti è stata poi messa in discussione e che oggi ormai è ritenuta mai avvenuta, assegnando pertanto alla spedizione lecchese il riconoscimento di primi salitori. Appunto nel 1974, quattro anni dopo un altro tentativo fallito da Carlo Mauri.
E quattro anni dopo la follia di Maestri che aprì la famosa via del compressore, vale a dire una via chiodata all’inverosimile con l’uso di un compressore da 180 chili portato a spalle e poi abbandonato in parete; una via che si fermava prima del fungo sommitale di ghiaccio che l’alpinista trentino non superò ''perché tanto non fa parte della montagna e prima o poi sarebbe caduto''. In quanto all’uso del compressore avrebbe poi spiegato che non aveva fatto altro che anticipare quello che sarebbe venuto dopo con gli arrampicatori attrezzati di trapano per piantare chiodi laddove le pareti sono lisce lisce. Che nemmeno l’intelligenza artificiale, interrogata sul computer di casa Spreafico, se ne capacita visto che in prima battuta risponde con un alpinista dotato di un trapano usato all’incontrario.
In mezzo ci sono stati anni di polemiche, rivalità, frasi sibilline, sfottò, accuse, colpi bassi, prima di arrivare a parlare di quella cima patagonica come della montagna dei lecchesi, una ''montagna distante in linea d’aria 13mila chilometri – ha detto Spreafico – ma che dal 13 gennaio 1974 è la montagna che sentiamo più vicina''.
In ''Enigma Cerro Torre'', quasi vent’anni fa con Maestri ancora vivo a spergiurare d’essere arrivato in vetta nel 1959, Spreafico lasciava ancora sospeso un giudizio definitivo. Oggi che non ci sono più dubbi, a risolvere quel ''giallo'' c’è una vignetta del New York Times con un Pinocchio alpinista sdraiato e sul cui lungo naso si arrampica un altro alpinista.
Ma quell’epopea è anche fatta di storie umane. Fin dagli anni Cinquanta, fin da Tony Egger, la cui morte aveva pure sconvolto Lecco dove l’alpinista austriaco aveva molti amici (Cesare Giudici, lo stesso Mauri, Franco Mandelli) e dove era venuto a omaggiare il grande Riccardo Cassin.
Ma il Cerro Torre è soprattutto la montagna di Casimiro Ferrari: era con Carlo Mauri nel tentativo fallito del 1970 con la spedizione della sottosezione dal Cai Belledo che la sezione “madre” del Cai Lecco aveva in realtà mal sopportato. In quell’occasione si parlò anche di coinvolgere Reinhold Messner, ipotesi liquidata da Ferrari con strane (e improbabili) questioni a proposito di una giacca a vento scomparsa.
Comunque Ferrari e Mauri più volte tornavano sull’argomento finché in occasione del centenario del Cai lecchese, fu proprio Ferrari a manovrare perché l’impresa del secolo fosse appunto quella del Torre. Ma il vero putiferio scoppiò quando il ''Miro'' decise di mettersi lui alla testa del gruppo. Non solo, ma anche lasciando a casa i mostri sacri: lo stesso Mauri e nientepopodimeno che Cassin. Una sera ai Piani Resinelli si venne quasi alle mani. Ma Ferrari era convinto che fosse arrivato il momento della svolta, del passaggio di testimone ai giovani, alle nuove leve, di fare largo alle nuove generazioni. Mauri avrebbe poi compreso e perdonato, Cassin probabilmente no.
Ci sono dunque anche tutti questi aspetti nel racconto di “Quelli del Cerro Torre” che diventa così una sorta di cartina di tornasole del mondo alpinistico lecchese, grandezze ma anche miserie si potrebbe dire. E se ormai la Patagonia è quasi una “colonia lecchese” (se ne è parlato in un convegno a febbraio dedicato alla figura di padre Alberto Maria De Agostini), visto che i Ragni continuano ad andarci, quel 1974 fu un momento in cui tutta una città si strinse attorno ai suoi alpinisti. Così concludendo la serata, Spreafico si è chiesto se siamo ancora così, se siamo ancora una comunità in grado di sostenere quelle imprese: ''Chissà. Io lo spero''. E così, il cinquantesimo diventa un’occasione per riflettere.
D.C.