Lecco: una quarantina di camerati allo stadio per i repubblichini

Nessun braccio alzato, nessun "presente", almeno finché chi scrive è rimasto in posto. Come ogni anno, anche questa sera un gruppo di cittadini di Lecco (e non solo) si è dato appuntamento fuori dallo stadio Rigamonti Ceppi per un momento commemorativo.
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"In questo luogo, il 28 aprile 1945 - come recita la targa che dal 2013 è affissa sul muro esterno dell'impianto sportivo, in sostituzione della precedente dal contenuto ritenuto troppo celebrativo - avvenne la fucilazione di 16 ufficiali e sottufficiali della Repubblica Sociale Italiana, gruppo corazzato "Leonessa" e del battaglione "Perugia", decisa dal tribunale di guerra del Comitato di Liberazione Nazionale e dell'Alta Italia, a seguito del comportamento tenuto dagli stessi il giorno precedente, nella cosiddetta battaglia di via Como, a Lecco. I militi e i loro sottoposti si erano resi responsabili dell'esposizione della bandiera bianca di resa, alla quale seguì invece una proditoria sparatoria che costò morti e feriti tra i partigiani". 
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Fatti cristallizzati dalla storia ma che, a distanza di 80 anni, ancora dividono. E così, “nell'invito” alla commemorazione, fatto circolare nei giorni scorsi da alcuni dei promotori insieme ad un volantino firmato “i camerati” - dicitura poi sparita in una seconda versione rivista, a polemiche già scoppiate – i repubblichini diventano “vittime innocenti, a guerra finita, dell'odio fratricida e degli accordi traditi”. 
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Una quarantina i presenti, radunati dapprima all'esterno della curva sud per poi raggiungere, in corteo, fiaccole alla mano, la targa, “cinturati” dalle forze dell'ordine, mentre rispondendo alla chiamata dell'ANPI molti più cittadini manifestavano la loro contrarietà all'iniziativa dinnanzi al Liceo Grassi con una parte degli aderenti all'iniziativa poi incamminatosi - senza successo - proprio verso lo stadio (QUI l'articolo).
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Nessuna scena, comunque, in stile Dongo, si è ripetuta a Lecco. L'orazione è stata tenuta dal sindaco di Casargo e consigliere provinciale Antonio Pasquini dando lettura di alcuni passaggio del discorso che Luciano Violante tenne nell’aula di Montecitorio il 9 maggio 1996, nel giorno del suo insediamento alla presidenza della Camera.

"Mi chiedo – disse Violante – se l’Italia di oggi non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri. Non perché avessero ragione, o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le due parti. Bisogna sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e della libertà. Questo sforzo, a distanza di mezzo secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro Paese, a costruire la Liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo Paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno. Dopo, poi, all’interno di quel sistema, comunemente condiviso, ci potranno essere tutte le legittime distinzioni e contrapposizioni”.
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Corrette anche alcune affermazioni contenute nel comunicati diffusi negli ultimi giorni da chi si è opposto alla commemorazione, a cominciare dalla presenza di simboli fascisti sul volantino diffuso per pubblicizzare l'iniziativa, con la croce posta in risalto effettivamente presente su tutte le lapidi allineate nella Cripta del Santuario della Vittoria, quelle dei partigiani incluse.
Rivolto infine un invito a rifuggire l'odio, amando l'Italia sempre, per poi rispettare, dopo la lettura di altro testo, un minuto di silenzio, prima di disperdersi.

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Degna di nota, la caparbietà di Sandro Magni e consorte, rimasti "a presidio" di via Pascoli per tutta la durata dell'omaggio. Protestando.
A.M.
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