Lecco, la testimonianza di un soldato ucraino, mutilato da un missile: 'la guerra finirà quando vinceremo'
«La guerra può finire tra un minuto o durare cento anni». Ma niente compromessi: «La guerra finirà quando vinceremo». La guerra è quella ucraina. A raccontarla Zakhar Biriukov, 36 anni, ingegnere elettronico di Kiev, arruolato nell’esercito per fronteggiare l’invasione russa e nel 2022 rimasto mutilato: stava preparando un drone, quando è arrivato un missile russo. Il drone gli è scoppiato tra le mani, 500 grami di esplosivo. Con il corpo ustionato al 25%, ha perso le braccia, un piede, un occhio e l’udito da un orecchio.
In questo periodo natalizio, Biriukov è stato ospite con la moglie Yoliia e il figlio decenne Yehor di una famiglia lecchese nell’ambito di un progetto avviato da un gruppo di volontari della nostra città per offrire quello che viene definito un mese di sollievo, un breve soggiorno lontano dalla guerra, per alcuni soldati ucraini. Uno per il momento, appunto Zachar Biriukov, il primo. Una piccola goccia per il mare di sofferenza che è una guerra. Ma una testimonianza significativa. Quanti altri soldati ucraini potranno beneficiare di quel “mese di sollievo” non è possibile prevedere.
E’ stato Mario Tavola, medico, già direttore della terapia intensiva all’ospedale “Manzoni”, a parlare dell’iniziativa che ha cominciato a prendere forma lo scorso mese di settembre appunto in quel gruppo spontaneo di volontari che già dall’inizio della guerra portava aiuti alla popolazioni ucraina: «Ci siamo appoggiati all’istituto Maria Ausiliatrice di Olate e al Comune di Lecco. Non faremo mai un’associazione, restiamo volontari collaborando con altri. L’importante è creare una rete, coinvolgendo anche i Comuni e altre istituzioni, per ottimizzare le risorse. E ciascuno, ciascuno di voi presenti in questa occasione, deve sentirsi parte di questa rete».
E i presenti all’incontro, tenutosi ieri pomeriggio al circolo “Fratelli Figini” di Maggianico erano davvero tenti. La sala era più che gremita, al punto che per un momento si era anche pensato di trasferirsi in una sede più ampia.
Con l’aiuto di due interpreti, Biriukov ha esordito raccontando di questo soggiorno lecchese, con l’aneddoto della serata di Capodanno: «Al ristorante ci hanno chiesto se volevamo i fuochi d’artificio a mezzanotte. Abbiamo riso: per noi basta…».
E’ stato un bel periodo: «Abbiamo cominciato a dormire bene, senza i rumori della guerra, rilassati. Abbiamo incontrato tante belle persone che ci hanno ospitato e ci hanno accompagnato in visite turistiche. E ci piace il ritmo di Lecco. Siamo stati anche a Milano, ma lì è tutto troppo veloce. Vorrei che tanti dei nostri militari potessero vivere questa esperienza e sentire l’ospitalità di questa città».
Del resto, in Ucraina, «non solo i militari, ma anche le persone normali combattono per la vita. Anche i bambini a scuola sono spesso costretti a nascondersi nei rifugi. E lo fanno come a Lecco si prende un treno». Uno dei grandi problemi sono i continui black-out: «Adesso sono stati studiati molti rimedi, ma all’inizio della guerra, proprio per la mancanza di energia, molte persone sono morte negli ospedali».
In quanto all’esperienza personale, «essere soldato è la stessa cosa di quanto entri in un fiume: sai che ti devi bagnare. Così, quando combatti sai che resterai ferito. C’è la legge di Murphy secondo la quale se una cosa può andare male, certamente andrà male. Ma se ci pensi, allora sì, succede. Quindi, cerchi di non pensarci. E se succede, ti aiuta il pensiero della famiglia. Non ho mai lasciato la fede, bisogna credere in se stessi e in quelli che ti stanno vicini. Ma in guerra, non puoi pensare tanto, il pensiero ti distrae e finisce che ti uccidono subito. In quei momenti, devi restare con la mente sul luogo dove sei, non pensare ad altro. Adesso sono qui con voi e da nessun’altra parte».
A una domanda dal pubblico su come sia la vita di una famiglia col marito in guerra, ha risposto proprio la moglie di Biriukov, Yoliia: «L’unica cosa è aspettare, pensare al meglio. E’ difficile, ma le donne ucraine sono forti anche per questo». La donna ha poi raccontato anche delle difficoltà a mantenersi in contatto con i propri genitori, che vivono nella parte del Paese sotto il controllo russo: «Usiamo internet, ma quando mandi un messaggio, a loro arrivano frasi scritte in caratteri indecifrabili: i russi controllano tutte le comunicazioni. Non si può parlare liberamente e allora si parla di borsh o di detersivi»
Nel dettaglio della guerra ucraina, Biriukov ha parlato di tante cause. Fino all’indipendenza dell’Ucraina, «se si andava in chiesa o si parlava ucraino si finiva in carcere». Gli ucraini e il loro sentimento nazionale sono cominciati proprio con l’indipendenza e si sono consolidati attraverso la “rivoluzione arancione” del 2008 e la protesta di piazza Maidan nel 2013, «ma la Russia non accettava questa indipendenza. Nessuno ha insultato la lingua russa. Nelle scuole è obbligatorio l’ucraino perché la lingua si identifica con la nazione, Quando la Russia ha attaccato, non pensava che l’Ucraina avrebbe resistito. La guerra finirà quando vinceremo. Non si sa quando finirà: si dice che potrebbe finire tra un minuto o durare cent’anni. In Ucraina, la guerra dura da dieci anni e non da due. La Russia continua ad attaccarci. In questo momento si vuole solo la vittoria. Non vogliamo più la pace, vogliamo la vittoria. La pace con la Russia è impossibile».
Dunque nessuna trattativa. E, secondo le parole del militare, questo è l’orientamento del popolo ucraino. E’ la faglia del risentimento che sedimenta e diventa odio tra i popoli: «I russi non sono persone per come uccidono non solo i soldati, ma anche le donne e i bambini».
Si tratta di quel bagaglio di rancori che una guerra porta con sé, come ha voluto sottolineare il sindaco Mauro Gattinoni, intervenuto a spiegare quel che il Comune di Lecco, per quel poco che può, ha fatto e fa: dalla mobilitazione immediata con la raccolta di fondi e l’ospitalità data in questi anni a molte famiglie che sono state poi madri e figli essendo gli uomini tutti al fronte. E poi l’impegno, con altri quindici Comuni, nella “Rete per la pace e la solidarietà fra i popoli”. Fino all’adesione di questi giorni alla campagna “Ripudio” lanciata da Emergency.
«Perché i segni che lascia la guerra – ha detto il primo cittadino – non sono solo fisici. Lascia anche un’eredità di odio e di violenza, una perdita di fiducia da parte dei più giovani. Ma finita la guerra, bisogna fare la pace. E se a far finire la guerra devono pensare i governi, fare la pace spetta ai civili. E allora l’articolo 11 della nostra Costituzione (“La Repubblica ripudia la guerra”) è una preghiera laica. Perché il dialogo è la soluzione. Non possiamo pensare che vinca chi è più barbaro dell’altro».
Fra qualche giorno, il 9 gennaio, la famiglia Biriukov lascerà Lecco per tornare in Ucarina: «Perché Zakhar è stato tassativo: il 13 gennaio in Ucraina riaprono le scuole e il figlio Yehor dovrà essere in classe». E chi gli ha chiesto se non avesse paura di riportare la famiglia in Ucraina, Zakhar ha risposto con un «ho paura solo dei cani».
E uno dei messaggi che, partendo, lascia ai lecchesi è quello di parlare ai ragazzi, ai giovani perché se dovesse scoppiare un conflitto «dovrete saper rispondere a una domanda: “Cos’ho fatto per non far cominciare la guerra?”».
In questo periodo natalizio, Biriukov è stato ospite con la moglie Yoliia e il figlio decenne Yehor di una famiglia lecchese nell’ambito di un progetto avviato da un gruppo di volontari della nostra città per offrire quello che viene definito un mese di sollievo, un breve soggiorno lontano dalla guerra, per alcuni soldati ucraini. Uno per il momento, appunto Zachar Biriukov, il primo. Una piccola goccia per il mare di sofferenza che è una guerra. Ma una testimonianza significativa. Quanti altri soldati ucraini potranno beneficiare di quel “mese di sollievo” non è possibile prevedere.
E’ stato Mario Tavola, medico, già direttore della terapia intensiva all’ospedale “Manzoni”, a parlare dell’iniziativa che ha cominciato a prendere forma lo scorso mese di settembre appunto in quel gruppo spontaneo di volontari che già dall’inizio della guerra portava aiuti alla popolazioni ucraina: «Ci siamo appoggiati all’istituto Maria Ausiliatrice di Olate e al Comune di Lecco. Non faremo mai un’associazione, restiamo volontari collaborando con altri. L’importante è creare una rete, coinvolgendo anche i Comuni e altre istituzioni, per ottimizzare le risorse. E ciascuno, ciascuno di voi presenti in questa occasione, deve sentirsi parte di questa rete».
E i presenti all’incontro, tenutosi ieri pomeriggio al circolo “Fratelli Figini” di Maggianico erano davvero tenti. La sala era più che gremita, al punto che per un momento si era anche pensato di trasferirsi in una sede più ampia.
Con l’aiuto di due interpreti, Biriukov ha esordito raccontando di questo soggiorno lecchese, con l’aneddoto della serata di Capodanno: «Al ristorante ci hanno chiesto se volevamo i fuochi d’artificio a mezzanotte. Abbiamo riso: per noi basta…».
E’ stato un bel periodo: «Abbiamo cominciato a dormire bene, senza i rumori della guerra, rilassati. Abbiamo incontrato tante belle persone che ci hanno ospitato e ci hanno accompagnato in visite turistiche. E ci piace il ritmo di Lecco. Siamo stati anche a Milano, ma lì è tutto troppo veloce. Vorrei che tanti dei nostri militari potessero vivere questa esperienza e sentire l’ospitalità di questa città».
Del resto, in Ucraina, «non solo i militari, ma anche le persone normali combattono per la vita. Anche i bambini a scuola sono spesso costretti a nascondersi nei rifugi. E lo fanno come a Lecco si prende un treno». Uno dei grandi problemi sono i continui black-out: «Adesso sono stati studiati molti rimedi, ma all’inizio della guerra, proprio per la mancanza di energia, molte persone sono morte negli ospedali».
In quanto all’esperienza personale, «essere soldato è la stessa cosa di quanto entri in un fiume: sai che ti devi bagnare. Così, quando combatti sai che resterai ferito. C’è la legge di Murphy secondo la quale se una cosa può andare male, certamente andrà male. Ma se ci pensi, allora sì, succede. Quindi, cerchi di non pensarci. E se succede, ti aiuta il pensiero della famiglia. Non ho mai lasciato la fede, bisogna credere in se stessi e in quelli che ti stanno vicini. Ma in guerra, non puoi pensare tanto, il pensiero ti distrae e finisce che ti uccidono subito. In quei momenti, devi restare con la mente sul luogo dove sei, non pensare ad altro. Adesso sono qui con voi e da nessun’altra parte».
A una domanda dal pubblico su come sia la vita di una famiglia col marito in guerra, ha risposto proprio la moglie di Biriukov, Yoliia: «L’unica cosa è aspettare, pensare al meglio. E’ difficile, ma le donne ucraine sono forti anche per questo». La donna ha poi raccontato anche delle difficoltà a mantenersi in contatto con i propri genitori, che vivono nella parte del Paese sotto il controllo russo: «Usiamo internet, ma quando mandi un messaggio, a loro arrivano frasi scritte in caratteri indecifrabili: i russi controllano tutte le comunicazioni. Non si può parlare liberamente e allora si parla di borsh o di detersivi»
Nel dettaglio della guerra ucraina, Biriukov ha parlato di tante cause. Fino all’indipendenza dell’Ucraina, «se si andava in chiesa o si parlava ucraino si finiva in carcere». Gli ucraini e il loro sentimento nazionale sono cominciati proprio con l’indipendenza e si sono consolidati attraverso la “rivoluzione arancione” del 2008 e la protesta di piazza Maidan nel 2013, «ma la Russia non accettava questa indipendenza. Nessuno ha insultato la lingua russa. Nelle scuole è obbligatorio l’ucraino perché la lingua si identifica con la nazione, Quando la Russia ha attaccato, non pensava che l’Ucraina avrebbe resistito. La guerra finirà quando vinceremo. Non si sa quando finirà: si dice che potrebbe finire tra un minuto o durare cent’anni. In Ucraina, la guerra dura da dieci anni e non da due. La Russia continua ad attaccarci. In questo momento si vuole solo la vittoria. Non vogliamo più la pace, vogliamo la vittoria. La pace con la Russia è impossibile».
Dunque nessuna trattativa. E, secondo le parole del militare, questo è l’orientamento del popolo ucraino. E’ la faglia del risentimento che sedimenta e diventa odio tra i popoli: «I russi non sono persone per come uccidono non solo i soldati, ma anche le donne e i bambini».
Si tratta di quel bagaglio di rancori che una guerra porta con sé, come ha voluto sottolineare il sindaco Mauro Gattinoni, intervenuto a spiegare quel che il Comune di Lecco, per quel poco che può, ha fatto e fa: dalla mobilitazione immediata con la raccolta di fondi e l’ospitalità data in questi anni a molte famiglie che sono state poi madri e figli essendo gli uomini tutti al fronte. E poi l’impegno, con altri quindici Comuni, nella “Rete per la pace e la solidarietà fra i popoli”. Fino all’adesione di questi giorni alla campagna “Ripudio” lanciata da Emergency.
«Perché i segni che lascia la guerra – ha detto il primo cittadino – non sono solo fisici. Lascia anche un’eredità di odio e di violenza, una perdita di fiducia da parte dei più giovani. Ma finita la guerra, bisogna fare la pace. E se a far finire la guerra devono pensare i governi, fare la pace spetta ai civili. E allora l’articolo 11 della nostra Costituzione (“La Repubblica ripudia la guerra”) è una preghiera laica. Perché il dialogo è la soluzione. Non possiamo pensare che vinca chi è più barbaro dell’altro».
Fra qualche giorno, il 9 gennaio, la famiglia Biriukov lascerà Lecco per tornare in Ucarina: «Perché Zakhar è stato tassativo: il 13 gennaio in Ucraina riaprono le scuole e il figlio Yehor dovrà essere in classe». E chi gli ha chiesto se non avesse paura di riportare la famiglia in Ucraina, Zakhar ha risposto con un «ho paura solo dei cani».
E uno dei messaggi che, partendo, lascia ai lecchesi è quello di parlare ai ragazzi, ai giovani perché se dovesse scoppiare un conflitto «dovrete saper rispondere a una domanda: “Cos’ho fatto per non far cominciare la guerra?”».
D.C.