SCAFFALE LECCHESE/237: una coppia che fece fortuna disegnando i 'nostri' paesaggi

Era ancora l’epoca del Grand Tour, il viaggio di formazione nelle città d’arte italiane da parte dei giovani europei di buona famiglia. Ma era anche l’epoca del Romanticismo con la (ri)scoperta della natura e quindi del paesaggio. Non appariva dunque strano che due giovani artisti tedeschi, venuti in Italia, decidessero di fermarvisi dipingendo e incidendo vedute italiane, lombarde in particolare, per guadagnarsi da vivere. Stiamo parlando di quelli che sono ricordati come i coniugi Lose, Federico e Carolina, all’anagrafe Friedrich Lohse e Karoline von Schlieben, lui nato nel 1776 e lei nel 1784: si incontrarono all’Accademia di belle arti di Dresda, si sposarono a Parigi nel 1805 per scendere nello stesso anno a Milano dove avrebbero italianizzato i nomi e dove si sarebbero fermati per il resto della vita, lui morendo nel 1833 e lei nel 1837.
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I coniugi Lose
La loro casa milanese fu una bottega artistica: intercettando la richiesta di “souvenir” da parte dei viaggiatori, ma anche della nobiltà e della borghesia locali, marito e moglie si dedicarono all’arte della stampa. Lui disegnava, lei colorava e incideva. Ebbero un discreto successo e realizzarono alcuni libri ancora oggi considerati di squisita fattura, per quanto siano stati praticamente tutti smembrati per mettere sul mercato le singole illustrazioni, come del resto è accaduto per molte opere consimili, delle quali quasi nulla resta se non rare copie mutilate o eventuali moderne ristampe.
Nel 1818, i Lose pubblicarono con l’editore milanese Bernucca il “Viaggio pittorico e storico ai tre laghi Maggiore, di Lugano e Como”; nel 1823 stamparono in proprio “Il viaggio pittorico nei Monti di Brianza” riproposto poi nel 1835 dagli editori Fratelli Bettalli di Milano e nel 1839 da Corbetta di Monza. Nel 1824, intanto, usciva, ancora per Bernucca, il “Viaggio pittorico e storico al Monte Spluga da Milano a Coira”.
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Libri, come detto, quasi scomparsi: rarissimi, quasi unici, gli esemplari in circolazione. Le tracce che rimangono sono soprattutto le stampe estrapolate e disperse in varie collezioni che qualche volta spuntano nei negozi d’antiquariato o di vecchi libri. 
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Per il “Viaggio ai laghi”, abbiamo rintracciato una copia alla Biblioteca Cantonale di Lugano e un’altra alla Biblioteca Braidense di Milano (questa anche digitalizzata e consultabile sul sito internet): entrambe lacunose, fortunatamente si compensano l’una con l’altra. Complessivamente sono 56 tavole, la gran parte del lago di Como: ben 32, delle quali otto lecchesi; 19 quelle del Lago Maggiore, solo 4 quella del Lago di Lugano e, infine, una del castello di Trezzo d’Adda.
Per il viaggio allo Spluga, sedici illustrazioni sono esposte al Museo della Via Spluga a Campodolcino. 
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Più abbordabile il viaggio nei monti della Brianza: nel 1959, infatti, “Il Polifilo” di Milano ne propose una pregevole edizione anastatica con l’introduzione del giornalista Orio Vergani.
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Poi, nel 2022, l’editore “Opificio monzese delle pietre dure”, ha pubblicato il “Tour dei Lose” curato da Renato Ornaghi, l’eclettico manager di Monticello conosciuto anche per altre iniziative: dalla traduzione in dialetto delle canzoni del Beatles ai libri dedicati al Cammino di Sant’Agostino e al Sentiero di Leonardo; “Il Tour dei Lose” riproduce testi e illustrazioni dell’opera dei coniugi tedeschi ma comprende anche una corposa seconda parte che descrive, tappa per tappa, un possibile itinerario ciclistico tra quei luoghi “ottocenteschi”.
Il “Viaggio pittorico” non fu comunque un’invenzione dei Lose. Si trattava di un genere di pubblicazioni molto in voga nel XIX secolo ed era una maniera più agevole (ed economica) per conservare ricordi di viaggio precedentemente affidati alle tele di vedutisti al seguito dei viaggiatori più danarosi o acquistate strada facendo.
Introducendo il “viaggio brianzolo”, scrive Vergani: «Il pittore Lose ne vendeva per lire austriache 175 le copie in nero, a chi tirasse il campanello o bussasse col battente di bronzo o di ferro alla sua porta. (…) Molto son mutati, nel giro del tempo, i luoghi che Stendhal doveva, di villa in villa, percorrere. (…) Oggi, fra le valli e il profilo delle Prealpi, sorgono profili di fabbriche e fumaioli di opifici. Dobbiamo ai Lose le immagini di un tempo che altrimenti, almeno in gran parte, sarebbe forse soltanto memoria. (…) Dei Lose la storia ci dice assai poco. (…) Probabilmente Federico Lose non esercitò in pittura se non l’arte del vedutista che in molti casi era poco più di una squisita e meticolosa esperienza artigianale. Uomo del Nord, così ci appare nella sua opera, amò soprattutto la natura, com’era nel carattere romantico della sua razza. (…) Da buon tedesco amava i prati, i boschi, i fiumi, i monti. Molti, molti anni prima dei pittori milanesi, che aspettarono quasi mezzo secolo per uscire sulla strada di Monza e della Brianza, al di là dei caselli di Porta Orientale, a dipingere all’aperto, il Lose se ne andò a cercare “il bello” assai più lontano dell’immediato fuori porta. “Il bello” lo trovò in Brianza, e più tardi sul lago di Garda o, ancor più vicino a Milano, fra gli alberi del Parco di Monza, cui dedicò un’altra raccolta di incisioni. Se per singoli lavori si spinse a Genova, a Torino, a Venezia, e sul lago di Como – non trascurando nemmeno di dedicare qualche veduta alla città che lo ospitava – il Lose fu soprattutto pittore di alberi, di boschi, di ruscelli, di colline, di quieti laghi e di cieli, appena qua là decorati da qualche nuvola».
Nel “Viaggio ai laghi”, le tappe lecchesi dei Lose sono quelle ormai già canoniche: l’Orrido e la Pioverna, il Fiume Latte, Varenna. Corenno. Senza tralasciare Bellano, Mandello e Lecco.
Per le parti scritte, si può parlare di didascalie “corpose” che attingono a quanto pubblicato in precedenza a cominciare dal “Viaggio da Milano ai tre laghi” di Carlo Amoretti, uscito per la prima volta nel 1794 e che nel corso del XIX secolo ebbe numerose edizioni. 
Per Lecco, i Lose descrivono «una scena ridente e veramente pittoresca» e naturalmente si parla del mercato dove affluiscono «compratori e venditori di ferro greggio e lavorato, di granaglie, di formaggi e dei vari altri generi» ma anche del «doppio canale d’acqua detto il “Fiumicello” che move circa 120 edifizi» nella maggior parte dei quali «si travaglia intorno al ferro, che si fila d’ogni sottigliezza», e però «i conoscitori della chimica vorriano che si perfezionassero le macchine, onde rendere meno insalubre agli artefici questo travaglio».
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Mandello e Varenna
Risalendo il lago, si tocca appunto Mandello con il palazzo dei marchesi Airoldi e poi «il bel verde del piano allevato da assidua cultura» e che «guida con diletto all’ombre che spandono i sovrastanti colli, e questi vezzosamente poggiando vanno in alto ad incontrare le rocce spaventose del monte». Senza dimenticare Olcio dove «si scavarono le otto magnifiche colonne di marmo che ornano in Como il ricco tempio del Crocifisso»
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Bellano e il suo Orrido
Poi, Varenna con il suo clima mite, le cave di marmo, il Fiume Latte con l’acqua freddissima «che precipitando poco meno che perpendicolare fra massi, spuma e s’imbianca» e che costituisce un grattacapo per i naturalisti, ma anche la villa Capuana e la fabbrica di cristalli dei Signori Venini. Si arriva quindi a Bellano con la strada che «mette in Valsasina ricca di miniere, di boschi, di pascoli» e naturalmente l’Orrido: «L’orror del luogo vien accresciuto dall’oscurità, dallo spumeggiare, e dal cupo muggito delle acque. Su un ponte angusto pensile e sostenuto da catene si tragitta il fiume, e per una scala rozzamente tagliata nel sasso si sale ove da un balcone di legno vedesi l’interno della caverna. (…) E’ stato osservato che comunque maestosa, e grande sia questa cascata, non però porta tutte le acque del fiume, che bagna, e non di rado inonda la Valsasina; onde a ragione si crede, che per canali sotterranei una parte ne scenda al lago inosservata».
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Corenno e Lecco
Infine Corenno, uno dei paesi lariani che «vantano maggior vista», mentre il gran panegirico riservato al conte Andreani e alla «degnissima di lui consorte, che a qualche dimora vengonvi ogni tanto», ci appare più uno stratagemma commerciale – di quelli che del resto hanno corso anche si tempi nostri - e chissà se il conte sia poi stato generoso.
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Il Monte di Brianza e Barzanò
Per il “Viaggio pittorico nei Monti di Brianza” sono 24 le stampe che raccontano il tragitto da Monza a Erba e poi su per la Valassina e infine i colli lecchesi. Le “nostre” vedute sono quelle dei laghi di Pusiano e di Annone, di Civate e della Valle dell’Oro, del Monte di Brianza, di Imbersago, Barzanò, Monticello, della Molera di Viganò e di Villa Greppi.
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Villa Greppi e Monticello
In quanto al racconto, si va oltre la didascalia: si tratta di veri e propri testi. Varie le fonti, tra le quali quel Carlo Redaelli nel quale questa rubrica si è già imbattuto in diverse occasioni. Nel 1823 non aveva ancora pubblicato la sua storia brianzola, ma evidentemente condivise le proprie conoscenze con i Lose. I quali appunto spiegavano: «Le “Notizie istoriche della Brianza, di Lecco e della Valassina da più remoti tempi fino all’anno 1820”, pressoché condotte a termine dal dott. Carlo Redaelli su materiali adunati con lunghe e accurate indagini per il corso di molti anni, faranno in breve conoscere ancor meglio le vicende che v’ebbero in quella regione. Si è da queste notizie e da cenni di statistica di quei paesi che ci fu permesso di trarre alcune delle cose esposte. Ci furono altre somministrate da persone fornite non meno di dottrina che di bontà e gentilezza, altre si trovano nei più accreditati scrittori milanesi, e l’opportunità noi pure avemmo di fare alcune osservazioni; e possiamo poi accertare il lettore che nulla fu da noi asserito che comprovar non si possa» 
Come accadeva per molte opere storiche ottocentesche, peraltro, le notizie sono inanellate un po’ alla rinfusa, senza una precisa gerarchia. Ma va pure riconosciuto, in questo caso, che l’attenzione dei Lose era sulle illustrazioni.
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La Valle dell'Oro e La Molera di Viganò
A proposito del lago di Pusiano, viene ricordato la nascita a Bosisio del poeta Giuseppe Parini, ma a Bosisio vi si fa nascere anche il pittore Andrea Appiani e quindi «non deve perciò far meraviglia se una terra che diede il natale a questi due grandi uomini viene visitata con commozione dallo straniero e dal nazionale»  accennando anche a un “meccanico”, un signor Locatelli del quale nulla sappiamo, che nel 1816  «vi fece il primo esperimento del naviglio innaufragabile e le sponde e le alture che le circondano erano piene di spettatori recativisi anche da lungi non poco, il che formò un quadro singolarissimo». 
Del lago di Annone (e quello di Oggiono) ci viene detto come abbondi di pesci così come abbondi di anguille il suo emissario che è poi il Rio Torto.
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Le tavole dei Lose recentemente esposte in Valle dell'Oro

Il viaggio raggiunge Civate a la Valle dell’Oro apprezzata dai pittori che hanno «di che trattenersi aggradevolmente», ma dove soprattutto «nidificano le passere solitarie; e quei i villici ne rinvengono i nidi tra queste balze non senza alcune volte correre pericolo della vita: e i Briantini si compiacciono di averle e di educarle al canto». Del resto «è noto che il re Francesco primo prendeva grandissimo piacere in udirlo e che anche oggidì un maschio di questa specie, addomesticato, vendersi a caro prezzo a Ginevra e a Milano, e molto più ancora a Smirne e a Costantinopoli. Il canto naturale della passera solitaria è infatti dolcissimo, somigliantissimo al flauto, ma un po’ malinconico come dev’essere il canto d’un augello che vive solitario».
La basilica di San Pietro al Monte, invece, sappiamo come all’epoca era ridotta a un rudere che non meritava particolari attenzioni: era solo «un antichissima chiesa [che] non ha molto di ricca badia fondata secondo la popolare tradizione dal re Desiderio», quello stesso ultimo re dei Longobardi che eresse una chiesa all’Alpe San Michele sul Monte Barro, sulle cui rovine sarebbe poi sorta quella «grandiosa chiesa costruita per metà» che ancora affascina i frequentatori della località.
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Si parla poi del santuario della Madonna d’Imbevera con la sua fiera, dei resti del castello di Nava, del campanile di Brianza con l’improbabile leggenda di Teodolinda, ma «il vanto che non si può negare a questo luogo è d’avere dato il suo nome a tutto l’ameno paese conosciuto sotto quello dei Monti di Brianza». Che «l’origine poi di questo nome si perde fra le tenebre dell’antichità; non si omise di rintracciarne l’origine, ma quanto fu detto fino ad ora non sembra abbastanza soddisfacente». E Imbersago con la Madonna del Bosco, il “laguccio” di Sartirana, Barzanò «su un colle pittoresco d’amena veduta e una lunga dissertazione sulla cava di pietra della molera a Viganò. E Monticello la cui posizione viene giudicata «una delle più belle d’Italia». Infine, la Villa Greppi di Casate Vecchio: «Non dirò quanto questa villa, che i possessori vanno sempre abbellendo, sia amena e deliziosa: qui, secondo alcuni, il Balestrieri scrisse il lamento, le invettive di un amante contro la sua bella, e quella poverina non trovò sino a ora chi l’abbia difesa né in versi né in prosa».
Introducendo, il viaggio brianzolo, Vergani ci offre anche una suggestione manzoniana, essendo Alessandro Manzoni, nato proprio in quella via San Damiano dove al numero 299 i Lose «abitavano e avevano studio di pittura e torchio da incisione».
Dario Cercek
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