SCAFFALE LECCHESE/32: a spasso per il territorio con il 'Viaggio da Milano ai tre laghi' di Amoretti
Il Legnone? Non sarà alto come il Bianco o il Rosa. Però, stando al pendio, la nostra modesta vetta lariana se le lascia indietro, quelle piemontesi. Così si diceva tra Sette e Ottocento. Rilevazioni odierne daranno certamente altri responsi. Liquidando quelle misurazioni come campate per aria. Non siamo stati a indagare. Però, il viaggiatore colto dell’epoca le prendeva per buone.
Quella di Amoretti non è altro che una guida di viaggio, a scrivere la quale «fui indotto – si legge nella prefazione dell’autore appunto per l’edizione 1817 – dalle richieste di molti, sì nazionali che forestieri, i quali avidi di vedere le cose amene e istruttive che l’alto Milanese e i contorni de’ Laghi nostri presentano, eran costretti a chiedere indirizzo, consigli e notizie al servitor di piazza, al postiglione e al barcajuolo; e quindi molte importanti cose non vedeano, o le vedean male».
Amoretti è dunque ai piedi del Legnone. Arriva dalla Valtellina e dalla Valchiavenna, raggiunte e visitate dopo avere percorso la sponda occidentale lariana. Nelle pagine precedenti ci aveva già illustrato i viaggi da Milano ai laghi Maggiore e Ceresio. Ora si accinge a scendere costeggiando il Lario lungo la riva orientale: ci racconterà anche la Valsassina, la Valvarrone e il borgo di Lecco e poi ancora la Brianza.
Naturalmente, non lo seguiamo passo passo. Peschiamo qualcosa da una guida compilata con indubbia meticolosità. Tanto che, non fosse per il paesaggio completamente modificato o gli edifici antichi scomparsi e quelli moderni cresciuti, potremmo utilizzarla ancora oggi.
Il nostro scende a Bellano e sale in Valsassina tra miniere e forni fusori, ricorda la devastante frana del 1763 a Gero e Barcone per giungere ai due Ballabi fino al torrente Caldone la cui acqua «produce un vantaggio salutare sebbene non contenga nulla di minerale, né di gas, né altro pregio abbia fuor che quello d’essere purissima e leggerissima». Già altri (Giovanni Tamassia nel 1806, per esempio) ebbero a scrivere, a proposito del Caldone, di acque salutari e caldissime (da cui il nome).
E naturalmente il Fiumelatte: già ne viene ipotizzata la sorgente nella ghiacciaia del Moncodeno; a far da “colore” la leggenda dei giovani che nel 1583 s’inoltrarono perdendosi nelle grotte uscendone atterriti al punto che tre ne morirono. Leggenda rispolverata e raccontata lo scorso anno, si ricorderà, in “Latte e ghiaccio” dal nostro Stefano Motta.
Per esempio, Carlo Amoretti naturalista e agronomo nato a Oneglia nel 1741 e morto a Milano nel 1816, oggetto di molta stima nel mondo scientifico europeo. Scriveva: «E’ rimarchevole l’osservazione del ch(iarissimo) sig(nor) cav(alier) Pini che trovò essere il Legnone il monte che ha il più alto pendio continuato: poiché il San Gottardo, il Mon-bianco, il Monte-rosa ec., che molto più alti sono, presa l’altezza perpendicolare, non hanno dalle loro radici alla sommità tanta distanza quanta ve n’ha da Colico o da Piona alla cima del Legnone».
Carlo Ermenegildo Pini e Carlo Amoretti
Di là da teorie scientifiche valide ad alimentare orgogli da campanile, è dal Legnone che Amoretti inizia a raccontare la sua visita in terra lecchese nel libro “Viaggio da Milano ai tre laghi. Maggiore, di Lugano e di Como” che è l’opera sua più famosa, pubblicata nel 1794 e poi riproposta più volte. Tra le mani abbiamo l’edizione più recente, quella del 2018 uscita dal varesino Pietro Macchione e che è la copia anastatica dell’edizione 1817 (la quinta), ma impreziosita dalla riproduzione di oltre centocinquanta stampe ottocentesche selezionate da Claudio Tognozzi, curatore del volume (240 pagine, 30 euro). Unico neo, le laconiche didascalie: peccato, perché si tratta di una collezione assolutamente straordinaria.
La copertina del 1817 e sotto quella del 2018
Amoretti è dunque ai piedi del Legnone. Arriva dalla Valtellina e dalla Valchiavenna, raggiunte e visitate dopo avere percorso la sponda occidentale lariana. Nelle pagine precedenti ci aveva già illustrato i viaggi da Milano ai laghi Maggiore e Ceresio. Ora si accinge a scendere costeggiando il Lario lungo la riva orientale: ci racconterà anche la Valsassina, la Valvarrone e il borgo di Lecco e poi ancora la Brianza.
Naturalmente, non lo seguiamo passo passo. Peschiamo qualcosa da una guida compilata con indubbia meticolosità. Tanto che, non fosse per il paesaggio completamente modificato o gli edifici antichi scomparsi e quelli moderni cresciuti, potremmo utilizzarla ancora oggi.
Colico
Ai piedi del Legnone, si diceva. Volendo ci si potrebbe anche salire («Il viaggio si fa in sette ore» e chissà che significa che «l’aria è insalubre alla vetta come al piede, ma buona in mezzo»). Amoretti passa da Olgiasca dove c’è «la cava di marmo bianco che ora a Milano in gran copia trasportasi pel grand’arco sulla via del Sempione» (si soffermerà spesso su cave e miniere, su mami e graniti).Il nostro scende a Bellano e sale in Valsassina tra miniere e forni fusori, ricorda la devastante frana del 1763 a Gero e Barcone per giungere ai due Ballabi fino al torrente Caldone la cui acqua «produce un vantaggio salutare sebbene non contenga nulla di minerale, né di gas, né altro pregio abbia fuor che quello d’essere purissima e leggerissima». Già altri (Giovanni Tamassia nel 1806, per esempio) ebbero a scrivere, a proposito del Caldone, di acque salutari e caldissime (da cui il nome).
Bellano e Varenna
La guida ci riporta a Bellano. Tappa obbligatoria, naturalmente, l’Orrido della Pioverna: «L’orror del luogo vien accresciuto dall’oscurità, dallo spumeggiare e dal cupo muggito delle acque». Poi, Varenna: si ricorda la contesa coi Comaschi nel XII secolo e l’esodo dall’Isola Comacina, si parla del dolce clima con l’ulivo coltivato meglio che altrove e l’aloe che nasce spontanea, si segnalano come «più degno d’esser veduto» casa, giardino e soprattutto laboratorio del barone Isimbardi, direttore generale delle regie zecche.E naturalmente il Fiumelatte: già ne viene ipotizzata la sorgente nella ghiacciaia del Moncodeno; a far da “colore” la leggenda dei giovani che nel 1583 s’inoltrarono perdendosi nelle grotte uscendone atterriti al punto che tre ne morirono. Leggenda rispolverata e raccontata lo scorso anno, si ricorderà, in “Latte e ghiaccio” dal nostro Stefano Motta.
Malgrate
Da Lecco, descritto come un grosso centro industriale, il viaggiatore può poi tornare a Milano: ««Se ama viaggiare con economia e agiatamente e vedere al tempo stesso cose che interessano il naturalista, il politico e l’agricoltore, verrà a Milano per acqua a seconda dell’Adda», ma «chi non ama commettersi all’acqua, troverà una comoda e vaga strada». Per entrambi i percorsi, Amoretti fornisce ragguagli e descrizioni: lo srotolarsi del fiume attraverso il paesaggio, il restringersi e l’ingrossarsi, il farsi largo tra colline e rocce con gli eventi storici che han lasciato segni sui quali soffermarsi; l’avanzare del cammino tra chiese e colli, laghi (Olginate) e laghetti (Sartirana), Montevecchia (“Monteveggia”) dove Gaetana Agnesi «faceva quelle profonde meditazioni che la renderono capace di scrivere uno de’ migliori libri di matematica sublime» e il monte Robio «celebre per il suo vino che ha riputazione d’essere il migliore tra i milanesi».L'Adda e sotto Brivio
Così come pure «si troverà una strada comoda con viste piacevoli se per qualche combinazione convenisse da Como andare a Lecco per terra, o vero se piacesse vedere quello che noi chiamiamo la Brianza ed il Pian d’Erba, che reputansi le più deliziose situazioni delle nostre ville».
Dario Cercek