Lecco: i cambiamenti climatici e il futuro delle Alpi al centro della mostra 'Snow Land' e di un incontro
Con l’inaugurazione della mostra “Snow Land” allestita in piazza XX Settembre e un incontro sul “futuro delle Alpi” a Palazzo della paure si è aperto ieri a Lecco il festival “Immagimondo” organizzato da 27 anni dall’associazione “Les Cultures”, che ancora una volta propone una fitta serie di appuntamenti tra il fine settimana in corso e il prossimo.
L'esposizione presenta alcune delle fotografie parte del progetto avviato ormai una decina di anni fa dal fotografo vicentino Marco Zorzanello, immagini che documentano gli effetti del cambiamento climatico sulle Alpi con l’inevitabile ricaduta sulle stazioni di sport invernali.Ed era proprio questo il tema dell’incontro che, dopo la presentazione da parte del presidente di “Les Cultures” Giorgio Redaelli, ha visto gli interventi di Marco Agosta, editor della rivista monografica “Passenger” pubblicata da Iperborea e che quest’anno ha dedicato un numero proprio ai problemi delle Alpi, dello stesso Zorzanello che ha presentato il suo lavoro e di Maurizio De Matteis, autore con Michele Nardelli del libro “Inverno liquido” pubblicato lo scorso anno dall’editrice “Derive e approdi” e che già nel marzo 2023 era stato al centro di una serata lecchese sulla crisi del turismo di alta quota e il destino delle comunità montane legate alla monocoltura dello sci promossa da Cai, Wwf e Legambiente.A fronte di un cambiamento climatico che inevitabilmente richiede una trasformazione epocale sul turismo e della vita di montagna dopo mezzo secolo di impianti di risalita e sci di massa, i relatori sono comunque stati tutti concordi nell’evitare gli allarmismi.
Anzi, secondo Zorzanello non si dovrebbe neppure usare la parola “crisi”: è un momento di passaggio, in cui l’economia di montagna si deve reinventare. Il cambiamento climatico, quindi, va visto quasi come un’opportunità. Addirittura, per Agosta ci sono anche delle ricadute positive, «per esempio sarà possibile anche produrre vino a quote più alte».
E proprio Agosta ha aperto la serie degli interventi spiegando la linea editoriale di “Passenger”, rivista monografica solitamente dedicata a singoli Paesi e in casi eccezionali ad aree più vaste: l’anno scorso il Mediterraneo e in questo 2024 appunto le Alpi. Viste dai versanti francese, tedesco, austriaco e naturalmente italiano, dove non solo lo sguardo si posato ad alta quota, ma anche nell’area prealpina, in particolare nel bellunese.
Con punti di osservazione differenti: alpinismo pensando a come sta cambiando il lavoro delle guide; natura con il ritorno dei lupi legato anche ai fenomeni di spopolamento; le montagne viste come grande riserva d’acqua per il futuro con quello che significa e cioè che per produrre energia pulita occorre sacrificare intere vallate per realizzare invasi artificiali (è il caso di una polemica accesa in Austria); il tema della rigenerazione dei paesi e naturalmente il turismo e la crisi dello sci: «Ormai, la gran parte delle stazioni turistiche è in deficit e a tenerle in piedi è il sostegno finanziario pubblico». Un aspetto, quest'ultimo, che non va però demonizzato, ha aggiunto Dematteis: per 50 anni intere comunità sono vissute sul turismo di massa dello sci. Non si può pensare di troncare all’improvviso questa economia, per molti Comuni significherebbe il deserto.
Il libro “Inverno liquido” è il frutto di un reportage che ha portato gli autori in molte località di turismo invernale italiane, da Nord a Sud: «Volevamo capire – ha detto Dematteis -, cosa stava succedendo in questo momento con il cambiamento climatico, se le comunità se ne accorgevano e quali correttivi pensavano di attuare. Abbiamo trovato molte comunità spaventate, ma anche qualcuna che ha cominciato a intraprendere altre strade. In questi ultimi anni, in Italia sono state chiuse 311 stazioni sciistiche: davano da mangiare a intere comunità. Ogni volta che succede, c’è gente che rischia di dover lasciare casa e andare via».
Sono state due le strade del turismo invernale, ha proseguito Dematteis: quella del fordismo alpino, e cioè il turismo di massa alimentato dalle grandi città, ognuna delle quali aveva le sue stazioni sciistiche di riferimento, una strada andata in crisi per mancanza di neve, per l’aumento dei costi (il prezzo di un giornaliero è ormai inavvicinabile per una famiglia) e una cultura differente che si sta diffondendo tra i giovani; e quella delle grandi stazioni come la Dolomiti Superski che guardano al turismo internazionale e che prevedono grandi investimenti e hanno bisogno di infrastrutture, come una vera e propria industria pesante.
Il meteorologo Luca Mercalli ha previsto che fra trent’anni sarà tutto finito: un periodo lungo per un’azienda, ma breve per una comunità che deve cominciare ad attrezzarsi adesso per il grande cambiamento. Dunque è necessario diversificare.
A questo proposito, i Piani di Artavaggio in Valsassina sono un esempio: il Comune è stato lungimirante, per una volta la politica è stata più avanti, gli impianti sono stati smantellati e la frequentazione è cresciuta. «Certo, non c’è un’industria che riesce a riempire il cratere lasciato dallo sci da discesa. Era un mercato molto ricco. Quindi, bisogna industriarsi con una serie di offerte artigianali, creando una rete tra operatori di una località, di un’intera valle e di più valli vicine. Sapendo che chi arriva cerca un’esperienza. Oggi, si dice, non abbiamo clienti ma ospiti, e ciò significa che a un ospite devi aprire la porta di casa».
Zorzanello, in passato fotografo “sociale” con l’occhio rivolto alla Palestina, ha raccontato d’essersi specializzato sul tema “ambientale” dal 1° marzo 2015, cioè dal giorno in cui è nato il figlio e in particolare dalle successive vacanze natalizie, quando con la famiglia è andato in montagna per sciare e non c’era neve. E così è nata l’idea del progetto fotografico “Snow Land”, piste di neve artificiale tracciate in mezzo a montagne asciutte e secche. Nel 2015, nessuno ancora parlava di cambiamento climatico che ancora oggi sembra debba riguardare solo Paesi distanti da noi.
«In verità – ha spiegato – quando ho cominciato, ci sono stati due inverni particolarmente siccitosi e quindi il paesaggio era particolarmente significativo. Ma quello di cui mi sono accorto è l’assurdo che si va in montagna cercando la natura e si trova invece l’artificialità. Adesso il Politecnico di Milano e l’Università di Tel Aviv stanno studiando neve artificiale che possa resistere fino a dieci gradi sopra zero: ormai, il business non ha più niente a che fare con la natura, è un turismo di lusso. Una persona con uno stipendio medio per può permettersi una settimana in Val Badia o in una delle zone vicine».
Per fronteggiare gli inverni senza neve – ha concluso – ci sono tre possibilità. Una la resistenza, che è appunto lo sparare neve artificiale finché si può. Un’altra è la resilienza e quindi trovare nuove forme di turismo, ma certo occorre una joint-venture tra pubblico e privato, altrimenti sarebbero solo episodi isolati, mentre le Alpi vanno viste nel loro insieme. La terza possibilità è l’emigrazione e quindi lo spopolamento».
Il festival continua oggi e domani con una serie di incontri a Civate: a proposito di montagna, di parlerà di Appennino e di “paesi invisibili”. Per il programma completo CLICCA QUI.
L'esposizione presenta alcune delle fotografie parte del progetto avviato ormai una decina di anni fa dal fotografo vicentino Marco Zorzanello, immagini che documentano gli effetti del cambiamento climatico sulle Alpi con l’inevitabile ricaduta sulle stazioni di sport invernali.Ed era proprio questo il tema dell’incontro che, dopo la presentazione da parte del presidente di “Les Cultures” Giorgio Redaelli, ha visto gli interventi di Marco Agosta, editor della rivista monografica “Passenger” pubblicata da Iperborea e che quest’anno ha dedicato un numero proprio ai problemi delle Alpi, dello stesso Zorzanello che ha presentato il suo lavoro e di Maurizio De Matteis, autore con Michele Nardelli del libro “Inverno liquido” pubblicato lo scorso anno dall’editrice “Derive e approdi” e che già nel marzo 2023 era stato al centro di una serata lecchese sulla crisi del turismo di alta quota e il destino delle comunità montane legate alla monocoltura dello sci promossa da Cai, Wwf e Legambiente.A fronte di un cambiamento climatico che inevitabilmente richiede una trasformazione epocale sul turismo e della vita di montagna dopo mezzo secolo di impianti di risalita e sci di massa, i relatori sono comunque stati tutti concordi nell’evitare gli allarmismi.
Anzi, secondo Zorzanello non si dovrebbe neppure usare la parola “crisi”: è un momento di passaggio, in cui l’economia di montagna si deve reinventare. Il cambiamento climatico, quindi, va visto quasi come un’opportunità. Addirittura, per Agosta ci sono anche delle ricadute positive, «per esempio sarà possibile anche produrre vino a quote più alte».
E proprio Agosta ha aperto la serie degli interventi spiegando la linea editoriale di “Passenger”, rivista monografica solitamente dedicata a singoli Paesi e in casi eccezionali ad aree più vaste: l’anno scorso il Mediterraneo e in questo 2024 appunto le Alpi. Viste dai versanti francese, tedesco, austriaco e naturalmente italiano, dove non solo lo sguardo si posato ad alta quota, ma anche nell’area prealpina, in particolare nel bellunese.
Con punti di osservazione differenti: alpinismo pensando a come sta cambiando il lavoro delle guide; natura con il ritorno dei lupi legato anche ai fenomeni di spopolamento; le montagne viste come grande riserva d’acqua per il futuro con quello che significa e cioè che per produrre energia pulita occorre sacrificare intere vallate per realizzare invasi artificiali (è il caso di una polemica accesa in Austria); il tema della rigenerazione dei paesi e naturalmente il turismo e la crisi dello sci: «Ormai, la gran parte delle stazioni turistiche è in deficit e a tenerle in piedi è il sostegno finanziario pubblico». Un aspetto, quest'ultimo, che non va però demonizzato, ha aggiunto Dematteis: per 50 anni intere comunità sono vissute sul turismo di massa dello sci. Non si può pensare di troncare all’improvviso questa economia, per molti Comuni significherebbe il deserto.
Il libro “Inverno liquido” è il frutto di un reportage che ha portato gli autori in molte località di turismo invernale italiane, da Nord a Sud: «Volevamo capire – ha detto Dematteis -, cosa stava succedendo in questo momento con il cambiamento climatico, se le comunità se ne accorgevano e quali correttivi pensavano di attuare. Abbiamo trovato molte comunità spaventate, ma anche qualcuna che ha cominciato a intraprendere altre strade. In questi ultimi anni, in Italia sono state chiuse 311 stazioni sciistiche: davano da mangiare a intere comunità. Ogni volta che succede, c’è gente che rischia di dover lasciare casa e andare via».
Sono state due le strade del turismo invernale, ha proseguito Dematteis: quella del fordismo alpino, e cioè il turismo di massa alimentato dalle grandi città, ognuna delle quali aveva le sue stazioni sciistiche di riferimento, una strada andata in crisi per mancanza di neve, per l’aumento dei costi (il prezzo di un giornaliero è ormai inavvicinabile per una famiglia) e una cultura differente che si sta diffondendo tra i giovani; e quella delle grandi stazioni come la Dolomiti Superski che guardano al turismo internazionale e che prevedono grandi investimenti e hanno bisogno di infrastrutture, come una vera e propria industria pesante.
Il meteorologo Luca Mercalli ha previsto che fra trent’anni sarà tutto finito: un periodo lungo per un’azienda, ma breve per una comunità che deve cominciare ad attrezzarsi adesso per il grande cambiamento. Dunque è necessario diversificare.
A questo proposito, i Piani di Artavaggio in Valsassina sono un esempio: il Comune è stato lungimirante, per una volta la politica è stata più avanti, gli impianti sono stati smantellati e la frequentazione è cresciuta. «Certo, non c’è un’industria che riesce a riempire il cratere lasciato dallo sci da discesa. Era un mercato molto ricco. Quindi, bisogna industriarsi con una serie di offerte artigianali, creando una rete tra operatori di una località, di un’intera valle e di più valli vicine. Sapendo che chi arriva cerca un’esperienza. Oggi, si dice, non abbiamo clienti ma ospiti, e ciò significa che a un ospite devi aprire la porta di casa».
Zorzanello, in passato fotografo “sociale” con l’occhio rivolto alla Palestina, ha raccontato d’essersi specializzato sul tema “ambientale” dal 1° marzo 2015, cioè dal giorno in cui è nato il figlio e in particolare dalle successive vacanze natalizie, quando con la famiglia è andato in montagna per sciare e non c’era neve. E così è nata l’idea del progetto fotografico “Snow Land”, piste di neve artificiale tracciate in mezzo a montagne asciutte e secche. Nel 2015, nessuno ancora parlava di cambiamento climatico che ancora oggi sembra debba riguardare solo Paesi distanti da noi.
«In verità – ha spiegato – quando ho cominciato, ci sono stati due inverni particolarmente siccitosi e quindi il paesaggio era particolarmente significativo. Ma quello di cui mi sono accorto è l’assurdo che si va in montagna cercando la natura e si trova invece l’artificialità. Adesso il Politecnico di Milano e l’Università di Tel Aviv stanno studiando neve artificiale che possa resistere fino a dieci gradi sopra zero: ormai, il business non ha più niente a che fare con la natura, è un turismo di lusso. Una persona con uno stipendio medio per può permettersi una settimana in Val Badia o in una delle zone vicine».
Per fronteggiare gli inverni senza neve – ha concluso – ci sono tre possibilità. Una la resistenza, che è appunto lo sparare neve artificiale finché si può. Un’altra è la resilienza e quindi trovare nuove forme di turismo, ma certo occorre una joint-venture tra pubblico e privato, altrimenti sarebbero solo episodi isolati, mentre le Alpi vanno viste nel loro insieme. La terza possibilità è l’emigrazione e quindi lo spopolamento».
Il festival continua oggi e domani con una serie di incontri a Civate: a proposito di montagna, di parlerà di Appennino e di “paesi invisibili”. Per il programma completo CLICCA QUI.
D.C.