Lecco: confronto sul futuro della montagna, guardando ad alternative per non attaccarsi ai feticci degli impianti da sci

Destinata a finire l'era dello sci di massa, per la crisi climatica ma non solo, quale sviluppo per la montagna? La presentazione di un libro di Mauro Dematteis e Michele Nardelli ("Inverno liquido" edito da "Derive Approdi") che si annuncia come «un lungo reportage delle montagne italiane» in cui gli operatori «analizzano i fallimenti, spiegano i percorsi di riconversione, fotografano i sogni di rinascita», è stata l'occasione per una riflessione sulla trasformazione epocale che sta attraversando il turismo d'alta quota.

Su iniziativa del Cai, del Wwf e di Legambiente, ieri sera - venerdì 10 marzo - in sala Ticozzi ci si è confrontati sulle ipotesi per un futuro che dovrà essere necessariamente diverso per le località d'alta quota. Con l'attenzione rivolta anche al Lecchese, per quanto ormai l'unica stazione sciistica rimasta sia quella dei Piani di Bobbio.
Il punto di partenza è la neve naturale che non arriva più e quindi la necessità di procedere all'innevamento artificiale delle piste con quel che comporta dal punto di vista ambientale, visto l'impiego di enormi quantità d'acqua non sempre peraltro con risultati soddisfacenti, essendo necessarie quelle basse temperature che gli inverni troppo miti non garantiscono più.

Ad aprire la serie degli interventi è stato il sociologo Aldo Bonomi, origini valtellinesi e definitosi «un ambientalista riluttante», il quale ha anche firmato la prefazione allo stesso "Inverno liquido".
Bonomi ha cominciato parlando di "fordismo", vale a dire la formula che ha caratterizzato la produzione industriale del Novecento, quella della catena di montaggio per intenderci. Nel caso della montagna, si è trattato di un "fordismo alpino" sviluppatosi prima con le dighe e gli impianti idroelettrici e poi con le località sciistiche, gli impianti di risalita, i grandi poli degli sport invernali, i "letti freddi" e cioè il proliferare di seconde case che si sono mangiate il territorio. Ora si sta assistendo alla crisi di quel modello di sviluppo e si attraversa una transizione feroce, mentre l'industria turistica sale sempre più di quota alla ricerca delle condizioni migliori. Ha parlato di pieni e vuoti, il pieno della città e i vuoti della montagna, ma anche i pieni dell'industrializzazione e i vuoti delle dismissioni, in città come in montagna, invitando a ragionare in termini di "metromontagne", sul tessuto urbano regionale, sui rapporti e i trasferimenti tra metropoli e alta quota, rilevando come questo legame si sia ormai rotto e indicando proprio in associazioni come Cai e Legambiente i nuovi possibili protagonisti, purché si esca dalla fase di studio e si avvii una vera e propria fase di accompagnamento che si tiri dietro i sindaci, le comunità montane, le cosiddette "comunità operose" e cioè gli operatori economici. Cai e Legambiente hanno responsabilità che vanno oltre la produzione di conoscenze, devono essere sindacalisti dei territori, costruttori di comunità larghe coinvolgendo Confcommercio, Confartigianato, per non parlare di Confindustria. Diventare insomma i nuovi soggetti della rappresentanza, soprattutto oggi con la crisi della politica. Perché - citando l'indimenticato Alexander Langer - «la questione ecologica o è socialmente condivisa o non è».

Da parte sua, lo scrittore e blogger Luca Rota ha sottolineato come ormai le stagioni turistiche invernali siano legate solo alla speranza meteorologica, chiedendosi pertanto sia giusto continuare a investire soldi pubblici per una sola attività turistica basata ormai solo sulla speranza e poggiando su una cronaca e una storia passata che non vale più.

E' poi intervenuto l'autore del libro, Maurizio De Matteis, il quale ha appunto percorso le Alpi e l'Appennino per registrare cosa sta succedendo nell'economia di montagna del nostro Paese che sta vivendo l'epoca del "non più e non ancora", alle prese cioè con un'economia che ha caratterizzato sessanta o settanta anni della nostra storia e che ormai si è interrotto e un futuro ancora tutto da inventare: «Il non più - ha detto - è il mondo dello sci di discesa, pur senza dover buttar via un'esperienza che per alcune comunità ha consentito uno sviluppo». Però, quello sviluppo si è interrotto per il cambiamento climatico, per la crisi economica perché i costi sono sempre più alti e il cambiamento culturale del turista le cui richieste si sono differenziate: «E' la fine del turismo di messa. Certo, le grandi stazioni sciistiche se la giocano su altri piani, competono con le località straniere e allora bisogna offrire sempre di più». Ma gli altri? «Ho visto comunità preoccupate, impaurite, strette attorno ai feticci degli impianti che sono il modello ereditato dai genitori e al quale non vedono un'alternativa. E allora deve esserci un cambio di paradigma, un'offerta di piccoli numeri, un'economia più artigianale. Partendo da un dato: ci sono 3.577 Comuni montani in Italia. Di questi, solo 288 sono comprensori sciistici, una piccola parte dunque. Certo i giri economici non sono paragonabili, ma si deve arrivare a un turismo differente. Il modello dello sci di discesa è monoculturale e ha spazzato via le tradizioni e il genius loci di un territorio».

La crisi di questi anni - ha aggiunto Vanda Bonardo, responsabile di Legambiente Alpi e presidente di Cipra Italia (la commissione per la difesa delle Alpi) - sta innescando spirali perverse. Si sale sempre più in alto, ma si va anche verso una guerra dell'acqua, occorrono sempre più tecnologie e sempre più innevamento artificiale: «Capite in che pasticcio ci siamo messi? Per uscirne occorre rivedere il rapporto con la montagna e la natura. Le Alpi possono dare ancora possibilità straordinarie. Ha senso che uno sciatore debba avere a disposizione chilometri di piste lisce come biliardi, scendendo a velocità incredibili? Occorre rivedere il capitale naturale come bene comune. Occorre costruire reti per tante piccole realtà, avviare sinergie, favorire la partecipazione».

E' poi stato con la presidente del Cai lecchese, Adriana Baruffini, che lo sguardo si è concentrato più sul nostro territorio, che ha parlato di Artavaggio, citato nel libro come esempio di superamento felice dell'età dello sci su pista, ma nel contempo criticando il progetto di riportare una seggiovia dopo che gli impianti di risalita sono stati dismessi ormai da una ventina d'anni. E ha avanzato anche perplessità sui lavori per l'ulteriore potenziamento dei Piani di Bobbio con una nuova seggiovia e l'ampliamento del bacino per la raccolta dell'acqua necessaria a produrre neve artificiale: «I lavori compiuti a Bobbio hanno comportato un rimodellamento geologico del territorio ed è un fenomeno che non può essere senza conseguenze per un ecosistema delicato e considerato che Bobbio è un alpeggio ancora attivo». Baruffini è andata anche oltre la neve, soffermandosi sull'iperafflusso di turisti sulle nostre montagne: «Occorre che siano guidati. Oltre alla cura e alla manutenzione dei sentieri, c'è bisogno anche di formazione: formare sul rispetto della montagna e per una frequentazione consapevole,; in montagna non esiste il "tutti dappertutto", occorre il senso del limite, la montagna non è un parco divertimenti e non servono nuove attrezzature».

Su questa scia si è inserito il presidente regionale del Cai, il lecchese Emilio Aldeghi: «Sento certi discorsi di rilancio turistico da parte di sindaci e comunità montane che non mi piacciono per niente. Per esempio, il progetto di impianti sciistici sul monte San Primo e la decisione regionale di aprire i sentieri montani ai mezzi motorizzati, lasciando ai sindaci la facoltà di decidere».
Si è aggiunto l'intervento dell'alpinista Pietro Corti che indicando nelle falesie, nell'arrampicata e nella messo in guardia dal fenomeno delle mountain bike «perché non possiamo trasformare i nostri sentieri in piste per le biciclette»
A questo proposito, il sindaco Mauro Gattinoni ha assicurato che, per quanto riguarda i sentieri lecchesi, di via libera alla moto non si parla proprio, mentre per le mountain bike bisognerà pensare a una rete di sentieri separati, pensando anche ai disabili perché la montagna è di tutti. In quanto alle attrezzature, Gattinoni ha parlato del belvedere realizzato sotto il Coltignone ai Piani Resinelli e che tante discussioni ha creato: «Bella o brutta, ha creato un punto d'attrazione e anche questi poli d'attrazione servono per rivitalizzare certe località. Indubbiamente uno sciatore consuma di più di altri frequentatori della montagna e allora occorre trovare iniziative che possano invogliare i privati a investire»

Intervenuto anche il sindaco Andrea Corti di Moggio che - oltre a rispondere sulla seggiovia di Artavaggio definendola un piccolo intervento per i bambini che imparano a sciare - ha anche sottolineato la necessità di garantire attività economiche che diano da vivere alla gente che vive in montagna, perché costituisce il presidio del territorio: se non ci sono risorse economiche la gente se ne va e la montagna si spopola. Certo non bisogna fare gli errori del passato, occorre tutelare il territorio e fare che certe cose non succedano più, ma occorre trovare soluzione per far vivere chi resta. E queste alternative al momento non sono state trovate».
Il giornalista e alpinista Ruggero Meles ha portato l'esempio della Bergamasca dove ormai le località che vivono sulla neve sono poca cosa e dove il vero problema per garantire la vita di montagna a molti giovani che magari si trasferirebbero ad avviare un'attività agricola, è costituito dalla mancanza d'acqua negli alpeggi, i una rete internet efficiente, di medici di base, di scuole.
E' toccato poi al sindaco di Casargo Antonio Pasquini ricordare come proprio nel nostro territorio la crisi del "fordismo alpino" sia arrivata prima e prima quindi ci si è attivati a trovare alternative, ma nel contempo ha invitato a non bocciare per principio questo o quell'intervento: «Il problema non sta nel fare o non fare una cosa, ma come la si fa. Per esempio, un bacino d'alta quota non sempre è negativo. Se d'inverno serve per la neve artificiale, in altri periodi dell'anno può essere una riserva d'acqua. E i turisti che arrivano vanno accettati perché sono quelli che garantiscono quei servizi che servono anche ai nostri residenti».
A Luca Stefanoni, maestro di sci. È stato invece affidato il compito di raccontare come quel mondo e quella professione siano ormai cambiati.
D.C.
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