Calolzio, omicidio in stazione: la vittima ai raggi X. Con i genitori scandagliata la sua personalità, tra nervosismo, droga e inciampi con la Giustizia

“Ciao mamma, ci vediamo tra poco”. Sono le ultime parole dette da Mazou alla madre, incontrata per strada poco prima di andare incontro alla morte, il 29 agosto 2023 alla stazione ferroviaria di Calolzio.
Un quarto d'ora dopo - massimo venti minuti - e il telefono della donna già squillava: dall'altro capo il marito che, avvertito da un conoscente del ferimento, sulla banchina, di un ragazzo che “sembra tuo figlio” la pregava di andare a verificare, per allontanare quel brutto pensiero. 
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In primo piano il Presidente Carlo Cecchetti

Il giovanotto disteso sulla piattaforma, circondato da poliziotti e sanitari, però, era davvero il loro primogenito. Spirerà di lì a poco, all'arrivo all'ospedale a Lecco. 
Quei drammatici momenti sono stati ripercorsi quest'oggi in Tribunale a Como dove dinnanzi alla Corte d'Assise – presidente Carlo Cecchetti – si sta celebrando il processo a carico di Haruna Guebre, il connazionale, due anni più grande, accusato di omicidio, aggravato dai futili motivi.
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In primo piano il sostituto procuratore Chiara Di Francesco

Una sigaretta negata, nella ricostruzione della Procura – con la pubblica accusa sostenuta dal PM Chiara Di Francesco – la causa scatenante del diverbio tra i due burkinabé sfociato poi nell'accoltellamento di Malcom Mazou Darga. Una parola di troppo sulla madre, secondo l'imputato – che ha già reso spontanee dichiarazioni nel corso di una delle prime udienze, scegliendo oggi di non rendere esame – il motivo scatenante dell'aggressione, dall'esito purtroppo fatale.
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Una foto scattata il giorno dell'omicidio e nel rettangolo la vittima

In Aula, al cospetto della Corte, nella mattinata odierna sono sfilati, citati dal sostituto procuratore Di Francesco, i genitori della vittima, nonché la sorella ed un'amica convocate invece dagli avvocati Samantha Sacchetti e Antonio Caminiti, costituiti parte civile proprio nell'interesse della famiglia Darga. 
Il padre, primo ad accomodarsi al microfono, ha spiegato di non conoscere l'imputato, ma di essere stato ospitato, all'arrivo in Italia nel 2000, tramite la mediazione di uno zio, in una stanza messa a disposizione – ironia della sorte – proprio dal papà di Haruna, andato a trovarlo a casa anche dopo “il fatto” al centro del procedimento. 
All'uomo sono state poste – come poi alla consorte e alla secondogenita sentita come testimone – svariate domande, soprattutto da parte della difesa rappresentata dagli avvocati Marilena e Ilaria Guglielmana, volte a indagare il suo rapporto con Mazou e la personalità del 23enne. processoomicidiostazione5.jpg (108 KB)
“Mio figlio era un po' agitato” ha ammesso il signor Darga, riconducendo ciò però al trasloco da Airuno e Calolzio avvenuto giusto un paio di mesi prima del delitto, arrivando a confessare però anche discussioni nel corso del quale il ragazzo aveva danneggiato – sbattendola – una porta e rotto il televisore. Lui stesso, aveva proposto al ragazzo di farsi visitare dal medico di famiglia e in passato, già in caserma per questioni legati alla perdita di un documento, aveva chiesto ai Carabinieri di “dargli un occhio”, evidentemente preoccupato per lui, già “inciampato” con la Giustizia da minorenne e arrestato di nuovo, nel 2021, per una “resistenza” sul treno, costatagli – forse anche a seguito di una evasione dai domiciliari, come parrebbe essere emerso oggi in Aula per bocca della sorella – quasi un anno di carcere.
Mazou, “era un ragazzo pieno di vita”, nel ricordo, invece, della mamma, che ha ricordato come il 29 agosto fosse “molto tranquillo”, riconducendo sempre al cambio di casa il nervosismo dimostrato nell'ultimo periodo dal figlio, collegato a suo dire anche al non voler più “andare dall'assistente sociale” che lo seguiva (per questioni connesse all'educativa scolastica, secondo la donna; per la messa alla prova in corso in relazione a fatti del 2016 secondo il legale di parte civile).
“Sorrideva sempre”, ha aggiunto ancora la sorella, legata a lui da “un bellissimo rapporto”, così come alla madre. “Con mio padre si scontrava di più, perché papà ha modi di pensare diversi dai nostri” ha aggiunto ancora la ragazza, sostenendo come nei momenti di rabbia Mazou non se la prendesse mai direttamente con i genitori.
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L'imputato Haruna Guebre tra i difensori Ilaria e Marilena Guglielmana

“Ho sempre visto Darga intimorito da Haruna” ha affermato in Aula, infine, una lecchese che, per anni, approssimativamente tra il 2017 e il 2020, ha frequentato vittima e imputato, puntualizzando come gli stessi, tra loro, si chiamassero “cugino”, pur non avendo un legame di sangue, ma semplicemente perché entrambi originari del Burkina Faso, circostanza questa confermata anche dal padre del 23enne, parlando di un termine usato tra “paesani” rispondendo a una domanda del PM, desideroso di dare un senso a quel “mio cugino” che Mazou avrebbe detto, prima di perdere i sensi, al poliziotto che, soccorrendolo in stazione, gli aveva domandato chi lo avesse ferito.
E se i genitori della vittima sono stati piuttosto generici sul tema, l'amica è stata schietta nell'ammettere come entrambi i coinvolti nella vicenda facessero uso – come lei, del resto - di sostanze stupefacenti, tacciando altresì Darga di spacciare.
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“Che Haruna avesse i suoi scatti, lo sapevamo tutti, ma non era mai arrivato ad aggredire qualcuno” ha anche aggiunto, specificando come bastava una “parola sbagliata” per innescare la reazione violenta – a parole – dell'imputato. Come, per sua stessa ammissione, avvenuto anche il 29 agosto a Calolzio, con un coltello però tra le mani.

Prevista nel pomeriggio l'escussione del perito nominato dal Tribunale (QUI l'anticipazione delle sue conclusioni) che, in relazione all'imputato, ha attestato un vizio parziale di mente, prima di tornare poi in Aula settimana prossima per le conclusioni.
A.M.
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