SCAFFALE LECCHESE/197: "Il perdono conteso" di Aloisio Bonfanti
Vi fu un tempo in cui i fedeli che avessero frequentato la chiesa dei santi Gervaso e Protaso a Castello nel giorno di Pasqua avrebbero beneficiato dell’indulgenza plenaria. Privilegio per il quale sorse poi una disputa con la chiesa del borgo, San Nicolò, disputa che il Papa in persona risolse in maniera salomonica. E’ la vicenda del cosiddetto perdono conteso che ha le radici nel 1532 e ha accompagnato i lecchesi per quattro secoli, fino agli anni Sessanta del Novecento. Ce la racconta Aloisio Bonfanti in un librettino (appunto “Il Perdono conteso. Vicenda del sedicesimo secolo”) pubblicato nel 1973, primo volume di una ipotizzata collana di “Memorie della pieve di Lecco”, promossa dalla Prepositurale di San Nicolò. Al primo titolo, ne fece seguito un secondo dello stesso Bonfanti: “Da S. Stefano a S. Nicola”.
Erano, quelli, gli anni in cui si andavano riordinando gli archivi parrocchiali di San Nicolò, come si legge nell’introduzione al “Perdono” da parte dell’allora prevosto Enrico Assi: «La pubblicazione dell’opuscolo ha un merito: quello di aprire una prospettiva più ampia, quella cioè di promuovere studi e ricerche di storia religiosa e giungere alla pubblicazione di una serie di “frammenti” – come avrebbe detto Uberto Pozzoli
- che possano in un futuro non troppo lontano servire come punti di riferimento per una più ampia e organica storia religiosa della città. Il riordino degli archivi parrocchiali che è felicemente in atto potrà offrite abbondante e prezioso materiale per chi vorrà intraprendere un lavoro di ricerca in questo campo».
Va ricordato il clima culturale e politico degli anni Settanta, anni “impegnati”, nei quali grande era l’interesse per lo studio della storia anche locale e nel contempo i movimenti giovanili mettevano in discussione consuetudini e autorità, religione e Chiesa incluse. Non è perciò un caso che lo stesso monsignor Assi, nell’introduzione al secondo titolo della collana, scriveva: «Ci si accorge subito che la dimensione religiosa era una componente essenziale sia sul piano individuale, come sul piano sociale e del costume. E’ merito non trascurabile dell’autore quello di aiutare a scoprire questo aspetto noi, lettori di oggi, tentati di ridurre, se non di negare, la rilevanza sociale del fatto cristiano»
Il progetto di una vera e propria collana di “Memorie della pieve di Lecco” però non andò oltre i primi due titoli. Si fermò per il cambio alla guida della Prepositurale lecchese nel 1976, quando monsignor Assi fu nominato vescovo e si trasferì prima a Milano e poi a Cremona dove morì nel 1992.
Per risalire alle origini del Perdono occorre tornare a Gian Giacomo Medici, cioè il Medeghino, e in particolare all’assedio di Lecco del 1531-32. Proprio durante quella guerra «Gabrio Medici, fratello del Medeghino, venne mortalmente ferito nella battaglia navale avvenuta fra Onno e Mandello nel gennaio 1532. (…) Morì poco dopo il suo ricovero presso il “triangolo fortificato” di Lecco. Aveva ventidue anni. E’ stato scritto che fu di bell’aspetto, sprezzante del pericolo sul campo di battaglia, pronto a dare l’esempio ai suoi soldati che erano particolarmente affezionati al giovane comandante. (…) Giovanni Angelo Medici, fratello di Gabrio e di Giangiacomo, divenuto Papa Pio IV, per onorare la memoria del giovane caduto in combattimento concesse nel 1570 il “Perdono” alla Chiesa che ne aveva accolto le spoglie. E dopo il 1570 si discusse a lungo per stabilire con esattezza l’edificio sacro della tumulazione. Le tesi erano diverse, alcuni sostenevano che il giovane Medici fosse stato sepolto nella chiesa di Sn Nicola a Lecco, altri nella chiesa dei Santi Gervaso e Protaso a Castello, altri ancora nel convento di San Giacomo, sempre a Castello». Successivamente, la salma sarebbe stata trasferita a Milano per essere sepolta nel Duomo che conserva anche la tomba dello stesso Medeghino.
Il 20 febbraio 1570, Pio IV decretò: «Desiderando di procedere alla salvezza delle anime degli stessi fedeli cristiani e perché dai medesimi sia frequentata con i dovuti onori e più devotamente visitata la Chiesa dei Santi Gervaso e Protaso (…) a tutti i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, veramente contriti e confessati, che visiteranno ogni anno, in perpetuo la detta Chiesa nella festa della Pasqua di Resurrezione del Signore Nostro Gesù Cristo e nelle due feste immediatamente seguenti, dai primi Vesperi della medesima Festa di Pasqua sino al tramonto del sole della terza Festa compresa (…) concediamo e doniamo, la indulgenza plenaria e la remissione di tutti e singoli i loro peccati».
Va ricordato che all’epoca la Prevostura di Lecco era stata trasferita proprio a Castello e «la concessione del Perdono – scrive Bonfanti -sembrò far definitivamente tramontare la possibilità di un ritorno presso San Nicola, come volevano i lecchesi del piccolo borgo del tempo, racchiuso nel triangolo fortificato Ma i lecchesi del borgo, sostenevano che il fratello del Medeghino fosse stato sepolto in San Nicola». Si aprì un contenzioso destinato a durare: nel 1585 papa Sisto V decise di trasferire il Perdono da Castello a Lecco. Gli abitanti di Castello si ribellarono. Finché nel 1612 Paolo V ordinò che il Perdono pasquale fosse celebrato alternativamente fra Lecco e Castello. Un anno da una parte, un anno dall’altra. Eppure il contenzioso non si placò. Per anni e per secoli volarono insulti e anche qualche legnata tra una fazione e l’altra
Poi, «lentamente, con il passare dei decenni, le divisioni e le polemiche fra le due comunità diminuirono di intensità. Dalla tregua iniziale si passò ad una pace quasi definitiva, rotta solo da qualche sporadica schermaglia verbale. (…) Le processioni dei fedeli delle varie parrocchie verso Lecco e Castello proseguirono nel corso dei secoli» fino agli Cinquanta o Sessanta del Novecento, quando «l’aumento della motorizzazione, il traffico intenso delle giornate pasquali verso il lago e le montagne del Lecchese, rappresentavano ostacoli notevoli per lo svolgimento composto delle processioni. (…) Poco dopo, nel quadro di rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II, scomparve anche l’indulgenza pasquale del Perdono».
Il volumetto “Da S. Stefano a S. Nicola”, pubblicato nel 1974, è invece una sorta di sommario della storia religiosa del “borgo” di Lecco: Bonfanti ne racconta i passaggi più significativi. Partendo dalle origini: «Sul colle situato non lungi dalle pareti più ripide del San Martino, dove alcuni resti indicano ancor oggi il perimetro incerto del Castrum Leuci, sorse, intorno al sesto secolo, la prima chiesa della nostra zona. Venne dedicata al protomartire della fede cristiana: il diacono Stefano.» Era la prima sede plebana presso la quale «operavano, in comunità, alcuni sacerdoti che erano impegnati nella cura d’anime tra gli abitanti dei villaggi sparsi nel territorio. (…) La sede plebana lasciò il colle di S. Stefano con la distruzione di Lecco, operata dalle truppe di Matteo Visconti, nel 1206. Il trasferimento avvenne presso la Chiesa dei Santi Gervaso e Protaso in Castello. (…) Le vicende della sede prepositurale ebbero, successivamente, alterne vicende fra Lecco e Castello. In occasione di eventi bellici, prevosto e canonici lasciarono, alcune volte precipitosamente, Castello, per rifugiarsi in San Nicola, collocata tra le sicura mura del borgo fortificato. Nel 1460 il prevosto Matteo de Casteleto tornava presso San Gervaso e Protaso dopo una serie di vivaci contrasti con i fedeli lecchesi. (…) San Carlo, nell’agosto 1584, decretò che prevosto e canonici si stabilissero presso San Nicola». Un decreto che, come proprio la vicenda del “Perdono conteso” ci racconta, non mise certo fine alle turbolenze.
Lo studio è articolato in dieci capitoli dedicati ad altrettanti momenti significativi. Il culto per San Nicola, per esempio, che ha appunto soppiantato quello per Santo Stefano del quale invece rimane la tradizione dell’incendio del pallone nella giornata del 26 dicembre. Festa, quella di San Nicola, che inoltre ha ormai messo in ombra l’autentica festa di Lecco e cioè la Madonna del Rosario.
Attenzione viene riservata all’importanza che nel corso dei secoli è andata assumendo la chiesa del borgo fino alla sua elevazione in Basilica avvenuta nel 1943; un edificio dalle incerte origini e dalle vicende contrastanti: di là dalla rivalità con Castello, pare che le condizioni del tempio lecchese non fossero delle migliori, se nel 1746, l’arcivescovo Giuseppe Pozzonbelli constatava «con profondo rammarico, che la chiesa principale di Lecco mancava della facciata e del pavimento. Le alterne vicende politiche e militari del borgo fortificato avevano ridotto la chiesa in condizioni disastrose. Il Cardinale non mancò di invitare il clero e i fedeli a ridare decoro alla casa di Dio. I buoni fedeli si misero all’opera».
Ma si dovrà attendere ancora un secolo perché prenda forma quella chiesa che ancora oggi vediamo, quella progettata dall’architetto Giuseppe Bovara: «Solo nel 1855, condotta a termine buna parte dei lavori di ampliamento e di sistemazione (…) Andrea Luigi Apostolo poteva scrivere che i lecchesi “diedero al loro tempio quell’ampiezza e quella maestosità che corrisponda all’importanza del borgo».
Tra le altre cose, Bonfanti ci consegna anche i ritratti di due figure illustri della Chiesa lecchese: quella del beato Pagano del prevosto Antonio Mascari.
Il primo, Pietro Fedele Pagano, domenicano, nacque a Lecco nel 1205 e venne ucciso in Valtellina nel 1277, in uno di quei sanguinosi episodi che hanno costellato le faide tra guelfi e ghibellini nonché la lotta contro le eresie, della quale i domenicani rappresentavano la punta di diamante. Oltre alla consueta venerazione per il martire, il ricordo del beato Pagano ebbe un ruolo nella battaglia politica ottocentesca: a lui venne infatti intitolato il «combattivo circolo dei giovani cattolici che, dal 1884 ai primi anni del Novecento (che) si distinse nella Lecco anticlericale per la fedeltà totale al Papa e alla Chiesa. Tante volte i giovani del circolo Pagano balzarono agli oinori della cronaca cittadina e furono il bersaglio preferito degli ambienti laici».
Mascari fu invece prevosto per trentaquattro anni, dal 1827 al 1861, dunque nel pieno delle turbolenze risorgimentali nelle quali anch’egli ebbe una sua parte.
Erano, quelli, gli anni in cui si andavano riordinando gli archivi parrocchiali di San Nicolò, come si legge nell’introduzione al “Perdono” da parte dell’allora prevosto Enrico Assi: «La pubblicazione dell’opuscolo ha un merito: quello di aprire una prospettiva più ampia, quella cioè di promuovere studi e ricerche di storia religiosa e giungere alla pubblicazione di una serie di “frammenti” – come avrebbe detto Uberto Pozzoli
- che possano in un futuro non troppo lontano servire come punti di riferimento per una più ampia e organica storia religiosa della città. Il riordino degli archivi parrocchiali che è felicemente in atto potrà offrite abbondante e prezioso materiale per chi vorrà intraprendere un lavoro di ricerca in questo campo».
Va ricordato il clima culturale e politico degli anni Settanta, anni “impegnati”, nei quali grande era l’interesse per lo studio della storia anche locale e nel contempo i movimenti giovanili mettevano in discussione consuetudini e autorità, religione e Chiesa incluse. Non è perciò un caso che lo stesso monsignor Assi, nell’introduzione al secondo titolo della collana, scriveva: «Ci si accorge subito che la dimensione religiosa era una componente essenziale sia sul piano individuale, come sul piano sociale e del costume. E’ merito non trascurabile dell’autore quello di aiutare a scoprire questo aspetto noi, lettori di oggi, tentati di ridurre, se non di negare, la rilevanza sociale del fatto cristiano»
Il progetto di una vera e propria collana di “Memorie della pieve di Lecco” però non andò oltre i primi due titoli. Si fermò per il cambio alla guida della Prepositurale lecchese nel 1976, quando monsignor Assi fu nominato vescovo e si trasferì prima a Milano e poi a Cremona dove morì nel 1992.
Per risalire alle origini del Perdono occorre tornare a Gian Giacomo Medici, cioè il Medeghino, e in particolare all’assedio di Lecco del 1531-32. Proprio durante quella guerra «Gabrio Medici, fratello del Medeghino, venne mortalmente ferito nella battaglia navale avvenuta fra Onno e Mandello nel gennaio 1532. (…) Morì poco dopo il suo ricovero presso il “triangolo fortificato” di Lecco. Aveva ventidue anni. E’ stato scritto che fu di bell’aspetto, sprezzante del pericolo sul campo di battaglia, pronto a dare l’esempio ai suoi soldati che erano particolarmente affezionati al giovane comandante. (…) Giovanni Angelo Medici, fratello di Gabrio e di Giangiacomo, divenuto Papa Pio IV, per onorare la memoria del giovane caduto in combattimento concesse nel 1570 il “Perdono” alla Chiesa che ne aveva accolto le spoglie. E dopo il 1570 si discusse a lungo per stabilire con esattezza l’edificio sacro della tumulazione. Le tesi erano diverse, alcuni sostenevano che il giovane Medici fosse stato sepolto nella chiesa di Sn Nicola a Lecco, altri nella chiesa dei Santi Gervaso e Protaso a Castello, altri ancora nel convento di San Giacomo, sempre a Castello». Successivamente, la salma sarebbe stata trasferita a Milano per essere sepolta nel Duomo che conserva anche la tomba dello stesso Medeghino.
Il 20 febbraio 1570, Pio IV decretò: «Desiderando di procedere alla salvezza delle anime degli stessi fedeli cristiani e perché dai medesimi sia frequentata con i dovuti onori e più devotamente visitata la Chiesa dei Santi Gervaso e Protaso (…) a tutti i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, veramente contriti e confessati, che visiteranno ogni anno, in perpetuo la detta Chiesa nella festa della Pasqua di Resurrezione del Signore Nostro Gesù Cristo e nelle due feste immediatamente seguenti, dai primi Vesperi della medesima Festa di Pasqua sino al tramonto del sole della terza Festa compresa (…) concediamo e doniamo, la indulgenza plenaria e la remissione di tutti e singoli i loro peccati».
Va ricordato che all’epoca la Prevostura di Lecco era stata trasferita proprio a Castello e «la concessione del Perdono – scrive Bonfanti -sembrò far definitivamente tramontare la possibilità di un ritorno presso San Nicola, come volevano i lecchesi del piccolo borgo del tempo, racchiuso nel triangolo fortificato Ma i lecchesi del borgo, sostenevano che il fratello del Medeghino fosse stato sepolto in San Nicola». Si aprì un contenzioso destinato a durare: nel 1585 papa Sisto V decise di trasferire il Perdono da Castello a Lecco. Gli abitanti di Castello si ribellarono. Finché nel 1612 Paolo V ordinò che il Perdono pasquale fosse celebrato alternativamente fra Lecco e Castello. Un anno da una parte, un anno dall’altra. Eppure il contenzioso non si placò. Per anni e per secoli volarono insulti e anche qualche legnata tra una fazione e l’altra
Poi, «lentamente, con il passare dei decenni, le divisioni e le polemiche fra le due comunità diminuirono di intensità. Dalla tregua iniziale si passò ad una pace quasi definitiva, rotta solo da qualche sporadica schermaglia verbale. (…) Le processioni dei fedeli delle varie parrocchie verso Lecco e Castello proseguirono nel corso dei secoli» fino agli Cinquanta o Sessanta del Novecento, quando «l’aumento della motorizzazione, il traffico intenso delle giornate pasquali verso il lago e le montagne del Lecchese, rappresentavano ostacoli notevoli per lo svolgimento composto delle processioni. (…) Poco dopo, nel quadro di rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II, scomparve anche l’indulgenza pasquale del Perdono».
Il volumetto “Da S. Stefano a S. Nicola”, pubblicato nel 1974, è invece una sorta di sommario della storia religiosa del “borgo” di Lecco: Bonfanti ne racconta i passaggi più significativi. Partendo dalle origini: «Sul colle situato non lungi dalle pareti più ripide del San Martino, dove alcuni resti indicano ancor oggi il perimetro incerto del Castrum Leuci, sorse, intorno al sesto secolo, la prima chiesa della nostra zona. Venne dedicata al protomartire della fede cristiana: il diacono Stefano.» Era la prima sede plebana presso la quale «operavano, in comunità, alcuni sacerdoti che erano impegnati nella cura d’anime tra gli abitanti dei villaggi sparsi nel territorio. (…) La sede plebana lasciò il colle di S. Stefano con la distruzione di Lecco, operata dalle truppe di Matteo Visconti, nel 1206. Il trasferimento avvenne presso la Chiesa dei Santi Gervaso e Protaso in Castello. (…) Le vicende della sede prepositurale ebbero, successivamente, alterne vicende fra Lecco e Castello. In occasione di eventi bellici, prevosto e canonici lasciarono, alcune volte precipitosamente, Castello, per rifugiarsi in San Nicola, collocata tra le sicura mura del borgo fortificato. Nel 1460 il prevosto Matteo de Casteleto tornava presso San Gervaso e Protaso dopo una serie di vivaci contrasti con i fedeli lecchesi. (…) San Carlo, nell’agosto 1584, decretò che prevosto e canonici si stabilissero presso San Nicola». Un decreto che, come proprio la vicenda del “Perdono conteso” ci racconta, non mise certo fine alle turbolenze.
Lo studio è articolato in dieci capitoli dedicati ad altrettanti momenti significativi. Il culto per San Nicola, per esempio, che ha appunto soppiantato quello per Santo Stefano del quale invece rimane la tradizione dell’incendio del pallone nella giornata del 26 dicembre. Festa, quella di San Nicola, che inoltre ha ormai messo in ombra l’autentica festa di Lecco e cioè la Madonna del Rosario.
Attenzione viene riservata all’importanza che nel corso dei secoli è andata assumendo la chiesa del borgo fino alla sua elevazione in Basilica avvenuta nel 1943; un edificio dalle incerte origini e dalle vicende contrastanti: di là dalla rivalità con Castello, pare che le condizioni del tempio lecchese non fossero delle migliori, se nel 1746, l’arcivescovo Giuseppe Pozzonbelli constatava «con profondo rammarico, che la chiesa principale di Lecco mancava della facciata e del pavimento. Le alterne vicende politiche e militari del borgo fortificato avevano ridotto la chiesa in condizioni disastrose. Il Cardinale non mancò di invitare il clero e i fedeli a ridare decoro alla casa di Dio. I buoni fedeli si misero all’opera».
Ma si dovrà attendere ancora un secolo perché prenda forma quella chiesa che ancora oggi vediamo, quella progettata dall’architetto Giuseppe Bovara: «Solo nel 1855, condotta a termine buna parte dei lavori di ampliamento e di sistemazione (…) Andrea Luigi Apostolo poteva scrivere che i lecchesi “diedero al loro tempio quell’ampiezza e quella maestosità che corrisponda all’importanza del borgo».
Tra le altre cose, Bonfanti ci consegna anche i ritratti di due figure illustri della Chiesa lecchese: quella del beato Pagano del prevosto Antonio Mascari.
Il primo, Pietro Fedele Pagano, domenicano, nacque a Lecco nel 1205 e venne ucciso in Valtellina nel 1277, in uno di quei sanguinosi episodi che hanno costellato le faide tra guelfi e ghibellini nonché la lotta contro le eresie, della quale i domenicani rappresentavano la punta di diamante. Oltre alla consueta venerazione per il martire, il ricordo del beato Pagano ebbe un ruolo nella battaglia politica ottocentesca: a lui venne infatti intitolato il «combattivo circolo dei giovani cattolici che, dal 1884 ai primi anni del Novecento (che) si distinse nella Lecco anticlericale per la fedeltà totale al Papa e alla Chiesa. Tante volte i giovani del circolo Pagano balzarono agli oinori della cronaca cittadina e furono il bersaglio preferito degli ambienti laici».
Mascari fu invece prevosto per trentaquattro anni, dal 1827 al 1861, dunque nel pieno delle turbolenze risorgimentali nelle quali anch’egli ebbe una sua parte.
Dario Cercek