Ballabio, morte di Liam: dopo la condanna a 10 anni per omicidio la mamma ritorna in tribunale, fuori dal processo invece il papà
Il 15 ottobre saranno sette anni. Sette anni dalla morte del piccolo Liam Nuzzo, il bebe' di Ballabio spentosi soltanto 28 giorni dopo la venuta al mondo, al termine di una brevissima esistenza costellata di accessi in ospedale (il primo, nella versione fornita dai genitori, per una caduta patita in casa, il secondo dopo la comparsa di rigonfiamenti sulla sua testolina). Tre giorni prima di tale macabra ricorrenza, il 12 ottobre, Aurora Ruberto, la sua mamma, tornerà di nuovo in Aula. E' stata infatti appellata la sentenza dello scorso 22 gennaio con cui la Corte d'Assise di Como ha riconosciuto la quarantenne colpevole dell'omicidio del suo secondogenito. 10 anni la condanna irrogata alla donna, dopo la riqualificazione del reato ascritto alla stessa da omicidio volontario a omicidio preterintenzionale, con le attenuanti generiche considerate equivalenti all'aggravante del vincolo dell'ascendenza. La pubblica accusa, con il fascicolo approdato sulla scrivania del sostituto procuratore Chiara Di Francesco dopo una serie di avvicendamenti, aveva ipotizzato per lei, all'esito del processo celebrato con rito abbreviato, l'assoluzione. Stessa richiesta per il marito Fabio Nuzzo, 45 anni, poi effettivamente sollevato da ogni responsabilità dalla Corte presieduta dalla dottoressa Valeria Costi. Se a Aurora Ruberto era contestato l'aver provocato a Liam il trauma da schiacciamento alla testa da cui sarebbe poi derivato “uno stato di particolare debolezza e di immunodeficienza del neonato tale da favorire l'insorgere di una polmonite interstiziale” che lo ha portato al decesso, l'uomo era tacciato di aver tollerato o comunque non impedito le supposte condotte maltrattanti operate dalla moglie nei confronti del piccolo. La sua assoluzione, non appellata dalla Procura, è passata in giudicato. L'iter giudiziario proseguirà dunque solo per la mamma del bambino: gli avvocati Nadia Invernizzi e Roberto Bardoni tenteranno di ribaltare il verdetto di primo grado, arrivato dopo un'iniziale richiesta di archiviazione avanzata, a Lecco, dal primo PM che si occupò della vicenda a cui fece seguito l'imputazione coatta disposta da un primo giudice e il non luogo a procedere sancito poi da un collega, con il caso riaperto infine su impugnazione della Procura generale.