Confindustria: trovare dipendenti qualificati preoccupa le imprese più della concorrenza internazionale. L'analisi
La difficoltà a trovare figure professionali che rispondano alle esigenze reali delle imprese e alla necessità di un maggiore collegamento tra mondo economico e scolastico è tema sul tappeto ormai da anni. Ora, la Confindustria di Lecco e Sondrio – oltre seicento associati tra le due province – ha promosso un vero e proprio Osservatorio sulle competenze avviato in collaborazione con la fondazione Adept (Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali): si tratta di un progetto iniziato nell’autunno e scorso e che nei prossimi tre anni prevede rilevazioni semestrali per mantenere costantemente aggiornata la situazione. Il primo report è stato presentato nella sede lecchese della stessa associazione imprenditoriale.

E’ stato il presidente Marco Campanari a introdurre l’incontro: «Il disallineamento cronico tra domanda e offerta di competenze crea molti problemi alle aziende a fronte di una situazione economica estremamente dinamica, per quanto ogni territorio abbia le sue peculiarità e all’interno di ogni territorio vi siano distretti particolari che ne hanno altre ancora».
L’intento – ha spiegato Campanari - è dunque quello di mappare con esattezza questa dinamicità, ciò che le nostre aziende hanno bisogno, tenendo conto che si tratta di esigenze spesso differenti l’una dall’altra. Occorre capire di cosa le imprese hanno bisogno e non solo oggi. Il progetto con la fondazione Adept è quello di costruire una solida base di dati senza la quale le azioni che possiamo fare potrebbero rivelarsi casualmente giuste ma non rispondono a una strategia complessiva.

Il presidente di “Adept” Francesco Seghezzi ha poi spiegato la “filosofia” dell’Osservatorio: «L’obiettivo è analizzare le caratteristiche dell’occupazione nonché della formazione e della riqualificazione professionale, con l’intento di avviare un dialogo tra il mondo della formazione e quello dell’impresa proprio per accompagnare il cambiamento in un momento di evoluzione molto rapida. E l’attenzione al territorio è importante perché i dati di rilevanza nazionale non contano. E’ pertanto necessario pensare a un ecosistema territoriale per creare politiche concrete e promuovere strumenti di intervento».

E’ toccato poi a Stefania Negri, ricercatrice di Adept, presentare i dati della prima rilevazione dell’Osservatorio partendo dal campione di rilevamento, non esteso ma considerato rappresentativo, per quanto qualcuna delle aziende contattate – soprattutto quelle di minori dimensioni – non abbiano risposto alla chiamata. E’ stato il 9% delle imprese associate, attraverso un questionario di 44 domande su quattro tematiche principali. Preponderante, come noto, il settore metalmeccanico che rappresenta il 65% delle aziende coinvolte nella rilevazione. Quasi una polverizzazione per gli altri settori con plastica e chimica l 9%, tessile e abbigliamento ma anche servizi al 5%. Il 29% delle imprese coinvolte ha oltre 250 dipendenti, il 27% tra i 50 e i 249, il 25% tra i 20 e i 49, il 10% tra i 10 e 19, il 7% fino a dieci assunti. In prospettiva vi è comunque la volontà di coinvolgere maggiormente le aziende di piccole dimensioni, le quali non hanno fornito informazioni per il semplice fatto di non disporre di uffici strutturati. Oltre la metà delle imprese, inoltre non appartiene a gruppi industriali, mentre il 27% è parte di gruppi italiani e il 18% di gruppi esteri. Dato significativo, nell’87% dei casi la forza lavoro è prevalentemente maschile.

Un aspetto ritenuto di eccellenza rispetto alla media nazionale è che quasi il 90% della nostre imprese investe sulla formazione dei propri dipendenti, organizzando corsi in aggiunta a quelli obbligatori per legge: nel 61% dei casi si tratta di aggiornamenti su mansioni che già si svolgono in aziende, nel 19% di nuove e nel 13% si tratta di formazione dei neoassunti.
La quasi totalità delle imprese (il 91%) ha appunto lamentato quale prima difficoltà proprio il trovare figure professionali adatte, più della concorrenza internazionale. E se le figure professionali si trovano, occorre poi riuscire a trattenerle: il nostro territorio, infatti, sconta la vicinanza con il Milanese e la Svizzera che attraggono manodopera e magari offrono condizioni di lavoro più allettanti.
Le figure più ricercate sono quelle degli operai specializzati (manutentori, saldatori, tornitori), ma anche di ingegneri e di addetti per gli uffici commerciali e il marketing. Le cause di questo difficile reperimento sta per il 60% nella scarsa disponibilità di giovani, per il 54% nella mancanza di competenze tecniche, per il 32% perché scuole e università non formano adeguatamente rispetto alle esigenze delle imprese.
Proprio per questo è necessaria una maggiore collaborazione tra tutti gli operatori, che ora esiste solo in minima parte: per il 16% con gli istituti tecnici e per l’8% con le università. Con due obiettivi: far fronte alle nuove esigenze destinate a emergere nei prossimi dieci e quindici anni, ma anche procedere al ricambio generazionale per rimpiazzare i lavoratori d’esperienza che andranno in pensione.
Inoltre, ai giovani saranno richieste competenze definite trasversali e cioè non solo capacità tecniche, ma anche flessibilità (61%), disponibilità a lavorare in team (61%), prontezza del risolvere problemi improvvisi (57%), attenzione ai dettagli (48%), ma anche creatività. Doti di leadership, senso di responsabilità, empatia, saper comunicare: doti richieste a tutte le figure, dall’operaio all’ingegnere.

Da parte sua, Stefania Palma del settore Educazione della Confindustria territoriale, ha sottolineato come il report dimostri che le nostre aziende investono nella formazione continua del personale, contrariamente a quanto magari si possa dire. Ciò detto, «le imprese non cercano persone qualunque, ma personale con competenze tecniche precise. E’ quindi necessario un adeguamento del sistema scolastico perché cento ore di formazione non sono sufficienti per superare il gap, perché magari è più difficile riqualificare un diplomato con un portato scolastico di un certo tipo e non rispondente alle esigenze aziendali. Nello stesso tempo è anche necessario che le imprese comprendano il linguaggio scolastico perché in alcuni corsi definiti in un modo anziché in un altro possono essere individuate proprio le figure ricercate.

Si è poi aperto un breve dibattito tra gli imprenditori presenti che, tra le altre cose, hanno rilevato la necessità di indagare anche sui desiderata dei giovani perché è importante capire il loro immaginario; avviare politiche di genere superando lo stereotipo che certi posti di lavoro sono prerogativa esclusivamente maschile; inculcare nei giovani la consapevolezza che oggi, con l’adozione dei “sistemi di qualità” certe lavorazioni vanno effettuate rispettando una serie di regole; politiche che favoriscano il reclutamento di personale anche in altre regioni e magari all’estero con interventi sulla casa, sul sociale e per l’inserimento nelle comunità locali; fare che le stesse imprese imparino a raccontarsi meglio e quindi a essere più attrattive.
Resta infatti la realtà – come ha detto Raffaele Cesana dell’Ufficio scolastico provinciale – che il 52% dei ragazzi sceglie ancora il liceo ed è quindi necessario un cambio di paradigma, intervenendo anche sulle famiglie affinché si convincano che certe occupazioni non sono certo svilenti.
Per quanto - è stato fatto notare – la situazione lecchese sia migliore rispetto ad altri territori per la sua offerta formativa. A tal proposito, Palma ha ricordato quale importante traguardo l’apertura a Merate, il prossimo anno scolastico, di due classi di meccanica e meccatronica con 50 ragazzi iscritti e una classe di elettronica.
E nei prossimi mesi – ha aggiunto Seghezzi – accresceremo il coinvolgimento delle aziende, creando anche occasioni di confronto tra gli operatori tutti (imprenditori, scuole e altre agenzie) per vedere cosa sia possibile fare collettivamente, individuando strategia per far dialogare imprese e formazioni: «Non diciamo che il sistema formativo debba piegarsi completamente alle esigenze delle aziende ma è fondamentale avviare una collaborazione».
E’ stato il presidente Marco Campanari a introdurre l’incontro: «Il disallineamento cronico tra domanda e offerta di competenze crea molti problemi alle aziende a fronte di una situazione economica estremamente dinamica, per quanto ogni territorio abbia le sue peculiarità e all’interno di ogni territorio vi siano distretti particolari che ne hanno altre ancora».
L’intento – ha spiegato Campanari - è dunque quello di mappare con esattezza questa dinamicità, ciò che le nostre aziende hanno bisogno, tenendo conto che si tratta di esigenze spesso differenti l’una dall’altra. Occorre capire di cosa le imprese hanno bisogno e non solo oggi. Il progetto con la fondazione Adept è quello di costruire una solida base di dati senza la quale le azioni che possiamo fare potrebbero rivelarsi casualmente giuste ma non rispondono a una strategia complessiva.
Il presidente di “Adept” Francesco Seghezzi ha poi spiegato la “filosofia” dell’Osservatorio: «L’obiettivo è analizzare le caratteristiche dell’occupazione nonché della formazione e della riqualificazione professionale, con l’intento di avviare un dialogo tra il mondo della formazione e quello dell’impresa proprio per accompagnare il cambiamento in un momento di evoluzione molto rapida. E l’attenzione al territorio è importante perché i dati di rilevanza nazionale non contano. E’ pertanto necessario pensare a un ecosistema territoriale per creare politiche concrete e promuovere strumenti di intervento».
E’ toccato poi a Stefania Negri, ricercatrice di Adept, presentare i dati della prima rilevazione dell’Osservatorio partendo dal campione di rilevamento, non esteso ma considerato rappresentativo, per quanto qualcuna delle aziende contattate – soprattutto quelle di minori dimensioni – non abbiano risposto alla chiamata. E’ stato il 9% delle imprese associate, attraverso un questionario di 44 domande su quattro tematiche principali. Preponderante, come noto, il settore metalmeccanico che rappresenta il 65% delle aziende coinvolte nella rilevazione. Quasi una polverizzazione per gli altri settori con plastica e chimica l 9%, tessile e abbigliamento ma anche servizi al 5%. Il 29% delle imprese coinvolte ha oltre 250 dipendenti, il 27% tra i 50 e i 249, il 25% tra i 20 e i 49, il 10% tra i 10 e 19, il 7% fino a dieci assunti. In prospettiva vi è comunque la volontà di coinvolgere maggiormente le aziende di piccole dimensioni, le quali non hanno fornito informazioni per il semplice fatto di non disporre di uffici strutturati. Oltre la metà delle imprese, inoltre non appartiene a gruppi industriali, mentre il 27% è parte di gruppi italiani e il 18% di gruppi esteri. Dato significativo, nell’87% dei casi la forza lavoro è prevalentemente maschile.
Un aspetto ritenuto di eccellenza rispetto alla media nazionale è che quasi il 90% della nostre imprese investe sulla formazione dei propri dipendenti, organizzando corsi in aggiunta a quelli obbligatori per legge: nel 61% dei casi si tratta di aggiornamenti su mansioni che già si svolgono in aziende, nel 19% di nuove e nel 13% si tratta di formazione dei neoassunti.
La quasi totalità delle imprese (il 91%) ha appunto lamentato quale prima difficoltà proprio il trovare figure professionali adatte, più della concorrenza internazionale. E se le figure professionali si trovano, occorre poi riuscire a trattenerle: il nostro territorio, infatti, sconta la vicinanza con il Milanese e la Svizzera che attraggono manodopera e magari offrono condizioni di lavoro più allettanti.
Le figure più ricercate sono quelle degli operai specializzati (manutentori, saldatori, tornitori), ma anche di ingegneri e di addetti per gli uffici commerciali e il marketing. Le cause di questo difficile reperimento sta per il 60% nella scarsa disponibilità di giovani, per il 54% nella mancanza di competenze tecniche, per il 32% perché scuole e università non formano adeguatamente rispetto alle esigenze delle imprese.
Proprio per questo è necessaria una maggiore collaborazione tra tutti gli operatori, che ora esiste solo in minima parte: per il 16% con gli istituti tecnici e per l’8% con le università. Con due obiettivi: far fronte alle nuove esigenze destinate a emergere nei prossimi dieci e quindici anni, ma anche procedere al ricambio generazionale per rimpiazzare i lavoratori d’esperienza che andranno in pensione.
Inoltre, ai giovani saranno richieste competenze definite trasversali e cioè non solo capacità tecniche, ma anche flessibilità (61%), disponibilità a lavorare in team (61%), prontezza del risolvere problemi improvvisi (57%), attenzione ai dettagli (48%), ma anche creatività. Doti di leadership, senso di responsabilità, empatia, saper comunicare: doti richieste a tutte le figure, dall’operaio all’ingegnere.
Da parte sua, Stefania Palma del settore Educazione della Confindustria territoriale, ha sottolineato come il report dimostri che le nostre aziende investono nella formazione continua del personale, contrariamente a quanto magari si possa dire. Ciò detto, «le imprese non cercano persone qualunque, ma personale con competenze tecniche precise. E’ quindi necessario un adeguamento del sistema scolastico perché cento ore di formazione non sono sufficienti per superare il gap, perché magari è più difficile riqualificare un diplomato con un portato scolastico di un certo tipo e non rispondente alle esigenze aziendali. Nello stesso tempo è anche necessario che le imprese comprendano il linguaggio scolastico perché in alcuni corsi definiti in un modo anziché in un altro possono essere individuate proprio le figure ricercate.
Si è poi aperto un breve dibattito tra gli imprenditori presenti che, tra le altre cose, hanno rilevato la necessità di indagare anche sui desiderata dei giovani perché è importante capire il loro immaginario; avviare politiche di genere superando lo stereotipo che certi posti di lavoro sono prerogativa esclusivamente maschile; inculcare nei giovani la consapevolezza che oggi, con l’adozione dei “sistemi di qualità” certe lavorazioni vanno effettuate rispettando una serie di regole; politiche che favoriscano il reclutamento di personale anche in altre regioni e magari all’estero con interventi sulla casa, sul sociale e per l’inserimento nelle comunità locali; fare che le stesse imprese imparino a raccontarsi meglio e quindi a essere più attrattive.
Resta infatti la realtà – come ha detto Raffaele Cesana dell’Ufficio scolastico provinciale – che il 52% dei ragazzi sceglie ancora il liceo ed è quindi necessario un cambio di paradigma, intervenendo anche sulle famiglie affinché si convincano che certe occupazioni non sono certo svilenti.
Per quanto - è stato fatto notare – la situazione lecchese sia migliore rispetto ad altri territori per la sua offerta formativa. A tal proposito, Palma ha ricordato quale importante traguardo l’apertura a Merate, il prossimo anno scolastico, di due classi di meccanica e meccatronica con 50 ragazzi iscritti e una classe di elettronica.
E nei prossimi mesi – ha aggiunto Seghezzi – accresceremo il coinvolgimento delle aziende, creando anche occasioni di confronto tra gli operatori tutti (imprenditori, scuole e altre agenzie) per vedere cosa sia possibile fare collettivamente, individuando strategia per far dialogare imprese e formazioni: «Non diciamo che il sistema formativo debba piegarsi completamente alle esigenze delle aziende ma è fondamentale avviare una collaborazione».
D.C.