Lecco ricorda gli scioperi del 1944 contro carovita e guerra. Coinvolti gli studenti
Celebrazioni ufficiali per la ricorrenza degli scioperi del 7 marzo 1944 anticipate di un giorno per la concomitanza del carnevale con la chiusura delle scuole nella giornata di domani. L’appuntamento è quindi stato questa mattina, 6 marzo, come di consueto nel rione di Castello, il quartiere che fu l’epicentro degli episodi del 7 marzo.
Quel giorno del 1944, si ricorderà, gli operai delle fabbriche lecchesi proclamarono uno sciopero contro il carovita e la guerra. Per quella protesta, 31 operai vennero arrestati, 26 tra cui cinque donne deportati nei campi di concentramento dai quali soltanto in sette fecero ritorno a casa una volta finito il conflitto.

La mattinata è cominciata nella chiesa parrocchiale di Castello con la messa celebrata dal vicario episcopale Gianni Cesena che ha parlato di martirio come testimonianza , accostando l’esperienza degli operai lecchesi deportati a quella dei primi martiri cristiani per quanto potessero avere opinioni differenti, perché «il cristiano non si inginocchia davanti al potere, ma solo in due occasioni: davanti a Dio e davanti ai fratelli per servirli. E anche i martiri del 7 marzo non hanno voluto inginocchiarsi davanti al potere. Una testimonianza importante in questo momento in cui i diritti dei più deboli sono messi in ombra».

I partecipanti si sono poi recati in corteo al parco 7 marzo di corso Matteotti per ascoltare il discorso ufficiale del presidente provinciale dell’Associazione partigiani Enrico Avagnina che ha ricordato cosa avvenne in quella giornata del penultimo anno di guerra, quando quegli scioperi hanno saldato l’opposizione al nazifascismo da parte della popolazione alla lotta partigiana. Ha poi sottolineato l’impegno dell’Anpi a ricordare quegli episodi rispettando un calendario civile per mantenere vivi la memoria e il monito che la democrazia ha bisogno di partecipazione ed è quanto ci si deve ricordare in occasione delle elezioni. Ha poi concluso affrontando i temi della guerra in corso attualmente alle porte dell’Europa e che ogni si fa sempre di più minacciosa per l’intero continente, una guerra che rischia di annullare proprio il sacrificio di chi si oppose al nazifascismo e venne deportato: «Siamo stufi di questa deriva bellicista dell’Unione Europea. Occorre impegnarsi in un’alleanza trasversale e pacifista avendo come punti di riferimento il manifesto di Ventotene e il trattato di Lisbona. Noi oggi siamo quelli dell’Italia che ripudia la guerra e vogliamo diventare quelli dell’Europa che ripudia la guerra».
Ci si è quindi spostati nella poco distante via Castagnera, davanti all’istituto Bertacchi che sorge dove un tempo vi era la fabbrica “Rocco Bonaiti” dove lavoravano molti degli operai arrestati e deportati per gli scioperi del marzo 1944. Davanti alla lapide che ricorda l’episodio c’è stato un momento di raccoglimento.

Conclusione delle celebrazioni in sala Ticozzi dove sono intervenuti il consigliere provinciale Antonio Pasquini, il sindaco Mauro Gattinoni, la presidente dell’Associazione delle famiglie di Caduti e dispersi in guerra, Alessandra Anghileri, il docente dell’istituto “Bertacchi” Michele Negri, il segretario della Cisl territoriale Roberto Frigerio. Con una serie di interventi rivolti ai giovani anche se, a differenza degli anni passati, in questa occasione gli studenti erano i grandi assenti. Ce n’erano ben pochi in sala Ticozzi.

Se Pasquini ha ricordato, sottolineando l’impegno degli operai che scioperarono il 7 marzo 1944, che non ci sono libertà e democrazie senza equità sociale e lavoro, il sindaco Gattinoni ha parlato di quello che fu il gesto di persone semplici, la loro reazione naturale di fronte all’ingiustizia e ciò va ricordato perché anche oggi ci sono ingiustizie e non bisogna aspettare che sia qualcun altro a darsi da fare per combatterle. Il primo cittadino ha quindi ricordato la figura di Piano Galbani, uno degli operai arrestati e deportati e dei pochi che è riuscito a tornare facendo i conti prima con un sentimento di vergogna per quanto accaduto e poi con la convinzione di testimoniare e perciò di raccontare ai giovani quanto accaduto perché potessero avere gli anticorpi e saper riconoscere per tempo i nuovi totalitarismi e li sappia smascherare. Una testimonianza che Galbani ha portato avanti fino alla morte, avvenuto nel 2016. Alla manifestazione, tra l’altro, ha partecipato anche Luigi Galbani, l’ultimo rimasto dei fratelli di Pino: erano in nove, Pino era il primogenito, Lugi il nono.

Anghileri ha ricordato di essere nipote, e di portarne il nome, di Alessandro Dell’Oro, uno dei 26 operai deportati «perché, come recitava l’atto di accusa, era un uomo di poche parole ma quando parlava, parlava da sovversivo». Anghileri ha sottolineato come l’Associazione dei famigliari di Caduti e dispersi sia stata costituita nel 1917 e il fatto che esista ancora non depone favorevolmente perché significa che non c’è ancora pace. Ha poi citato le parole di un alpino reduce dal fronte dell’Adamello nella Grande guerra: «''Meglio che i morti non vedano quello che fanno i vivi'' diceva, guardando a ciò che succedeva e che avrebbe portato alla seconda guerra mondiale. Parole valide anche oggi: meglio che i deportati del 7 marzo 1944 non vedano quello che sta succedendo oggi».
Il professor Negri ha quindi letto il saluto della dirigente scolastica del ''Bertacchi'', Stefania Perego con un invito a ragazzi a soffermarsi e a riflettere davanti alla lapide all’esterno dell’istituto in via Castagnera.

Infine, il segretario Cisl Roberto Frigerio, intervenuto in rappresentanza dei tre sindacati confederali (oltre alla Cisl, anche Cgil e Uil), dopo aver tributato un omaggio alla memoria di Pino Galbani, ha rimarcato il rifiuto a far cadere in prescrizione il male perpetrato, perché la memoria costituisce l’identità delle persone ed è per questo che i totalitarismi la vogliono cancellare. Certo, le Giornate della memoria non bastano, come non basta deporre un fiore una volta all’anno sotto una lapide, ma si tratta di un gesto simbolico che dice come la memoria sia una virtù civile. E proprio per questo ha rigettato l’ipotesi di equiparare la memoria di chi ha combattuto con la Repubblica di Salò con quella di chi ha lottato con la Resistenza. Anch’egli infine si è soffermato sull’attualità e sulla guerra in Ucraina. A proposito dell’umiliazione del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj da parte del presidente statunitense Donald Trump ha parlato di una diplomazia ridotta a bullismo, rilevando come ormai il Vecchio Continente sia rimasto solo: «L’Europa ha il dovere di svegliarsi. Occorre capire se siamo all’altezza di ideali coltivati fin dal 1950», con un invito finale a continuare a sostenere l’Ucraina.

Spazio anche alle studentesse del “Bertacchi”: alcune allieve delle classi Quinte hanno raccontato del loro viaggio della memoria di quest’anno al campo di concentramento di Mauthausen in Austria e sulla tomba di Luigi “Carlo” Invernizzi, uno degli operai lecchesi deportati dopo il 7 marzo 1944 e morto in quel lager. Altre ormai ex allieve, che avevano partecipato all’analogo viaggio lo scorso anno, hanno invece presentato un breve documentario sulla loro esperienza e mettendo anche in evidenza lo sconcerto nel vedere come alcuni vecchi edifici di quello che era il sottocampo di Gusen fossero state trasformate in villette e ci si potesse quindi vivere tranquillamente senza pensare a ciò che quelle mura rappresentassero e rappresentino.
Quel giorno del 1944, si ricorderà, gli operai delle fabbriche lecchesi proclamarono uno sciopero contro il carovita e la guerra. Per quella protesta, 31 operai vennero arrestati, 26 tra cui cinque donne deportati nei campi di concentramento dai quali soltanto in sette fecero ritorno a casa una volta finito il conflitto.
Un momento della cerimonia
La mattinata è cominciata nella chiesa parrocchiale di Castello con la messa celebrata dal vicario episcopale Gianni Cesena che ha parlato di martirio come testimonianza , accostando l’esperienza degli operai lecchesi deportati a quella dei primi martiri cristiani per quanto potessero avere opinioni differenti, perché «il cristiano non si inginocchia davanti al potere, ma solo in due occasioni: davanti a Dio e davanti ai fratelli per servirli. E anche i martiri del 7 marzo non hanno voluto inginocchiarsi davanti al potere. Una testimonianza importante in questo momento in cui i diritti dei più deboli sono messi in ombra».
Il discorso di Enrico Avagnina di Anpi
I partecipanti si sono poi recati in corteo al parco 7 marzo di corso Matteotti per ascoltare il discorso ufficiale del presidente provinciale dell’Associazione partigiani Enrico Avagnina che ha ricordato cosa avvenne in quella giornata del penultimo anno di guerra, quando quegli scioperi hanno saldato l’opposizione al nazifascismo da parte della popolazione alla lotta partigiana. Ha poi sottolineato l’impegno dell’Anpi a ricordare quegli episodi rispettando un calendario civile per mantenere vivi la memoria e il monito che la democrazia ha bisogno di partecipazione ed è quanto ci si deve ricordare in occasione delle elezioni. Ha poi concluso affrontando i temi della guerra in corso attualmente alle porte dell’Europa e che ogni si fa sempre di più minacciosa per l’intero continente, una guerra che rischia di annullare proprio il sacrificio di chi si oppose al nazifascismo e venne deportato: «Siamo stufi di questa deriva bellicista dell’Unione Europea. Occorre impegnarsi in un’alleanza trasversale e pacifista avendo come punti di riferimento il manifesto di Ventotene e il trattato di Lisbona. Noi oggi siamo quelli dell’Italia che ripudia la guerra e vogliamo diventare quelli dell’Europa che ripudia la guerra».
Ci si è quindi spostati nella poco distante via Castagnera, davanti all’istituto Bertacchi che sorge dove un tempo vi era la fabbrica “Rocco Bonaiti” dove lavoravano molti degli operai arrestati e deportati per gli scioperi del marzo 1944. Davanti alla lapide che ricorda l’episodio c’è stato un momento di raccoglimento.
Il consigliere provinciale Antonio Pasquini
Conclusione delle celebrazioni in sala Ticozzi dove sono intervenuti il consigliere provinciale Antonio Pasquini, il sindaco Mauro Gattinoni, la presidente dell’Associazione delle famiglie di Caduti e dispersi in guerra, Alessandra Anghileri, il docente dell’istituto “Bertacchi” Michele Negri, il segretario della Cisl territoriale Roberto Frigerio. Con una serie di interventi rivolti ai giovani anche se, a differenza degli anni passati, in questa occasione gli studenti erano i grandi assenti. Ce n’erano ben pochi in sala Ticozzi.
Le ex studentesse del Bertacchi
Se Pasquini ha ricordato, sottolineando l’impegno degli operai che scioperarono il 7 marzo 1944, che non ci sono libertà e democrazie senza equità sociale e lavoro, il sindaco Gattinoni ha parlato di quello che fu il gesto di persone semplici, la loro reazione naturale di fronte all’ingiustizia e ciò va ricordato perché anche oggi ci sono ingiustizie e non bisogna aspettare che sia qualcun altro a darsi da fare per combatterle. Il primo cittadino ha quindi ricordato la figura di Piano Galbani, uno degli operai arrestati e deportati e dei pochi che è riuscito a tornare facendo i conti prima con un sentimento di vergogna per quanto accaduto e poi con la convinzione di testimoniare e perciò di raccontare ai giovani quanto accaduto perché potessero avere gli anticorpi e saper riconoscere per tempo i nuovi totalitarismi e li sappia smascherare. Una testimonianza che Galbani ha portato avanti fino alla morte, avvenuto nel 2016. Alla manifestazione, tra l’altro, ha partecipato anche Luigi Galbani, l’ultimo rimasto dei fratelli di Pino: erano in nove, Pino era il primogenito, Lugi il nono.
Il sindaco Mauro Gattinoni, Alessandra Anghileri e Luigi Galbani, fratello di Pino
Anghileri ha ricordato di essere nipote, e di portarne il nome, di Alessandro Dell’Oro, uno dei 26 operai deportati «perché, come recitava l’atto di accusa, era un uomo di poche parole ma quando parlava, parlava da sovversivo». Anghileri ha sottolineato come l’Associazione dei famigliari di Caduti e dispersi sia stata costituita nel 1917 e il fatto che esista ancora non depone favorevolmente perché significa che non c’è ancora pace. Ha poi citato le parole di un alpino reduce dal fronte dell’Adamello nella Grande guerra: «''Meglio che i morti non vedano quello che fanno i vivi'' diceva, guardando a ciò che succedeva e che avrebbe portato alla seconda guerra mondiale. Parole valide anche oggi: meglio che i deportati del 7 marzo 1944 non vedano quello che sta succedendo oggi».
Il professor Negri ha quindi letto il saluto della dirigente scolastica del ''Bertacchi'', Stefania Perego con un invito a ragazzi a soffermarsi e a riflettere davanti alla lapide all’esterno dell’istituto in via Castagnera.
Il professor Michele Negri
Infine, il segretario Cisl Roberto Frigerio, intervenuto in rappresentanza dei tre sindacati confederali (oltre alla Cisl, anche Cgil e Uil), dopo aver tributato un omaggio alla memoria di Pino Galbani, ha rimarcato il rifiuto a far cadere in prescrizione il male perpetrato, perché la memoria costituisce l’identità delle persone ed è per questo che i totalitarismi la vogliono cancellare. Certo, le Giornate della memoria non bastano, come non basta deporre un fiore una volta all’anno sotto una lapide, ma si tratta di un gesto simbolico che dice come la memoria sia una virtù civile. E proprio per questo ha rigettato l’ipotesi di equiparare la memoria di chi ha combattuto con la Repubblica di Salò con quella di chi ha lottato con la Resistenza. Anch’egli infine si è soffermato sull’attualità e sulla guerra in Ucraina. A proposito dell’umiliazione del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj da parte del presidente statunitense Donald Trump ha parlato di una diplomazia ridotta a bullismo, rilevando come ormai il Vecchio Continente sia rimasto solo: «L’Europa ha il dovere di svegliarsi. Occorre capire se siamo all’altezza di ideali coltivati fin dal 1950», con un invito finale a continuare a sostenere l’Ucraina.
Roberto Frigerio di Cisl
Spazio anche alle studentesse del “Bertacchi”: alcune allieve delle classi Quinte hanno raccontato del loro viaggio della memoria di quest’anno al campo di concentramento di Mauthausen in Austria e sulla tomba di Luigi “Carlo” Invernizzi, uno degli operai lecchesi deportati dopo il 7 marzo 1944 e morto in quel lager. Altre ormai ex allieve, che avevano partecipato all’analogo viaggio lo scorso anno, hanno invece presentato un breve documentario sulla loro esperienza e mettendo anche in evidenza lo sconcerto nel vedere come alcuni vecchi edifici di quello che era il sottocampo di Gusen fossero state trasformate in villette e ci si potesse quindi vivere tranquillamente senza pensare a ciò che quelle mura rappresentassero e rappresentino.
D.C.