PAROLE CHE PARLANO/218

Cattivo e cattività

L'etimologia della parola cattivo ci conduce in un percorso affascinante che dal mondo materiale arriva a quello morale. La radice di questo termine si trova nel latino captivus, che letteralmente significa "prigioniero". Un prigioniero di guerra, legato con catene, era considerato una persona in balia degli eventi, sottomessa e priva di libertà.

Col tempo, il significato si è esteso e ha acquisito connotazioni morali. Il prigioniero, soprattutto se malfattore, è stato infatti associato a chi è malvagio, quindi a chi compie azioni negative, chi si allontana dalla virtù e dal bene. Questa evoluzione semantica è legata alla concezione medievale del male, spesso rappresentato come una forza esterna che cattura l'anima umana, rendendola schiava, “prigioniera” del peccato. Infatti si diffuse l'espressione latina captivus diaboli, che letteralmente significa "prigioniero del diavolo". Questa espressione sottolineava l'idea che il male fosse una forza demoniaca che poteva "catturare" l'uomo, rendendolo strumento delle sue nefandezze. Questa concezione ha contribuito a rafforzare l'associazione tra la parola cattivo e il concetto di peccato e di malvagità.

La cattività ha mantenuto invece il suo significato originario, e oggi è per lo più utilizzata per indicare la prigionia degli animali selvatici, descrivendo la condizione di creature catturate dall’uomo e confinate in recinti o gabbie. Le motivazioni per cui noi teniamo animali in cattività sono varie e alcune non eticamente elevate: vanno dalla ricerca scientifica alla conservazione della biodiversità fino, purtroppo, all’intrattenimento.

Rubrica a cura di Dino Ticli
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