Matrimoni di comodo: due calolziesi condannati, uno 'sposo' si salva

Dell'iniziale massa di indagati, solo per 35 si era arrivati all'udienza preliminare con otto imputati che, in quella circostanza, non optando per riti alternativi, avevano preso poi la strada del dibattimento, con il processo a loro carico celebrato, dopo una serie di rimpalli tra sedi giudiziarie, al cospetto della Corte d'Assise di Milano.
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A inizio settimana la sentenza, a distanza di anni dall'attività d'indagine avviata a suo tempo dall'Ufficio Immigrazione della Questura di Lecco che, partendo da matrimoni tra cittadini italiani e cinesi celebrati da tra Olginate e Calolziocorte tra il 2011 e il 2013, aveva portato poi, con il coordinamento della Procura di Milano, a smantellare una presunta associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, articolata per la verità in due differenti “batterie” con qualche elemento in comune, specializzata nel creare le condizioni per l'ingresso o la permanenza sul territorio italiano di cittadini extracomunitari di nazionalità cinese, attraverso “stratagemmi” quale la fraudolenta creazione dei presupposti per l'ottenimento o il rinnovo del permesso di soggiorno anche attraverso fittizie assunzioni quali collaboratori domestici, la fittizia locazione di immobili in loro favore o la fittizia concessione dell'ospitalità. 
Ma anche – come accennato – tramite matrimoni "di comodo", celebrati tanto qui quanto là, organizzando il viaggio verso la Repubblica Popolare a soggetti “selezionati” che, in cambio di denaro, partivano dall'Italia single per tornavi poi in coppia con la fresca moglie (o il fresco marito) dagli occhi a mandorla.
"Promessi sposi", non a caso, il nome dato all'inchiesta.
Sei le condanne (con una sola assoluzione) irrogate lunedì dalla Corte, la più alta - 7 anni - nei confronti di un cinese ritenuto il "dominus" dell'organizzazione, in relazione alla cui posizione i giudici hanno altresì disposto la restituzione degli atti alla Procura affinché valuti la contestazione anche all'uomo del reato di associazione a delinquere, non inserito - evidentemente per mero errore - nell'elenco dei capi d'imputazione ai quali era chiamato a rispondere. 
Colpevoli sono stati giudicati anche due dei tre lecchesi andati a processo. 7 anni la pena per il calolziese Marco Sirianni, classe 1980, assistito dall'avvocato Massimo Grandona, mentre Michela Mannina - coinvolta nella vicenda come il padre e un fratello che già hanno definito la loro posizione e rappresentata dall'avvocato Ilaria Guglielemana - è stata condannata a 4 anni, la pronuncia più bassa. 
E' andata decisamente meglio, infine, per Giovanni Ripamonti, classe 1969 di Valmadrera, che, difeso dall'avvocato Roberto Bardoni, ha ottenuto il proscioglimento.
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