In viaggio a tempo indeterminato/367: attenzione squali
Se dico "sport pericolosi" qual è la prima cosa che ti viene in mente?
Io prima di venire in Australia avrei detto forse l'alpinismo.
Sarà che non amo particolarmente il freddo estremo e le salite. Ma l'immagine di temerari alpinisti che sfidano la scarsità di ossigeno, evitando valanghe e congelamenti, mi ha sempre fatto venire i brividi. Non i brividi di freddo ma quelli di paura.
A seguire poi avrei messo quegli sport che prevedono di lanciarsi nel vuoto, tipo il paracadutismo o il più estremo base jumping.
Quest'ultimo consiste nel salire su una montagna e buttarsi nel vuoto indossando una tuta alare. Il paracadute lo si può aprire solo a pochi metri da terra.
Ma dall'unione di questi due sport estremi ne è nato uno di cui sono appena venuta a conoscenza e che sembra raffigurare perfettamente entrambe le mie paure.
Sì chiama Heliskiing. In pratica ci si lancia da un elicottero lungo i fianchi della montagna per poi discendere ad altissima velocità sulla neve fresca. Cosa potrebbe mai andare storto? Tutto!
Da questo elenco ho finora escluso gli sport che prevedono di picchiarsi, tipo il pugilato, perché farsi male in quei casi mi sembra intrinseco allo sport stesso.
Ma arriviamo all'Australia che mi ha illuminato su un altro sport estremo: il surf.
Nella mia testa il surf l'ho sempre catalogato come uno sport faticoso più che rischioso.
Ore e ore in mezzo al mare per poi provare una gioia che dura pochi istanti, giusto quelli che ci mette un'onda a infrangersi.
E nel frattempo il sole forte in faccia, la salsedine negli occhi, le rughette che si formano sulle dita quando passi tanto tempo in acqua.
Tanti piccoli fastidi da mettere in conto per godersi questo sport e il vero grande pericolo pensavo fosse rappresentato dalla possibilità di prendersi in testa la tavola o scontrarsi con qualche altro surfista.
Poi è successo che una mattina ci trovavamo su una spiaggia vicino a Perth. Il sole alto nel cielo, un vento stranamente pacato e un bel po' di persone in acqua.
Qualcuno nuota, qualcuno fa surf, noi guardiamo il mare da debita distanza.
Sembrava tutto tranquillo quella mattina, quando improvvisamente qualcosa rompe quella calma apparente.
(Lo so suona come l'inizio di un film horror ma è solo perché nella mia testa già sentivo urla e vedevo scorrere litri di sangue).
Inizia a suonare una sirena.
Io e Paolo ci guardiamo confusi.
Poi ci giriamo e notiamo che la luce rossa del palo che segnala la presenza di squali è accesa.
Una voce metallica pronuncia qualcosa ma tutto quello che capisco sono le parole "Shark" e "warning".

Istintivamente mi alzo dalla sabbia e mi allontano di più dall'acqua, come se uno squalo potesse uscire, infilarsi le infradito e percorrere quei 50 metri per raggiungermi.
Passata l'iniziale ansia, mi guardo intorno e mi sembra che tutti si muovano a rallentatore.
Sarà colpa dello spavento che mi sono presa, penso tra me e me.
Poi però realizzo che davvero sono tutti lenti.
Io se fossi stata in acqua, sentendo la sirena di allerta squali, credo avrei battuto il record di velocità della Pellegrini per uscire il più velocemente possibile. E io a nuotare faccio schifo.
Gli australiani in acqua, invece, hanno lo stesso atteggiamento che avevamo io e mia sorella da bambine al mare.
Cioè quando si avvicinavano le 5 di pomeriggio, la mamma ci chiamava per uscire dall'acqua e noi tergiversavamo per stare ancora un po' a mollo.
Ecco la reazione dei bagnanti australiani è stata proprio la stessa. Lenti e quasi infastiditi sono tornati sulla spiaggia.
Persino i surfisti sembravano non avere nessuna fretta.
"Non credo sia uno squalo bianco" ci dice un signore a cui chiediamo cosa stia succedendo. Sembra quasi scocciato mentre si allontana dal bagnasciuga.
La sirena continua a suonare per una quindicina di minuti prima di spegnersi e permettere a tutti di tornare serenamente in acqua.

È stato in quell'occasione che ho realizzato che il surf è uno sport davvero pericoloso se lo fai in Australia.
I mari del Western Australia sono tra i più ricchi di squali al mondo ma per fortuna gli incidenti restano un numero bassissimo.
Nel 2023, in tutta Australia, gli incidenti fatali sono stati 4 su migliaia e migliaia di persone che ogni giorno entrano in acqua.
Le statistiche dicono che la probabilità di essere attaccati da uno squalo è la stessa di essere attaccati da un canguro. C'è da dire che tra i due preferirei sicuramente il secondo!
Lo squalo ovviamente spaventa molto e i surfisti sono i più a rischio passando molto tempo in acque profonde.
Ma a renderli molto vulnerabili sono anche altri elementi.
Gli squali sono animali predatori, ma non sono “macchine assassine”. Gli attacchi, infatti, nella maggior parte dei casi non sono intenzionali.
Gli squali possono scambiare un surfista o un nuotatore per una preda naturale, come una foca e attaccarlo per questo. È quello che generalmente succede con gli squali bianchi.
Oppure gli incidenti possono avvenire per curiosità, dato che questi bestioni esplorano il mondo circostante utilizzando la bocca. Un “morso di prova” potrebbe essere il risultato di curiosità piuttosto che di aggressività.
Alcune specie possono diventare aggressive se percepiscono una minaccia per il loro territorio o i loro piccoli.
Una scarsa nuotatrice, fifona, come me, leggendo tutto questo non si metterebbe mai in mare. Infatti in Australia avremo fatto si e no 3 bagni in 3 mesi.
Ma mi rendo conto che, come per chi si arrampica su montagne di 7000 o chi si lancia da elicotteri sulla neve, il rischio possa valere la candela.
Purtroppo gli incidenti sono sempre una tragedia che colpisce sia la vittima che tutte le persone che gli stanno intorno.
Le cronache, anche recentemente, ce ne hanno raccontati di drammatici.
Dall'altro lato, però, si tratta di animali selvatici e siamo noi umani a trovarci a casa loro, non viceversa.
Leggendo qualche articolo di giornale per informarmi un po' sugli incidenti squali-surfisti mi sono imbattuta in diverse interviste in cui si dava la colpa dell'aumento del numero di incontri ravvicinati, al divieto di cacciarli (o pescarli, non so quale termine sia più appropriato in questo caso!).
Gli squali bianchi, infatti, in Australia sono dichiarati specie protetta e il loro numero sarebbe in continuo aumento.
Le acque del mare, secondo molti, sarebbero oggi meno sicure e questi brutti squali assassini toglierebbero il divertimento a famiglie e bambini.
La colpa, insomma, è di chi in quel luogo vive da secoli, non di chi forzatamente impone la sua presenza in un ambiente che non gli appartiene.
Aspetta, dov'è che l'ho già sentita questa cosa?
Io prima di venire in Australia avrei detto forse l'alpinismo.
Sarà che non amo particolarmente il freddo estremo e le salite. Ma l'immagine di temerari alpinisti che sfidano la scarsità di ossigeno, evitando valanghe e congelamenti, mi ha sempre fatto venire i brividi. Non i brividi di freddo ma quelli di paura.
A seguire poi avrei messo quegli sport che prevedono di lanciarsi nel vuoto, tipo il paracadutismo o il più estremo base jumping.
Quest'ultimo consiste nel salire su una montagna e buttarsi nel vuoto indossando una tuta alare. Il paracadute lo si può aprire solo a pochi metri da terra.
Ma dall'unione di questi due sport estremi ne è nato uno di cui sono appena venuta a conoscenza e che sembra raffigurare perfettamente entrambe le mie paure.
Sì chiama Heliskiing. In pratica ci si lancia da un elicottero lungo i fianchi della montagna per poi discendere ad altissima velocità sulla neve fresca. Cosa potrebbe mai andare storto? Tutto!
Da questo elenco ho finora escluso gli sport che prevedono di picchiarsi, tipo il pugilato, perché farsi male in quei casi mi sembra intrinseco allo sport stesso.
Ma arriviamo all'Australia che mi ha illuminato su un altro sport estremo: il surf.
Nella mia testa il surf l'ho sempre catalogato come uno sport faticoso più che rischioso.
Ore e ore in mezzo al mare per poi provare una gioia che dura pochi istanti, giusto quelli che ci mette un'onda a infrangersi.
E nel frattempo il sole forte in faccia, la salsedine negli occhi, le rughette che si formano sulle dita quando passi tanto tempo in acqua.
Tanti piccoli fastidi da mettere in conto per godersi questo sport e il vero grande pericolo pensavo fosse rappresentato dalla possibilità di prendersi in testa la tavola o scontrarsi con qualche altro surfista.
Poi è successo che una mattina ci trovavamo su una spiaggia vicino a Perth. Il sole alto nel cielo, un vento stranamente pacato e un bel po' di persone in acqua.
Qualcuno nuota, qualcuno fa surf, noi guardiamo il mare da debita distanza.
Sembrava tutto tranquillo quella mattina, quando improvvisamente qualcosa rompe quella calma apparente.
(Lo so suona come l'inizio di un film horror ma è solo perché nella mia testa già sentivo urla e vedevo scorrere litri di sangue).
Inizia a suonare una sirena.
Io e Paolo ci guardiamo confusi.
Poi ci giriamo e notiamo che la luce rossa del palo che segnala la presenza di squali è accesa.
Una voce metallica pronuncia qualcosa ma tutto quello che capisco sono le parole "Shark" e "warning".

Istintivamente mi alzo dalla sabbia e mi allontano di più dall'acqua, come se uno squalo potesse uscire, infilarsi le infradito e percorrere quei 50 metri per raggiungermi.
Passata l'iniziale ansia, mi guardo intorno e mi sembra che tutti si muovano a rallentatore.
Sarà colpa dello spavento che mi sono presa, penso tra me e me.
Poi però realizzo che davvero sono tutti lenti.
Io se fossi stata in acqua, sentendo la sirena di allerta squali, credo avrei battuto il record di velocità della Pellegrini per uscire il più velocemente possibile. E io a nuotare faccio schifo.
Gli australiani in acqua, invece, hanno lo stesso atteggiamento che avevamo io e mia sorella da bambine al mare.
Cioè quando si avvicinavano le 5 di pomeriggio, la mamma ci chiamava per uscire dall'acqua e noi tergiversavamo per stare ancora un po' a mollo.
Ecco la reazione dei bagnanti australiani è stata proprio la stessa. Lenti e quasi infastiditi sono tornati sulla spiaggia.
Persino i surfisti sembravano non avere nessuna fretta.
"Non credo sia uno squalo bianco" ci dice un signore a cui chiediamo cosa stia succedendo. Sembra quasi scocciato mentre si allontana dal bagnasciuga.
La sirena continua a suonare per una quindicina di minuti prima di spegnersi e permettere a tutti di tornare serenamente in acqua.

È stato in quell'occasione che ho realizzato che il surf è uno sport davvero pericoloso se lo fai in Australia.
I mari del Western Australia sono tra i più ricchi di squali al mondo ma per fortuna gli incidenti restano un numero bassissimo.
Nel 2023, in tutta Australia, gli incidenti fatali sono stati 4 su migliaia e migliaia di persone che ogni giorno entrano in acqua.
Le statistiche dicono che la probabilità di essere attaccati da uno squalo è la stessa di essere attaccati da un canguro. C'è da dire che tra i due preferirei sicuramente il secondo!
Lo squalo ovviamente spaventa molto e i surfisti sono i più a rischio passando molto tempo in acque profonde.
Ma a renderli molto vulnerabili sono anche altri elementi.
Gli squali sono animali predatori, ma non sono “macchine assassine”. Gli attacchi, infatti, nella maggior parte dei casi non sono intenzionali.
Gli squali possono scambiare un surfista o un nuotatore per una preda naturale, come una foca e attaccarlo per questo. È quello che generalmente succede con gli squali bianchi.
Oppure gli incidenti possono avvenire per curiosità, dato che questi bestioni esplorano il mondo circostante utilizzando la bocca. Un “morso di prova” potrebbe essere il risultato di curiosità piuttosto che di aggressività.
Alcune specie possono diventare aggressive se percepiscono una minaccia per il loro territorio o i loro piccoli.
Una scarsa nuotatrice, fifona, come me, leggendo tutto questo non si metterebbe mai in mare. Infatti in Australia avremo fatto si e no 3 bagni in 3 mesi.
Ma mi rendo conto che, come per chi si arrampica su montagne di 7000 o chi si lancia da elicotteri sulla neve, il rischio possa valere la candela.
Purtroppo gli incidenti sono sempre una tragedia che colpisce sia la vittima che tutte le persone che gli stanno intorno.
Le cronache, anche recentemente, ce ne hanno raccontati di drammatici.
Dall'altro lato, però, si tratta di animali selvatici e siamo noi umani a trovarci a casa loro, non viceversa.
Leggendo qualche articolo di giornale per informarmi un po' sugli incidenti squali-surfisti mi sono imbattuta in diverse interviste in cui si dava la colpa dell'aumento del numero di incontri ravvicinati, al divieto di cacciarli (o pescarli, non so quale termine sia più appropriato in questo caso!).
Gli squali bianchi, infatti, in Australia sono dichiarati specie protetta e il loro numero sarebbe in continuo aumento.
Le acque del mare, secondo molti, sarebbero oggi meno sicure e questi brutti squali assassini toglierebbero il divertimento a famiglie e bambini.
La colpa, insomma, è di chi in quel luogo vive da secoli, non di chi forzatamente impone la sua presenza in un ambiente che non gli appartiene.
Aspetta, dov'è che l'ho già sentita questa cosa?
Angela (e Paolo)