Lecco: gli Alpini ricordano il loro presidente Ugo Merlini

Alpini lecchesi radunati ieri sera in Sala Ticozzi per ricordare il loro presidentissimo Ugo Merlini, nato nel 1919, sopravvissuto alla campagna di Russia e morto in un tragico incidente stradale con l’auto travolta da una frana in Engadina nel 1971.
Nella vita quotidiana, era un commercialista apprezzato, ma i lecchesi lo ricordano soprattutto per il suo impegno con le penne nere dell’Associazione nazionale alpini: all’indomani della seconda guerra mondiale, promosse la ricostituzione della sezione lecchese che guidò dal 1946 al 1965, per poi diventare presidente nazionale dal 1965 fino alla morte.
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A lui, il Comune intitolerà una via – un tratto di via Cantarelli a Castello – con una cerimonia programmata per sabato prossimo, 15 febbraio alle ore 14,30 e alla quale interverrà anche il presidente nazionale dell’Ana Sebastiano Favero. Un’intitolazione che è un omaggio dell’amministrazione civica agli alpini, già celebrati dalla piazzetta al villaggio di Germanedo dedicata al Quinto Reggimento, quello di quel battaglione Morbegno dal quale sono passati molti lecchesi e che per un breve periodo, dal 1934 all’8 settembre 1943, fu in parte di stanza alla caserma Sirtori di via Leonardo da Vinci.
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Ieri sera è stato il momento dei ricordi attraverso il racconto della figlia Luisa Merlini e di un altro ex presidente dell’Ana lecchese, Luca Ripamonti, figlio di quel Raffaele che di Merlini fu compagno d’armi e amico fraterno, attraverso la testimonianza del colonnello Massimiliano Cigolini, attualmente capo dell’ufficio logistico del Comando truppe alpine di Bolzano ma soprattutto già comandante proprio del battaglione Morbegno e dello stesso Quinto Reggimento.
Ad aprire la serata, il saluto della presidente provinciale Alessandra Hofmann e del sindaco Mauro Gattinoni. A chiudere quelli del’attuale presidente dell’Ana lecchese Emiliano Invernizzi e del consigliere nazionale Renato Spreafico. 
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A condurre l’incontro, il giornalista Gigi Riva che, oltre a tracciare a grandi linee i meriti di Merlini, dalla ricostituzione dell’associazione a progetti più arditi quasi inimmaginabili e poi invece concretizzati, temi poi sviluppati dagli altri relatori, ha anche ricordato come il progetto di intitolazione di una via sia in gestazione da tempo, con i primi passi avviati dall’ex sindaco Virginio Brivio e dall’allora presidente dell’Ana lecchese Marco Magni.
Portando il saluto dell’amministrazione provinciale, la presidente Hofmann ha manifestato la speranza che l’intitolazione di questa via possa destare la curiosità anche di chi non conosca gli alpini e Ugo Merlini. Si è soffermata poi sul ricordo della battaglia di Nikolajewka (durante la quale Merlini rimase gravemente ferito), «combattuta non per un attacco ma per tornare a casa: facciamo fatica a capire le atrocità che questi alpini hanno sopportato e l’angoscia delle famiglie a casa. E quelli che sono tornati hanno voluto portare un messaggio di speranza che è il messaggio degli alpini».
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Il sindaco Gattinoni si è invece concentrato sulle “radici”, perché dimenticando quelle «l’essere alpino rischia di diventare folclore e non solo onore» e quindi la necessità di guardare ad alcune figure significative. Tre in particolare: una è proprio Ugo Merlini. Un’altra è don Carlo Gnocchi: fu proprio la casa editrice lecchese Stefanoni a pubblicare il suo libro “Cristo con gli alpini”, quasi un grido disperato dopo la campagna di Russia. E terza, Teresio Olivelli, anch’egli reduce di Russia e poi impegnato nella Resistenza, arrestato dai nazifascisti, rinchiuso a Fossoli e poi deportato a Ravensbruck dove è stato ucciso per un gesto di solidarietà. E allora, «il motivo per cui siamo affezionati agli alpini è perché ci manifestano l’urgenza del bene».
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Da parte sua, Cigolini ha esordito dicendo di non avere conosciuto Merlini, ma di averlo in qualche modo “incontrato” da giovane tenente, nello stendere la tesi a conclusione degli studi dell’Accademia militare, una tesi sui canti degli alpini che si concludeva con una frase «rubata a Merlini». Quasi un in invito a riscoprire un personaggio. Ha quindi offerto un ritratto dell’Ugo Merlini militare, partendo dalle due medagli ricevute: una di bronzo per la battaglia di Warwarowka del 23 gennaio 1943 e una d’argento per quella di Nikolajewha di quattro giorni dopo, il 27 gennaio 1943, dove rimase gravemente ferito.
In entrambi i casi, per aprirsi un varco e sfuggire all’accerchiamento dell’esercito sovietico sulla strada della Ritirata: non furono battaglie strategiche – ha detto Cigolini – ma hanno sottolineato «la voglia di tornare a casa, di allontanarsi da quella guerra che non sentivano nemmeno loro. La ritirata è una manovra difficile: hai il nemico davanti e ti arriva l’ordine di girarti di 180 gradi e tornare indietro, ma non è così semplice, con il nemico che è dappertutto. Per raccontare quei momenti drammatici – che chi non ha vissuto non può comprendere – il colonnello si è quindi affidato alle parole scritte nel suo diario da Ottobono Terzi e a quelle dello stesso Merlini.
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Il sindaco Mauro Gattinoni

E’ stato ricordato in particolare l’episodio del caporalmaggiore Giovanni Della Nave che in un momento di riposo improvvisato, si rivolse ai propri compagni di sventura, tra i quali appunto il tenente Merlini invitandoli a stringere un patto: «Se uno di noi si ferma, si fermano anche gli altri per aiutarlo»; una stretta di mano, un sorriso che sembravano più di circostanza, quando si sapeva che fermarsi sarebbe stata la morte sicura. Poi, nell’inferno di Nikolajewka «sentii come un pugno sulla spalla – il racconto di Merlini – una scheggia di granata mi aveva passato da parte a parte. Capii che era giunta la mia ora e morii. Così almeno pensavo. E invece ero solo svenuto. Quando mi risvegliai, vidi Della Nave con me. Gli chiesi cosa facesse ancora lì. E lui mi rispose: “Eravamo d’accordo così, no?”». 
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Massimo Cigolini

Il caporale medicò alla bell’e meglio il compagno ferito e se lo trascinò per circa duecento chilometri – come ha poi ricordato Luisa Merlini -, alimentandosi con un pezzo di arnia trovata per strada con un po’ di miele e ancora le api dentro, rubando il cibo dalle ciotole dei cani, ingoiando qualche pastiglia di formitrol uscita miracolosamente da una tasca.
Più avanti – ha aggiunto Cigolini – riflettendo su quell’episodio, Merlini si sarebbe chiesto se lui avrebbe fatto lo stesso. In quanto a Della Nave, che dopo la guerra ha continuato a frequentare casa Merlini, Luisa ricorda come scherzando ripetesse che se avesse saputo di quei duecento chilometri da fare, il tenente lo avrebbe lasciato là…
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Luisa Merlini

Del padre, Luisa Merlini ha ricordato i tanti amici, la casa frequentata dagli alpini, il suo amato ufficio con figure storiche diventate poi amiche di famiglia, i tantissimi che parteciparono al funerale al punto chi si dovette allungare il percorso per permettere a tutti di farvi parte. «Era una famiglia alpina – ha proseguito – ma era un po’ misteriosa e io da bambina ne ero anche un po’ gelosa. E poi c’erano i miti: Ettore Erizzo che fu presidente nazionale prima di mio padre, Franco Bertagnoli che lo fu dopo, l’amico lecchese Raffaele Ripamonti che gli succedette alla guida della sezione».
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Luca Ripamonti

Nell’intimità, «la nostra era una famiglia molto affiatata, anche divertente. Noi figli prendevamo in giro mia madre e papà ci dava corda. La linea educativa era che dovevamo imparare a cavarcela con le nostre forze. Ricordo una volta che andai con papà sul Resegone, per il Canalone Bobbio. Giunti ai “sassoni” che allora non erano ancora attrezzati, io non riuscivo a salire. Lui proseguì, mi aspettava sopra guardandomi sorridendo. Anche se in fondo riuscii a salire perché arrivo qualcuno che mi dette una spinta, quella fiducia che mi ha dato mi avrebbe poi accompagnato per tutta la vita. E soprattutto, mi ha anche insegnato a mettermi nei panni degli altri per capire. Di guerra e Resistenza, alla quale ha partecipato, nelle Fiamme verdi, non si parlava. Erano argomenti tabù. Sapevo solo che era stato ferito e sapevo di Giovanni Della Nave che noi bambini chiamavamo Giovanni Senza Paura, chissà perché… o forse proprio per ciò che fece in Russia».
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Renato Spreafico

E’ quindi toccato a Luca Ripamonti sintetizzare l’impegno di Merlini nell’Associazione alpini: «Già tre mesi dopo la Liberazione, nel luglio 1945, costituì un primo gruppi, lo chiamò “Fiamme verdi alpine”, a novembre si cercò di riorganizzare la sezione e fu nominato commissario. Furono mesi preziosi per radunare gli alpini, in un periodo di comunicazioni erano difficili. A febbraio 1946 si era già in 841 e venne ricostituita la sezione Ana, piano piano si vennero riformandosi anche i vari gruppi nel territorio. Ma non bastava. Bisognava avere anche altri obiettivi. Uno fu la ricostruzione del Rifugio Cazzaniga ai Piani di Artavaggio distrutto dai Tedeschi durante la guerra. Per racimolare i primi soldi si decise di comprare a Morbegno una mucca, la vacca Rosina, e si fece una lotteria. All’inaugurazione salì anche don Carlo Gnocchi con due mutilatini. Secondo obiettivo, il giornale “Penna nera degli alpini”: serviva per riuscire a raggiungere tutte le famiglie alpine presenti nel territorio, era un mezzo di comunicazione importante.
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Emiliano Invernizzi

Intanto la sezione si ingrossava, si era arrivati a tremila iscritti, ma c’era ancora una cosa da fare: lo scioglimento di un voto fatto dagli alpini lecchesi in Albania, nella fallimentare campagna di aggressione alla Grecia, «un voto fatto alla Madonna per ricordare i loro morti, morti male e morti in troppi. L’architetto Mario Cereghini, già in Albania, aveva fatto uno schizzo, una chiesa come una tenda perché il telo tenda era l’unica cosa che gli alpini avevano per ripararsi. Tornati in patria, si decise di adempiere al voto in un incontro a casa del senatore Umberto Locatelli ai Roccoli Lorla. Cereghini venne incaricato di predisporre il progetto. Ma ancora non si sapeva dove costruire la chiesa. Proprio in quel periodo, ai Piani delle Betulle stava sorgendo un villaggio turistico su iniziativa della famiglia di Mario Denti che era anche il sindaco di Margno, venne realizzata la funivia e si decise che la chiesa sarebbe stata costruita lassù. Venne inaugurata il 6 settembre 1959 e nel luglio dell’anno successivo l’arcivescovo milanese Giovanni Battista Montini (che poi sarebbe diventato papa Paolo VI) benedisse l’altare.
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«Per ricordare chi fosse Ugo Merlini – ha concluso Ripamonti – bastano le parole che il suo predecessore alla guida dell’Ana nazionale Ettore Erizzo pronunciò in occasione del pranzo dell’adunata nazionale di Trieste del 1965 rivolgendosi a un ministro presente: “In un Paese in cui ci si accanisce per avere poltrone, quando abbiamo chiesto a Merlini di diventare presidente si è messo a scalciare. Abbiamo dovuto quasi picchiarlo per convicerlo”».
Infine, i saluti del presidente sezionale Invernizzi e del consigliere nazionale Spreafico. Invernizzi ha ricordato come Merlini rimanga un punto di riferimento per tutta l’associazione «soprattutto in questi tempi bui. Perché siamo in guerra, non solo all’Est, ma anche per una società che perde i valori».
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Da parte sua, Spreafico ha sottolineato come Merlini abbia traghettato l’associazione in un momento difficile, attraversando anche gli anni del Sessantotto e della contestazione, con valori che devono essere portati avanti anche per le nuove generazioni e invitando a recuperare tutta la documentazione possibile per riscoprirne il valore.
D.C.
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