É proprio tra le pieghe della normalità che si nasconde il male

Primo Levi aveva affermato con disperazione: ”Se c’è Auschwitz, non può esserci Dio”. Per alcuni, o forse per tanti, la questione dell’assenza di Dio ad Auschwitz rimane il gemito inascoltato per il sangue innocente versato di milioni di uomini. Dentro questo tormento storico e umano si risente infrangere la voce maledetta di Nietzsche, che grida, in Zarathustra: “Dio è morto”.
A questa frase ridondante, che si ode tra le mura e le baracche dei campi di concentramento, fa da sponda il filosofo Hans Jonas: “Dio si era congedato dal mondo dell’uomo abdicando alla sua responsabilità e lasciando l’uomo, sua creatura, nella notte oscura, solo nella fossa dei leoni”.
È un’affermazione forte, com’è penetrante la considerazione di Arendt:..sono tante le stazioni dolorose della via Crucis, disseminate nelle terre di un’Europa dominata dal nazionalsocialismo, milioni di vite umane sono state soppresse da altri uomini. Molti degli assassini sono credenti praticanti, buoni cittadini e padri di famiglia esemplari, persone assolutamente normali...
É proprio tra le pieghe della normalità che si nasconde il male.
Bisogna percorrere le baracche, entrare nelle stanze delle torture, soffermarsi accanto ai forni, per accorgersi del male che soggiace nelle profonde radici della specie umana.
Ho attraversato più volte il campo di concentramento di Mauthausen per incontrare una parte del mio DNA simbolizzato in una croce condivisa con altre. Ogni volta è un rito. L’incontro è salutato dal rumore del calpestio delle scarpe, dal vento gelido o primaverile. Lì, in quel prato, sento, come in un delirio, le voci dei morti, la loro solitudine; li ascolto, leggo i loro nomi e le date. Ho bisogno di parlare con quei corpi. Immagino che guardino il tramonto, sento il loro respiro. Ogni volta percepisco qualcosa di me: mi assalgono immagini e frammenti di poesie.
Ho continuato a visitare altri campi, anche quello di Auschwitz. La domanda è sempre la stessa. Basta fermarsi in mezzo al vuoto dei campi per accorgersi che c’è un grande silenzio: è la solitudine di dio, che si sente.
E un pensiero, inevitabilmente che ti sfiora, ma dov’era Lui?  
Lui non c’entra. É troppo facile, semplice, proiettare la colpa del male sull’Altro. È un modo per sistemarci la coscienza, lavarci le mani: Auschwitz, Cambogia, Jugoslavia, Ruanda, Gaza…
Edith Stein, il 9 agosto 1942 ad Auschwitz, prima di essere gasata, su un pezzo di carta, scrive: “Ti saluto, Croce, nostra unica speranza”. Non tutti sono santi, filosofi e credenti.
Tanti che sono tornati si sono tolti la vita. Primo Levi, pur avendo scritto, rivelato al mondo il dramma, non riuscì a elaborare la grande sofferenza che giaceva dentro di sé.  Il poeta rumeno, di origine ebraica, Paul Celan, internato e deportato, riuscì a sopravvivere, ma fu costretto a fare i conti con la disperazione mentale: nel 1970 si getta nella Senna. Lo psicoanalista, psicoterapeuta Bruno Bettelheim (Vienna 1903-1990), deportato a Dachau e Buchenwald, rilasciato nel 39, per il compleanno di Hitler, si rifugiò negli Stati Uniti. Si uccise all’età di ottantasei a causa della sofferenza mai sopita. È difficile, forse quasi impossibile, estirpare il dolore del disumano male.
Per anni, i deportati rientrati rimasero in silenzio. Per anni, il libro di Primo Levi fu rifiutato dalle case editrici.
C’è stata una rimozione collettiva e politica. Non è un caso che ci sia il negazionismo. Il silenzio dei campi di concentramento, dei massacri umani coincide con la solitudine di dio. Un grazie, post mortem, a Furio Colombo, per il Giorno della Memoria.
Dr. Enrico Magni, Psicologo, giornalista
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.