'Vita da specializzando' in corsia all'ospedale Manzoni. Gabriele apprendista oncologo, dopo quattro anni al PS
Sei anni di medicina non rendono cardiologo. Ma nemmeno anestesista o pediatra. La Treccani liquida il sostantivo specializzando in meno di una riga: “Chi sta per conseguire una specializzazione in un determinato settore di studio”. Facile, no? Eppure essere specializzando comporta un carico di fatica. Come pure di aspettative, personali, certo, ma anche di quella Sanità che, quanto a forza lavoro, boccheggia. Ecco dunque “Vita da specializzando”, mini rubrica, realizzata grazie alla collaborazione dei primari coinvolti: storie, l'esperienza di (giovani) dottori in questi mesi in formazione (specialistica, per l'appunto) all'Ospedale Manzoni di Lecco. Qualcuno anche già... sotto contratto.
“Una sorta di apprendista”. Così Gabriele definisce lo specializzando. E dunque se stesso. “Sei medico, ma sei apprendista in relazione a qualcosa di più fine” puntualizza, quindi, il dottor Pagliari, laureato dal 2017, oncologo tra... un paio d'anni. E' iscritto infatti al secondo anno della Scuola di specializzazione in Oncologia della Bicocca, di cui, di fatto, è tra i pionieri, essendo stata avviata nel 2023, quando lui... già lavorava in Pronto Soccorso. Da quattro anni. “E pensare che l'idea era di restare per poco”, afferma, sorridendo.
33 anni, originario di Lentate sul Seveso, casa a Como, una convivenza incominciata a Milano un mese prima di essere assegnato a Lecco il 4 novembre scorso e un appartamento in affitto in Valsassina, per evitarsi l'avanti e indietro tutti i giorni, inizia a frequentare l'Oncologia al sesto anno di studi in medicina, “per curiosità”, ben conscio, pur in assenza di esperienza diretta, di come un tale reparto “presupponga un carico emotivo importante”.
“Mi sono trovato bene e ho proseguito poi con l'internato di tesi e la tesi in Oncologia”, fino ad arrivare, dopo la laurea, a tentare il test di ammissione alla specializzazione, per fare della cura dei tumori la sua quotidianità. Un punteggio non brillante - “erano altri tempi, si entrava solo con risultati alti” - lo ha portato, nell'autunno del 2019, ad accettare una proposta di lavoro al Valduce di Como, in Pronto Soccorso. Da non specializzato, dunque. “Pur con qualche paura, ma con l'idea di mettermi in gioco ho detto di sì, pensando di non restare molto: in realtà ho vissuto lì quattro anni, periodo covid incluso. E' stata un'esperienza molto intesa. E lo sarebbe stata anche senza la pandemia. Ho dovuto imparare da zero - anche perché la medicina d'urgenza è un mondo a sé, affascinante ma anche piuttosto duro - aiutato dai colleghi che si sono messi in gioco a loro volta per formarmi. Del resto ero laureato da due anni e sono stato catapultato in quello che è stato davvero un campo di prova, anche per imparare a relazionarmi con gli altri medici (con cui ho instaurato relazioni di amicizia) e ad approcciarmi poi con i pazienti, in situazioni e con patologie diverse. Cosa facevo? Tutto!” sintetizza, concedendo un altro sorriso, pur pronunciando quel “tutto” piatto, con quell'obiettività di chi ha testato con mano le ripercussioni sui PS dell'emorragia di colleghi dalla sanità territoriale, problema ora evidente, ma non emerso certo da un giorno con l'altro. “Quell'esperienza è stata una grande lezione, sia sul campo medico che umano. Gli anni però stavano passando e è tornata la voglia di riprendere gli studi, anche se in effetti c'è chi lo fa poi anche a 40 o 50 anni. Dal posto fisso che ormai comunque avevo ho così deciso di passare a una fase successiva, al passaggio in specialità”. Ritentando dunque il test, tornando su Oncologia, con la gioia del passarlo associata poi alla “scommessa” nel scegliere la scuola della Bicocca. “Per ora – aggiunge ancora il dottor Gabriele Pagliari – mi sembra di averla vinta. Ho trovato un ambiente stimolante – racconta circa il Manzoni, dove resterà 6 mesi, dopo aver già girato, nell'ambito del suo percorso formativo, diversi ospedali – con persone che hanno voglia di rapportarsi con me, di insegnare e trasmettere. Ecco, lo specializzando è un apprendista, che cerca di rubare il lavoro, per imparare al meglio” sostiene, intendo quel carpire conoscenza, nel senso più ampio, per un arricchimento professionale e non solo. “Spesso il suo ruolo però viene travisato, in eccesso o difetto” afferma, parlando in generale. “Rischia di essere considerato come uno studente o al contrario di essere caricato della gestione di contesti non consoni, come fosse una sorta di tappabuchi con cui colmare le mancanze d'organico”. Come uno stagista che, preso in azienda dopo la laurea, viene usato per le fotocopie e subissato di mansioni alle quali invece dovrebbe essere gradualmente introdotto. In ospedale, come in ufficio, con uno “stipendio” comunque da... “apprendista”, considerazione questa comune a tutti (o quasi) gli specializzandi protagonisti anche delle prossime puntate...
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“Una sorta di apprendista”. Così Gabriele definisce lo specializzando. E dunque se stesso. “Sei medico, ma sei apprendista in relazione a qualcosa di più fine” puntualizza, quindi, il dottor Pagliari, laureato dal 2017, oncologo tra... un paio d'anni. E' iscritto infatti al secondo anno della Scuola di specializzazione in Oncologia della Bicocca, di cui, di fatto, è tra i pionieri, essendo stata avviata nel 2023, quando lui... già lavorava in Pronto Soccorso. Da quattro anni. “E pensare che l'idea era di restare per poco”, afferma, sorridendo.
33 anni, originario di Lentate sul Seveso, casa a Como, una convivenza incominciata a Milano un mese prima di essere assegnato a Lecco il 4 novembre scorso e un appartamento in affitto in Valsassina, per evitarsi l'avanti e indietro tutti i giorni, inizia a frequentare l'Oncologia al sesto anno di studi in medicina, “per curiosità”, ben conscio, pur in assenza di esperienza diretta, di come un tale reparto “presupponga un carico emotivo importante”.
“Mi sono trovato bene e ho proseguito poi con l'internato di tesi e la tesi in Oncologia”, fino ad arrivare, dopo la laurea, a tentare il test di ammissione alla specializzazione, per fare della cura dei tumori la sua quotidianità. Un punteggio non brillante - “erano altri tempi, si entrava solo con risultati alti” - lo ha portato, nell'autunno del 2019, ad accettare una proposta di lavoro al Valduce di Como, in Pronto Soccorso. Da non specializzato, dunque. “Pur con qualche paura, ma con l'idea di mettermi in gioco ho detto di sì, pensando di non restare molto: in realtà ho vissuto lì quattro anni, periodo covid incluso. E' stata un'esperienza molto intesa. E lo sarebbe stata anche senza la pandemia. Ho dovuto imparare da zero - anche perché la medicina d'urgenza è un mondo a sé, affascinante ma anche piuttosto duro - aiutato dai colleghi che si sono messi in gioco a loro volta per formarmi. Del resto ero laureato da due anni e sono stato catapultato in quello che è stato davvero un campo di prova, anche per imparare a relazionarmi con gli altri medici (con cui ho instaurato relazioni di amicizia) e ad approcciarmi poi con i pazienti, in situazioni e con patologie diverse. Cosa facevo? Tutto!” sintetizza, concedendo un altro sorriso, pur pronunciando quel “tutto” piatto, con quell'obiettività di chi ha testato con mano le ripercussioni sui PS dell'emorragia di colleghi dalla sanità territoriale, problema ora evidente, ma non emerso certo da un giorno con l'altro. “Quell'esperienza è stata una grande lezione, sia sul campo medico che umano. Gli anni però stavano passando e è tornata la voglia di riprendere gli studi, anche se in effetti c'è chi lo fa poi anche a 40 o 50 anni. Dal posto fisso che ormai comunque avevo ho così deciso di passare a una fase successiva, al passaggio in specialità”. Ritentando dunque il test, tornando su Oncologia, con la gioia del passarlo associata poi alla “scommessa” nel scegliere la scuola della Bicocca. “Per ora – aggiunge ancora il dottor Gabriele Pagliari – mi sembra di averla vinta. Ho trovato un ambiente stimolante – racconta circa il Manzoni, dove resterà 6 mesi, dopo aver già girato, nell'ambito del suo percorso formativo, diversi ospedali – con persone che hanno voglia di rapportarsi con me, di insegnare e trasmettere. Ecco, lo specializzando è un apprendista, che cerca di rubare il lavoro, per imparare al meglio” sostiene, intendo quel carpire conoscenza, nel senso più ampio, per un arricchimento professionale e non solo. “Spesso il suo ruolo però viene travisato, in eccesso o difetto” afferma, parlando in generale. “Rischia di essere considerato come uno studente o al contrario di essere caricato della gestione di contesti non consoni, come fosse una sorta di tappabuchi con cui colmare le mancanze d'organico”. Come uno stagista che, preso in azienda dopo la laurea, viene usato per le fotocopie e subissato di mansioni alle quali invece dovrebbe essere gradualmente introdotto. In ospedale, come in ufficio, con uno “stipendio” comunque da... “apprendista”, considerazione questa comune a tutti (o quasi) gli specializzandi protagonisti anche delle prossime puntate...
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A.M.