“Non sense”, riflessioni sulla condizione umana nel nuovo libro di Enrico Magni
Nuova fatica letteraria per il dottor Enrico Magni, psicologo, psicoteraputa, criminologo e giornalista pubblicista, oltre che appunto autore di diversi libri, l’ultimo dei quali è una silloge, una raccolta di poesie, interpretate dal professionista. Non sense il titolo.
Nella società globalizzata, iperconnessa, dove i suoni si impastano, le lingue si confrontano e si scompongono, è quasi impossibile sentire e udire i significati delle parole. Bisogna scarnificare la parola, destrutturarla in frammenti, renderla fluida per trovare un senso nel non senso. È nell’apparente mascherato e infingardo non senso che si nasconde sotto la cenere quel qualcosa che sollecita il piacere di scappare nel paradosso, nell’ironia, nel meta, nel prelogico per scovare un significante provvisorio, instabile ma dinamico dell’esserci. L’ossificazione della parola, della frase ridotta all’essenzialità pone al centro la necessità di cogliere lo stame per far crescere nuove immagini rivelatrici e rivelanti.
Nella prima parte della silloge Non sense le parole costruiscono dei figurati collocati sul bordo delirio/realtà e evidenziano le contraddizioni, le assurdità, i paradossi che il linguaggio dominante impone e rimuove. Solo attraverso il gioco decostruttivo delle parole del non senso è possibile cogliere il messaggio liberatorio, che va oltre la dimensione del reale. In questo immaginario delirare è l’unica possibilità di essere nel mondo.
Nella seconda parte della silloge Non sense l’ironia del verso non verso si srotola come un filo attorno a spaccati deformati e deformanti del quotidiano che sono contaminati da immagini angoscianti di possibili catastrofi. Il piccolo gesto, l’attimo soggettivo, l’oggetto quotidiano sono sempre su un confine indefinito che è mitigato dal gioco giocoso del contrappasso del paradosso.
Nella terza parte della silloge Non sense il verso si confronta e si scontra con un oggetto ignoto che ha la capacità di capovolgere e deformare tutti i parametri di un mondo che si sente padrone delle cose, è bastato un elemento invisibile per evidenziare i limiti di questa onnipotenza e scaraventare per due anni il mondo in uno stato di paralisi. Solo l’ironia della parola, dando forma alle immagini, è riuscita a sdrammatizzare la potenza del virus. La decostruzione del libero verso dai sintagmi, dai paradigmi linguistici permette di accedere oltre al Non sense.
LA RECENSIONE
La silloge poetica Non sense è un'opera complessa e stratificata che si muove tra l'intimo e il sociale, esprimendo una gamma di emozioni e riflessioni sulla condizione umana, la malattia mentale e l’inevitabilità della morte. La sintassi frammentata e le immagini forti creano uno spazio di incertezza e vulnerabilità, invitando il lettore a esplorare una realtà complessa e spesso dolorosa.
La prima sezione della raccolta sembra concentrarsi sull’interazione tra il poeta e il "tu", suggerendo un dialogo che si snoda tra i piani dell’apparente quotidianità e della follia. La ripetizione di frasi come “Mi ascolti” e “Mi vedi” crea una tensione emotiva e una ricerca di connessione, culminando in una domanda esistenziale: “Ma dove siamo”, che si risolve in un paradossale “In Paradiso / No / In manicomio.” Questa dicotomia introduce il tema centrale della raccolta: la fragilità della mente e le sue manifestazioni nei contesti sociali e clinici.
Il passaggio attraverso i corridoi di un ospedale psichiatrico e le interazioni con personale medico e pazienti suggerisce un'analisi profonda della malattia mentale. I “camici bianchi” e “i volti impauriti e incuriositi” sono simboli di un sistema che può diventare alienante e opprimente. La sottomissione alla figura dell’autorità medica viene evidenziata nelle immagini di emozioni represse, casi di amore tra pazienti che palesano la ricerca di normalità in un contesto dominato dalla malattia.
Frammenti come "Sei matto?" e "Io sono un disturbo di personalità" descrivono una realtà in cui l’identità e il senso di sé sono messi in discussione, segnalando una cultura in cui la follia è stigmatizzata e spesso mal compresa. La progressione tra i versi, ricca di riferimenti a sentimenti di ansia, insicurezza e angoscia dipinge un quadro di vulnerabilità che rende il lettore complice nel disagio e nelle riflessioni del narratore.
Le immagini finali ampliano il respiro verso una dimensione più universale, esplorando tematiche quali il tempo che scorre, la certezza della morte e le tensioni esistenziali. Versi come “Cosa rimane della nostra storia” e “Il silenzio dei morti” rappresentano una forte meditazione sulla memoria, il passare del tempo e la ricerca di significato.
La poesia si snoda quindi come una riflessione sul presente e sull’assenza, sull’incertezza delle relazioni e sull'inevitabile destino umano. La silloge non solo riesce a esprimere il profondo disagio della condizione umana, ma invita anche a una forma di resistenza, cercando la bellezza ed il senso anche nei momenti di buio. La scrittura diventa così un atto di liberazione e una via per esplorare l’autenticità delle esperienze umane, senza paura di confrontarsi con la vulnerabilità e l'ignoto.
QUALCHE POESIA:
Parlo/Mi ascolti/Ti guardo/Mi vedi/ Rido /Sei contento/ Ma dove siamo/ In Paradiso/No/ In manicomio.
Questa poesia con la sua brevità e la semplicità dei versi, riesce a esprimere in modo incisivo un forte contrasto tra l’apparente serenità e la complessità del mondo interiore. L'inizio è caratterizzato da un dialogo interpersonale che sembra normale e persino felice, con elementi di connessione ("Mi ascolti", "Ti guardo", "Rido"). Tuttavia, alla fine ci porta a una rivelazione molto diversa, scoprendo che il contesto non è quello idilliaco del Paradiso, ma piuttosto un luogo di confusione e follia, descritto con il termine "manicomio". Questa transizione improvvisa provoca una riflessione profonda sullo stato della mente e sull'illusorietà delle apparenze. La poesia gioca dunque con i temi dell'illusione e della realtà, con il contrasto tra la dimensione esterna (la felicità apparente) e quella interna (la tormenta e la confusione). È un'opera che invita a riflettere sull’autenticità delle nostre esperienze emozionali e sull'importanza di guardare oltre le apparenze.
Ero solo con la corteccia dell’ulivo/ A guardare il lago/ Sul quadrante c’è il confine /Che blocca l’ago magnetico.
Questa poesia evoca un momento di solitudine e introspezione attraverso immagini naturali e simboliche. L’atto di "levare la mano sulla guancia" suggerisce una riflessione interiore, come se l'autore stesse cercando di raccogliere i propri pensieri o emozioni. La scelta di un ulivo, pianta simbolica di pace e resilienza, suggerisce una connessione profonda con la natura e le sue radici.
Il lago, che di solito rappresenta calma e serenità, potrebbe anche alludere a una profondità di emozioni da esplorare. Il "quadrante" e il "confine" fanno pensare a misure e limiti, come se l'autore stesse cercando di navigare tra ciò che è reale e ciò che è interiore, con l’immagine dell’ago magnetico che si blocca, rimandando a una certa immobilità o indecisione.
In sintesi, la poesia invita a una riflessione sul confine tra il mondo esterno e quello interiore, utilizzando la natura come specchio delle nostre emozioni e dei nostri pensieri più profondi. La bellezza di queste immagini sta nella loro capacità di evocare sensazioni universali di ricerca e scoperta di sé.
Oslo è bella/ Come zia Giacomina / Che tira la corda /Alla luna/ E fa pipì
Questa poesia gioca con immagini surreali e un senso di umorismo innocente. L'uso del nome "Oslo" e l'associazione con "zia Giacomina" creano un contrasto sorprendente e affettuoso, suggerendo la bellezza della città in modo ingegnoso. L'atto di "tirare la corda alla luna" evoca una certa magia e leggerezza, mentre la scena finale, inaspettata e giocosa, porta con sé una dose di ilarità. Questa combinazione di elementi rende la poesia vivace e originale, invitando il lettore a riflettere sulla bellezza e l'assurdità della vita. L'associazione tra la bellezza di un luogo e un momento così umano e bizzarro ci invita a guardare il mondo con uno sguardo diverso, celebrando la gioia nelle piccole e strambe situazioni quotidiane.
Saltellando / Tra un piede /E l’altro / Ho scoperto / Le dita della mano
La poesia "Saltellando" sembra invitare il lettore a riflettere su una connessione inaspettata tra il movimento e la percezione. Il saltellare, un'azione leggera e giocosa, è accompagnato dall'immagine delle dita della mano, che suggerisce un'interazione tra il corpo e l'anima. Il contrasto tra "un piede e l’altro" e "le dita della mano" evoca l'idea di esplorazione, come se il soggetto stesse scoprendo nuovi aspetti di sé stesso mentre gioca con il proprio corpo. Le didascalie corporee possono rappresentare una forma di libertà e di scoperta interiore. Inoltre, la semplicità dei versi comunica una certa freschezza e spontaneità, tipica del gioco infantile, facendo vibrare in chi legge un senso di meraviglia e curiosità. In sintesi, questa poesia, pur nella sua brevità, riesce a trasmettere un messaggio profondo: la bellezza delle piccole scoperte quotidiane e l’armonia tra movimento e coscienza.
Disteso e rilasciato/ Ti ascolto/Come un soldato/Attenti/ E’ arrivato il sergente/ Con la cravatta / E una siringa in mano
La poesia "Disteso e rilasciato" presenta un'immagine forte e evocativa, giocando su contrasti tra il tono di attesa e la violenza implicita in un'immagine come quella di un sergente con una siringa. Il primo verso, "Ti ascolto", può suggerire un momento di vulnerabilità e apertura, mentre l'immagine del "soldato attenti" implica disciplina, controllo e, in un certo senso, una perdita di libertà personale. La figura del sergente rappresenta l’autorità e il comando, portando con sé la tensione della situazione. La cravatta e la siringa in mano sono simboli potenti: la cravatta è tipica di chi occupa posizioni di comando e formalità, mentre la siringa evoca connotazioni più inquietanti, di manipolazione o di coercizione. Questa dualità crea un'atmosfera di disagio e vulnerabilità, in cui i temi del controllo, della subordinazione e della perdita dell'autonomia emergono con forza. Nel complesso, la poesia invita a riflettere su temi di autorità e resa, rappresentando un momento di confronto tra il soggetto e la forza esterna, incapsulando una tensione che potrebbe essere interpretata in molti modi, dall’esperienza militare a dinamiche più personali e quotidiane. È un'opera che stimola il lettore a considerare oltre le parole, esplorando il sotto testo emotivo e sociale che essa porta con sé.
Nella società globalizzata, iperconnessa, dove i suoni si impastano, le lingue si confrontano e si scompongono, è quasi impossibile sentire e udire i significati delle parole. Bisogna scarnificare la parola, destrutturarla in frammenti, renderla fluida per trovare un senso nel non senso. È nell’apparente mascherato e infingardo non senso che si nasconde sotto la cenere quel qualcosa che sollecita il piacere di scappare nel paradosso, nell’ironia, nel meta, nel prelogico per scovare un significante provvisorio, instabile ma dinamico dell’esserci. L’ossificazione della parola, della frase ridotta all’essenzialità pone al centro la necessità di cogliere lo stame per far crescere nuove immagini rivelatrici e rivelanti.
Nella prima parte della silloge Non sense le parole costruiscono dei figurati collocati sul bordo delirio/realtà e evidenziano le contraddizioni, le assurdità, i paradossi che il linguaggio dominante impone e rimuove. Solo attraverso il gioco decostruttivo delle parole del non senso è possibile cogliere il messaggio liberatorio, che va oltre la dimensione del reale. In questo immaginario delirare è l’unica possibilità di essere nel mondo.
Nella seconda parte della silloge Non sense l’ironia del verso non verso si srotola come un filo attorno a spaccati deformati e deformanti del quotidiano che sono contaminati da immagini angoscianti di possibili catastrofi. Il piccolo gesto, l’attimo soggettivo, l’oggetto quotidiano sono sempre su un confine indefinito che è mitigato dal gioco giocoso del contrappasso del paradosso.
Nella terza parte della silloge Non sense il verso si confronta e si scontra con un oggetto ignoto che ha la capacità di capovolgere e deformare tutti i parametri di un mondo che si sente padrone delle cose, è bastato un elemento invisibile per evidenziare i limiti di questa onnipotenza e scaraventare per due anni il mondo in uno stato di paralisi. Solo l’ironia della parola, dando forma alle immagini, è riuscita a sdrammatizzare la potenza del virus. La decostruzione del libero verso dai sintagmi, dai paradigmi linguistici permette di accedere oltre al Non sense.
LA RECENSIONE
La silloge poetica Non sense è un'opera complessa e stratificata che si muove tra l'intimo e il sociale, esprimendo una gamma di emozioni e riflessioni sulla condizione umana, la malattia mentale e l’inevitabilità della morte. La sintassi frammentata e le immagini forti creano uno spazio di incertezza e vulnerabilità, invitando il lettore a esplorare una realtà complessa e spesso dolorosa.
La prima sezione della raccolta sembra concentrarsi sull’interazione tra il poeta e il "tu", suggerendo un dialogo che si snoda tra i piani dell’apparente quotidianità e della follia. La ripetizione di frasi come “Mi ascolti” e “Mi vedi” crea una tensione emotiva e una ricerca di connessione, culminando in una domanda esistenziale: “Ma dove siamo”, che si risolve in un paradossale “In Paradiso / No / In manicomio.” Questa dicotomia introduce il tema centrale della raccolta: la fragilità della mente e le sue manifestazioni nei contesti sociali e clinici.
Il passaggio attraverso i corridoi di un ospedale psichiatrico e le interazioni con personale medico e pazienti suggerisce un'analisi profonda della malattia mentale. I “camici bianchi” e “i volti impauriti e incuriositi” sono simboli di un sistema che può diventare alienante e opprimente. La sottomissione alla figura dell’autorità medica viene evidenziata nelle immagini di emozioni represse, casi di amore tra pazienti che palesano la ricerca di normalità in un contesto dominato dalla malattia.
Frammenti come "Sei matto?" e "Io sono un disturbo di personalità" descrivono una realtà in cui l’identità e il senso di sé sono messi in discussione, segnalando una cultura in cui la follia è stigmatizzata e spesso mal compresa. La progressione tra i versi, ricca di riferimenti a sentimenti di ansia, insicurezza e angoscia dipinge un quadro di vulnerabilità che rende il lettore complice nel disagio e nelle riflessioni del narratore.
Le immagini finali ampliano il respiro verso una dimensione più universale, esplorando tematiche quali il tempo che scorre, la certezza della morte e le tensioni esistenziali. Versi come “Cosa rimane della nostra storia” e “Il silenzio dei morti” rappresentano una forte meditazione sulla memoria, il passare del tempo e la ricerca di significato.
La poesia si snoda quindi come una riflessione sul presente e sull’assenza, sull’incertezza delle relazioni e sull'inevitabile destino umano. La silloge non solo riesce a esprimere il profondo disagio della condizione umana, ma invita anche a una forma di resistenza, cercando la bellezza ed il senso anche nei momenti di buio. La scrittura diventa così un atto di liberazione e una via per esplorare l’autenticità delle esperienze umane, senza paura di confrontarsi con la vulnerabilità e l'ignoto.
QUALCHE POESIA:
Parlo/Mi ascolti/Ti guardo/Mi vedi/ Rido /Sei contento/ Ma dove siamo/ In Paradiso/No/ In manicomio.
Questa poesia con la sua brevità e la semplicità dei versi, riesce a esprimere in modo incisivo un forte contrasto tra l’apparente serenità e la complessità del mondo interiore. L'inizio è caratterizzato da un dialogo interpersonale che sembra normale e persino felice, con elementi di connessione ("Mi ascolti", "Ti guardo", "Rido"). Tuttavia, alla fine ci porta a una rivelazione molto diversa, scoprendo che il contesto non è quello idilliaco del Paradiso, ma piuttosto un luogo di confusione e follia, descritto con il termine "manicomio". Questa transizione improvvisa provoca una riflessione profonda sullo stato della mente e sull'illusorietà delle apparenze. La poesia gioca dunque con i temi dell'illusione e della realtà, con il contrasto tra la dimensione esterna (la felicità apparente) e quella interna (la tormenta e la confusione). È un'opera che invita a riflettere sull’autenticità delle nostre esperienze emozionali e sull'importanza di guardare oltre le apparenze.
Ero solo con la corteccia dell’ulivo/ A guardare il lago/ Sul quadrante c’è il confine /Che blocca l’ago magnetico.
Questa poesia evoca un momento di solitudine e introspezione attraverso immagini naturali e simboliche. L’atto di "levare la mano sulla guancia" suggerisce una riflessione interiore, come se l'autore stesse cercando di raccogliere i propri pensieri o emozioni. La scelta di un ulivo, pianta simbolica di pace e resilienza, suggerisce una connessione profonda con la natura e le sue radici.
Il lago, che di solito rappresenta calma e serenità, potrebbe anche alludere a una profondità di emozioni da esplorare. Il "quadrante" e il "confine" fanno pensare a misure e limiti, come se l'autore stesse cercando di navigare tra ciò che è reale e ciò che è interiore, con l’immagine dell’ago magnetico che si blocca, rimandando a una certa immobilità o indecisione.
In sintesi, la poesia invita a una riflessione sul confine tra il mondo esterno e quello interiore, utilizzando la natura come specchio delle nostre emozioni e dei nostri pensieri più profondi. La bellezza di queste immagini sta nella loro capacità di evocare sensazioni universali di ricerca e scoperta di sé.
Oslo è bella/ Come zia Giacomina / Che tira la corda /Alla luna/ E fa pipì
Questa poesia gioca con immagini surreali e un senso di umorismo innocente. L'uso del nome "Oslo" e l'associazione con "zia Giacomina" creano un contrasto sorprendente e affettuoso, suggerendo la bellezza della città in modo ingegnoso. L'atto di "tirare la corda alla luna" evoca una certa magia e leggerezza, mentre la scena finale, inaspettata e giocosa, porta con sé una dose di ilarità. Questa combinazione di elementi rende la poesia vivace e originale, invitando il lettore a riflettere sulla bellezza e l'assurdità della vita. L'associazione tra la bellezza di un luogo e un momento così umano e bizzarro ci invita a guardare il mondo con uno sguardo diverso, celebrando la gioia nelle piccole e strambe situazioni quotidiane.
Saltellando / Tra un piede /E l’altro / Ho scoperto / Le dita della mano
La poesia "Saltellando" sembra invitare il lettore a riflettere su una connessione inaspettata tra il movimento e la percezione. Il saltellare, un'azione leggera e giocosa, è accompagnato dall'immagine delle dita della mano, che suggerisce un'interazione tra il corpo e l'anima. Il contrasto tra "un piede e l’altro" e "le dita della mano" evoca l'idea di esplorazione, come se il soggetto stesse scoprendo nuovi aspetti di sé stesso mentre gioca con il proprio corpo. Le didascalie corporee possono rappresentare una forma di libertà e di scoperta interiore. Inoltre, la semplicità dei versi comunica una certa freschezza e spontaneità, tipica del gioco infantile, facendo vibrare in chi legge un senso di meraviglia e curiosità. In sintesi, questa poesia, pur nella sua brevità, riesce a trasmettere un messaggio profondo: la bellezza delle piccole scoperte quotidiane e l’armonia tra movimento e coscienza.
Disteso e rilasciato/ Ti ascolto/Come un soldato/Attenti/ E’ arrivato il sergente/ Con la cravatta / E una siringa in mano
La poesia "Disteso e rilasciato" presenta un'immagine forte e evocativa, giocando su contrasti tra il tono di attesa e la violenza implicita in un'immagine come quella di un sergente con una siringa. Il primo verso, "Ti ascolto", può suggerire un momento di vulnerabilità e apertura, mentre l'immagine del "soldato attenti" implica disciplina, controllo e, in un certo senso, una perdita di libertà personale. La figura del sergente rappresenta l’autorità e il comando, portando con sé la tensione della situazione. La cravatta e la siringa in mano sono simboli potenti: la cravatta è tipica di chi occupa posizioni di comando e formalità, mentre la siringa evoca connotazioni più inquietanti, di manipolazione o di coercizione. Questa dualità crea un'atmosfera di disagio e vulnerabilità, in cui i temi del controllo, della subordinazione e della perdita dell'autonomia emergono con forza. Nel complesso, la poesia invita a riflettere su temi di autorità e resa, rappresentando un momento di confronto tra il soggetto e la forza esterna, incapsulando una tensione che potrebbe essere interpretata in molti modi, dall’esperienza militare a dinamiche più personali e quotidiane. È un'opera che stimola il lettore a considerare oltre le parole, esplorando il sotto testo emotivo e sociale che essa porta con sé.