Lecco perduta/458: il borgo avrebbbe potuto diventare veneziano?

La devozione a Santa Lucia il 13 dicembre resiste al tempo che passa nella parrocchia lecchese di Acquate. Si è rinnovata anche quest’anno una tradizione antica di secoli, una festa veneziana arrivata sulle pendici del Resegone dal valico del Passo del Fò e della sosta di mercanti e di carovane con merci nel nucleo agreste di Campo de Boi, allora abitato tutto l’anno, che era l’ultima sosta prima di Acquate.
2_chiesa_acquate.jpg (137 KB)
Come ogni anno per Santa Lucia salgono alla cura di manzoniana memoria fedeli e devoti non solo lecchesi. Il bacio della reliquia all’interno della parrocchiale viene accompagnato da un “giro” sul sagrato dove le bancarelle della festa presentano l’assortito campionario di dolci, palloncini, zucchero filato, croccante ed anche le mele rosse che la santa porta nottetempo. Una passerella che prima della conclusione chiede a genitori e nonni di mettere mano al portafoglio per accontentare i piccoli.
Così la devozione a Santa Lucia trasforma Acquate il 13 dicembre in una cittadella della fede e suscita il revival delle sagre popolari e semplici ma tanto frequentate dalla gente.
Quest’anno, però, sul fronte della storia è tornato un antico interrogativo: Acquate è stata la punta avanzata di una possibile presenza veneziana che sarebbe arrivata sulle rive lacustri del borgo di Lecco, approdo di navi di possibili commerci per tutto il vasto Lario, nonché la Valle Chiavenna e verso i Grigioni. Un interrogativo, quest’ultimo, che è stato riproposto da alcuni dopo che sulla stampa nazionale, in particolare in alcuni quotidiani, nello scorso mese di  agosto è stata data informazione circa la pubblicazione di un volume che riferisce di “azioni coperte della Serenissima condotte non solo in Europa per assicurarsi nuovi mercati e nuove espansioni commerciali di robusto spessore”.
A tale proposito, nel giugno 1967 su un settimanale lecchese Angelo Borghi dedicava un ampio servizio al tema “Lecco avrebbe potuto essere una Venetia piccinina, ma solo gli acquatesi aderirono alla proposta dei veneziani”.
Nel menzionato articolo Angelo Borghi scriveva: “I veneziani lanciarono ai lecchesi una lusinga: ne faremo una “Venezia piccinina”. Questo significava tante cose, dalla potenza agli onori, alla bellezza, ma supponeva anche una possibilità di somiglianza con la città lagunare che Lecco può porre nelle fondamenta in acqua. I colleghi non colsero la lusinga, né bastò l’aperta aderenza di quelli di Acquate”.
3_amanzio_aondio.jpg (235 KB)
Amanzio Aondio, storico di Acquate, cittadino benemerito di Lecco

Qualcosa in materia era stato più volte documentato dal non certo dimenticato Amanzio Aondio, nato ad Acquate nel 1924, deceduto nel 2002. Nel quinto anniversario della scomparsa venne organizzata dal SAE Lecco Club, associazione tra ex colleghi della storica azienda lecchese, arrivata ad annoverare oltre 1600 lavoratori tra il 1965 ed il 1968. La SAE aveva iniziato l’attività in quartiere Acquate nel 1938, subentrando alla fabbrica Milani ed ha terminato il ciclo produttivo nel 1993/1994, dopo aver assunto rilevanza mondiale.
Nel ricordare Amanzio Aondio l’allora segretario del SAE Lecco Club Giancarlo Pozzi ha evidenziato la sua presenza instancabile della vita sociale e parrocchiale di Acquate nonchè il generoso impegno di aver organizzato il ricco archivio storico, con documentazione cartacea di antica data, ed anche con una eccezionale raccolta fotografica. In questo archivio vi sono tracce e documenti che possono confermare che Venezia puntava sull’approdo di Lecco, sul suo porto al termine del grande Lario, che a sua volta era porta spalancata verso fiorenti mercati della Valle Chiavenna e dei Grigioni.
Le celebrazioni dei 1600 anni di Venezia, la cui fondazione risale al 15 marzo dell’anno 421, è stata occasione per ricordare che anche Lecco poteva diventare una “piccola Venezia” sul ramo del Lario dove l’Adda torna ad essere fiume. Il territorio veneziano si fermò sui confini, oltre il Passo del Fò, come oltre la cresta del monte Magnodeno dove sul pendio opposto al lecchese, sopra Maggianico, si possono ancora individuare i cippi dell’antico confine con la Serenissima. Il porto nel borgo di Lecco faceva gola a Venezia per un approdo di importante riferimento logistico di tutta l’alta Lombardia?
Interrogativi che tornano attuali ricordando che nella primavera 1995 approdarono alla Canottieri Lecco le gondole del raid con Venezia. Dopo la frazione Como-Bellagio vi è stata la tappa Bellagio-Lecco. La flotta del raid vedeva due antiche gondole veneziane con il tradizionale ferro di prua, fabbricato anche da fabbri di Premana migrati secoli or sono nella Serenissima. Diverse imbarcazioni della Canottieri presero il largo per il rendez vous” con le gondole all’altezza della punta di Abbadia Lariana. I gondolieri veneziani vennero accolti e festeggiati nella sera alla Canottieri Lecco. Il giorno dopo la flotta veneziana ripartì per la nuova frazione da Lecco a Trezzo d’Adda, una tappa difficile perchè prevedeva superamenti artificiali lungo il corso del fiume, come quello alla diga di Olginate con l’impiego di gru.
Barche del gruppo manzoniano Lucie guidato da Andrea Vigevano con sede ad Onno di Oliveto Lario hanno navigato nelle acque veneziane nella classica remiera Voga Longa. Nell’edizione 1994 è deceduto ai remi della Voga Longa, stroncato da improvviso malore, Roberto Ghislanzoni, trentenne figlio di pescatori di Pescarenico. Era in barca con il cugino Pietro Ghislanzoni, barcaiolo; remavano su uno scafo messo a disposizione della Fiocchi di Belledo e colorato di blu.
Insomma, qualcosa di veneziano si può trovare anche nel territorio di Lecco. Rimane l’interrogativo perché il vecchio borgo sul lago non colse l’occasione per diventare quasi veneziano. Se ci fosse ancora Amanzio Aondio avrebbe potuto aiutarci a capirlo.
A.B.
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.