I signori della guerra sono in preda a incubi di onnipotenza

Nelle strade è il tempo delle luminarie, di proiettori che sparano nei centri urbani sulle facciate delle case immagini oniriche. In qualsiasi piccola o grande piazza, è il tempo delle piste di ghiaccio, delle casettine di legno, degli addobbi, dei trenini, delle giostre, delle luci delle vetrine, dei cannoni per la neve, delle brevi vacanze invernali, della merce colorata, del Prodotto interno lordo, del consacrato democratico mercato globalizzato.
Ricalcando la scrittura dell’Ecclesiaste (3,1-15): “Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire…”. Anche il poeta Paulo Coelho, come nell’Ecclesiaste, individua nell’ambivalenza una concezione dell’inevitabilità della condizione umana: “C'è un tempo per tutte le cose. Un tempo per gemere, un tempo per ballare. Un tempo per scagliare pietre, un tempo per raccogliere sassi. Un tempo per abbracciare, un tempo per separarsi…Un tempo per amare, un tempo per odiare. Un tempo per la guerra, un tempo per la pace”.
Invece, le cose sotto il cielo sono più complesse, non sono così magicamente associabili. Infatti, in questo tempo, sembra che prevalga il momento per uccidere, demolire, piangere, guerreggiare, tirare sassi, gemere, dividere, innalzare simboli di onnipotenza, combattere l’amico-nemico.
È un’illusione esistenziale primitiva, legata al bisogno primario della sopravvivenza, pensare che se accade il male allora ci sarà il bene: è un errore psico-logico necessario che serve per affrontare la condizione angosciante che possa accadere il verificarsi del dolore.
La condizione umana, per esorcizzare le angosce e le paure, ha bisogno di momenti catartici collettivi, sociali indispensabili. La festa, le ricorrenze sono dei momenti collettivi, sociali di inconsapevole condivisione, in cui riconoscersi in un momento regressivo infantile gioioso.
Più c’è nell’aria odore di pericolo, più c’è bisogno di rumore, suoni, saltimbanchi, luminarie, di sognare. C’è un inconscio bisogno onirico che deformi la realtà, che la trasformi, che tolga l’ombra alle facciate delle case e delle piazze, imbrattando il tutto di colori psichedelici liberanti del bene/male.
Più aumenta l’angoscia distruttiva, più c’è bisogno di immergersi tra passanti in un sogno condiviso ipnotizzante, e la città si trasforma nel paese dei balocchi di Pinocchio, ravvivando inconsciamente il sogno onnipotente del mercato.
Se noi possiamo stenderci sul divano dello strizza cervelli e raccontare sogni, paure e sfinirci in una città deformata dall’esuberanza delle merci, Altri sono costretti a dormire sulla secca o umida terra. Per costoro, sognare è impossibile. Sognare è un diritto umano. Si può sognare o far festa solo se ci sono condizioni di benessere.
Se prevale Thanatos su Eros, l’angoscia distruttiva impedisce l’atto catartico di sognare: il sogno deve fare i conti con la libertà. Si sogna solo se si è liberi.
I signori del vapore che stanno giocando alla guerra paralizzando e terrorizzando il mondo, sono in preda a incubi di onnipotenza distruttiva e hanno dimenticato Eros sulla via di Corinto.
Dr. Enrico Magni, Psicologo, giornalista
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