Contattano una donna via social fingendosi un sergente in Israele e le spillano quasi 93mila €. Tre nigeriani a giudizio
Avrebbero contattato - attraverso Facebook - una donna di 74 anni, spacciandosi per un sergente impegnato in una missione di pace in Israele. Una vera e propria truffa quella che tre giovani di origine nigeriana residenti rispettivamente a Calolziocorte, Abbadia e Lecco, avrebbero ordito ai danni della vittima, un'anziana di origine balcanica residente in provincia di Udine. Fatti risalenti ad un periodo compreso fra il 2020 e il 2021 e di cui oggi sono chiamati a rispondere in Tribunale a Lecco.
Si è svolta infatti stamani, al cospetto del giudice Angelo Parisi, l'udienza predibattimentale nei confronti dei tre - nati fra il 1989 e il 1996 - che con artifizi e raggiri e in concorso fra loro, avrebbero spillato alla donna una cifra da capogiro, pari a quasi 93mila euro.
Quest'ultima nella primavera 2020 sarebbe stata contattata via social da un sedicente esponente dell'Esercito; una chiacchierata dopo l'altra, fra i due sarebbe nata una sorta di relazione online. Perlomeno era questo il convincimento della donna, convinta di avere a che fare con una persona in carne e ossa.
In uno dei messaggi inviati via chat, il fantomatico militare qualche tempo più tardi avrebbe chiesto alla signora la possibilità di far giungere al suo domicilio un pacco contenente una trentina di assegni di liquidazione relativi ai suoi oltre trent'anni di lavoro. Lui, che si apprestava a lasciare Israele, l'avrebbe poi raggiunta per entrare in possesso dell'importante oggetto della spedizione e magari chissà, anche per vivere a pieno quella relazione rimasta sino a quel momento incardinata nel mondo virtuale.
La donna, molto probabilmente colpita in positivo dalle attenzioni riservatele da quello che credeva essere un importante ufficiale impegnato all'estero, ha acconsentito, fornendogli il proprio indirizzo di casa. Qui attendeva il pacco che però, nei fatti, non è mai arrivato. Al contrario nei giorni successivi la parte offesa ha iniziato ad essere letteralmente bombardata da email - perlopiù scritte in lingua inglese - che l'avvisavano di un problema doganale: in sostanza il pacco che attendeva era bloccato.
Da qui la richiesta da parte dell'inesistente sergente- e dunque dei tre imputati, perlomeno secondo la ricostruzione della Procura - di provvedere ad effettuare dei bonifici, nel tentativo di sistemare le problematiche sorte pagando alcune somme di denaro, così da far giungere a destinazione il pacco perduto.
Sottoposta ad un evidente raggiro, la vittima sarebbe stata indotta ad effettuare un totale di ventisei pagamenti nei confronti di quattordici intestatari diversi, versando appunto la somma totale di 92.800 euro. Per far fronte alle continue richieste peraltro, la denunciante si sarebbe trovata costretta a vendere la propria abitazione, secondo la formula della nuda proprietà, in maniera tale da potere perlomeno continuare a viverci.
Ad un certo punto, impossibilitata a far fronte ad altri pagamenti e forse consapevole di essere incappata in una truffa, la donna si sarebbe dunque rivolta alle autorità per denunciare l'accaduto; gli accertamenti condotti hanno dunque portato ai tre nigeriani ''di stanza'' nel lecchese, intestatari dei conti correnti sui quali sono confluite le ingenti risorse. Stralciata in fase di indagine, la posizione di un quarto soggetto, anch'egli originario dello stato africano.
Stamani l'udienza al cospetto del giudice Parisi non è durata che pochi minuti. Preso atto dell'irreperibilità di uno degli imputati - difesi dagli avvocati Michelle Vavassori, Caterina Busellu e Riccardo Cavallaro (oggi sostituito dal collega Lorenzo Magni) - il procedimento è stato aggiornato al 4 febbraio prossimo.
Si è svolta infatti stamani, al cospetto del giudice Angelo Parisi, l'udienza predibattimentale nei confronti dei tre - nati fra il 1989 e il 1996 - che con artifizi e raggiri e in concorso fra loro, avrebbero spillato alla donna una cifra da capogiro, pari a quasi 93mila euro.
Quest'ultima nella primavera 2020 sarebbe stata contattata via social da un sedicente esponente dell'Esercito; una chiacchierata dopo l'altra, fra i due sarebbe nata una sorta di relazione online. Perlomeno era questo il convincimento della donna, convinta di avere a che fare con una persona in carne e ossa.
In uno dei messaggi inviati via chat, il fantomatico militare qualche tempo più tardi avrebbe chiesto alla signora la possibilità di far giungere al suo domicilio un pacco contenente una trentina di assegni di liquidazione relativi ai suoi oltre trent'anni di lavoro. Lui, che si apprestava a lasciare Israele, l'avrebbe poi raggiunta per entrare in possesso dell'importante oggetto della spedizione e magari chissà, anche per vivere a pieno quella relazione rimasta sino a quel momento incardinata nel mondo virtuale.
La donna, molto probabilmente colpita in positivo dalle attenzioni riservatele da quello che credeva essere un importante ufficiale impegnato all'estero, ha acconsentito, fornendogli il proprio indirizzo di casa. Qui attendeva il pacco che però, nei fatti, non è mai arrivato. Al contrario nei giorni successivi la parte offesa ha iniziato ad essere letteralmente bombardata da email - perlopiù scritte in lingua inglese - che l'avvisavano di un problema doganale: in sostanza il pacco che attendeva era bloccato.
Da qui la richiesta da parte dell'inesistente sergente- e dunque dei tre imputati, perlomeno secondo la ricostruzione della Procura - di provvedere ad effettuare dei bonifici, nel tentativo di sistemare le problematiche sorte pagando alcune somme di denaro, così da far giungere a destinazione il pacco perduto.
Sottoposta ad un evidente raggiro, la vittima sarebbe stata indotta ad effettuare un totale di ventisei pagamenti nei confronti di quattordici intestatari diversi, versando appunto la somma totale di 92.800 euro. Per far fronte alle continue richieste peraltro, la denunciante si sarebbe trovata costretta a vendere la propria abitazione, secondo la formula della nuda proprietà, in maniera tale da potere perlomeno continuare a viverci.
Ad un certo punto, impossibilitata a far fronte ad altri pagamenti e forse consapevole di essere incappata in una truffa, la donna si sarebbe dunque rivolta alle autorità per denunciare l'accaduto; gli accertamenti condotti hanno dunque portato ai tre nigeriani ''di stanza'' nel lecchese, intestatari dei conti correnti sui quali sono confluite le ingenti risorse. Stralciata in fase di indagine, la posizione di un quarto soggetto, anch'egli originario dello stato africano.
Stamani l'udienza al cospetto del giudice Parisi non è durata che pochi minuti. Preso atto dell'irreperibilità di uno degli imputati - difesi dagli avvocati Michelle Vavassori, Caterina Busellu e Riccardo Cavallaro (oggi sostituito dal collega Lorenzo Magni) - il procedimento è stato aggiornato al 4 febbraio prossimo.
G.C.