In viaggio a tempo indeterminato/356: scioccati e straniti a Bali
Ah, Bali. Quell'isola che ormai conosciamo tutti. I fiori di frangipane che galleggiano su una piscina, i templi con le risaie sullo sfondo, la frutta succosa nelle ciotole con la granola, i surfisti che fanno yoga sulle spiagge dorate, tra un'onda e l'altra. Sono queste le immagini che si creano nella mia testa quando penso a questa pezzettino di terra. Un angolo di paradiso che i social hanno mostrato talmente tanto da farmi pensare di conoscerla già bene Bali.
È un po' l'effetto che fa New York. Quando la visiti ti sembra di esserci già stato perché l'hai vista in moltissimi film e serie TV.
Per Bali vale la stessa cosa, solo che a mostrarla, lodarla e quasi osannarla, non sono stati i "media tradizionali" ma i social.
Dai reel patinati di Instagram, ai tormentoni di Tiktok, passando per i video YouTube che hanno cercato anche di mostrare i lati scuri di quest'isola che per anni è stata dipinta solo con colori vivaci e allegri.
Nel nostro programma di viaggio, Bali l'abbiamo lasciata per ultima e alla fine le abbiamo dedicato solo pochi giorni.
Quelli che sono bastati per rimanere scioccati e straniti.
Per cominciare, bisogna dire che Bali è un'anomalia geografica e culturale. Mentre la maggior parte dell'Indonesia è di religione musulmana, Bali è un'isola al 90% indù.
Un fatto che la rende"speciale" in un Paese che è famoso per le sue moschee, non certo per i suoi templi.
E questo non è affatto un elemento di poco conto, anzi, va ad influire pesantemente sull'atteggiamento di chi la visita.
L'impressione che ho subito avuto, è che a Bali tutto sia concesso, indipendentemente dal fatto che si possa mancare di rispetto alla cultura locale.
Non che l'aspetto spirituale sia assente, anzi.
Tra danze tradizionali e offerte di fiori, l'atmosfera religiosa è palpabile, ma spesso è proprio questa che diventa un set per la ricerca spasmodica di un'esperienza "genuina".
Passeggiando per le strade di Kuta, la città più vicina all'aeroporto internazionale dell'isola, i templi con gli incensi e le offerte di fiori si alternano ai negozi di souvenir dove in vendita si trovano adesivi con frasi sessiste, omofobe e razziste.
"Cosa ne pensi di questi adesivi?" chiediamo a un signore seduto davanti al suo negozio.
"Gli australiani le comprano e io ci guadagno. Sono strani gli australiani" ci risponde lui con una smorfia a metà tra il disgustato e il rassegnato.
E in effetti, guardandoci intorno, tra persone che camminano scalze e entrano nei negozi in costume da bagno, "strani" è forse l'aggettivo più adatto.
Devo essere sincera, mi sono sentita assolutamente fuori luogo a Kuta. Una sensazione che nei 4 mesi in Indonesia non avevo ancora mai provato.
Mi è sembrato di assistere a una sorta di colonizzazione 2.0 fatta non con le armi e la forza, ma con le discoteche, i ristoranti di cibo vegan-detox e i centri massaggi con l'"Happy ending".
Le giornate passate a Kuta mi hanno fatto riflettere molto sul potere che hanno i social media.
Spesso, ma per fortuna non sempre, mostrano solo un dettaglio sfocando lo sfondo.
Si mostra la signora in abito tradizionale che scalza entra in un tempio, ma la strada trafficata che ha dovuto attraversare per arrivarci sparisce.
La foto di risaie verdissime fa dimenticare l'immondizia accatastata ai lati delle strade.
L'invitante immagine di un'insalata macrobiotica mai farebbe pensare che nel locale accanto ragazze troppo giovani intrattengono uomini troppo maturi.
Lo so, "il mondo va così", direbbe qualcuno.
Ma la domanda mi sorge spontanea, perché Bali, una delle 17.000 isole che formano l'Indonesia, è diventata il regno del turismo che "non vuole sembrare turismo", ma che ormai è tutto fuorché autentico?
Sembra sia diventata la meta prediletta per un popolo che cerca il "vero", ma che alla fine finisce per cercare la versione confezionata del "vero".
"Io sono musulmana e da Bali me ne sono dovuta andare" ci confessa una signora incontrata a Solo, una città sull'isola di Java.
"Mi mancavano di rispetto vedendomi con il velo. Penso che i turisti occidentali siano troppo rudi e irrispettosi."
Ci dice dispiaciuta.
"Lo so, non è bello da dire. Scusatemi!" ci tiene poi a smorzare i toni, sfoggiando uno di quei bei sorrisi calorosi che ci hanno accompagnato in tutto il nostro viaggio in Indonesia.
Non so perché Bali sia stata scelta come meta per questo tipo di turismo, forse le onde per il surf e le lunghe spiagge hanno contribuito.
Forse sono state la pacatezza e l'accoglienza gentile dei suoi abitanti o l'atmosfera spirituale che pervade l'isola.
Quello che so per certo è che abbiamo l'enorme fortuna di poter viaggiare e vedere le diverse realtà che rendono meraviglioso questo nostro mondo.
E poi ognuno potrà scegliere quale luogo fa più al caso suo, o per dirla come direbbe un guru motivazionale seduto su una spiaggia di Bali: quale luogo risuona più con le sue energie.
È un po' l'effetto che fa New York. Quando la visiti ti sembra di esserci già stato perché l'hai vista in moltissimi film e serie TV.
Per Bali vale la stessa cosa, solo che a mostrarla, lodarla e quasi osannarla, non sono stati i "media tradizionali" ma i social.
Dai reel patinati di Instagram, ai tormentoni di Tiktok, passando per i video YouTube che hanno cercato anche di mostrare i lati scuri di quest'isola che per anni è stata dipinta solo con colori vivaci e allegri.
Nel nostro programma di viaggio, Bali l'abbiamo lasciata per ultima e alla fine le abbiamo dedicato solo pochi giorni.
Quelli che sono bastati per rimanere scioccati e straniti.
Per cominciare, bisogna dire che Bali è un'anomalia geografica e culturale. Mentre la maggior parte dell'Indonesia è di religione musulmana, Bali è un'isola al 90% indù.
Un fatto che la rende"speciale" in un Paese che è famoso per le sue moschee, non certo per i suoi templi.
E questo non è affatto un elemento di poco conto, anzi, va ad influire pesantemente sull'atteggiamento di chi la visita.
L'impressione che ho subito avuto, è che a Bali tutto sia concesso, indipendentemente dal fatto che si possa mancare di rispetto alla cultura locale.
Non che l'aspetto spirituale sia assente, anzi.
Tra danze tradizionali e offerte di fiori, l'atmosfera religiosa è palpabile, ma spesso è proprio questa che diventa un set per la ricerca spasmodica di un'esperienza "genuina".
Passeggiando per le strade di Kuta, la città più vicina all'aeroporto internazionale dell'isola, i templi con gli incensi e le offerte di fiori si alternano ai negozi di souvenir dove in vendita si trovano adesivi con frasi sessiste, omofobe e razziste.
"Cosa ne pensi di questi adesivi?" chiediamo a un signore seduto davanti al suo negozio.
"Gli australiani le comprano e io ci guadagno. Sono strani gli australiani" ci risponde lui con una smorfia a metà tra il disgustato e il rassegnato.
E in effetti, guardandoci intorno, tra persone che camminano scalze e entrano nei negozi in costume da bagno, "strani" è forse l'aggettivo più adatto.
Devo essere sincera, mi sono sentita assolutamente fuori luogo a Kuta. Una sensazione che nei 4 mesi in Indonesia non avevo ancora mai provato.
Mi è sembrato di assistere a una sorta di colonizzazione 2.0 fatta non con le armi e la forza, ma con le discoteche, i ristoranti di cibo vegan-detox e i centri massaggi con l'"Happy ending".
Le giornate passate a Kuta mi hanno fatto riflettere molto sul potere che hanno i social media.
Spesso, ma per fortuna non sempre, mostrano solo un dettaglio sfocando lo sfondo.
Si mostra la signora in abito tradizionale che scalza entra in un tempio, ma la strada trafficata che ha dovuto attraversare per arrivarci sparisce.
La foto di risaie verdissime fa dimenticare l'immondizia accatastata ai lati delle strade.
L'invitante immagine di un'insalata macrobiotica mai farebbe pensare che nel locale accanto ragazze troppo giovani intrattengono uomini troppo maturi.
Lo so, "il mondo va così", direbbe qualcuno.
Ma la domanda mi sorge spontanea, perché Bali, una delle 17.000 isole che formano l'Indonesia, è diventata il regno del turismo che "non vuole sembrare turismo", ma che ormai è tutto fuorché autentico?
Sembra sia diventata la meta prediletta per un popolo che cerca il "vero", ma che alla fine finisce per cercare la versione confezionata del "vero".
"Io sono musulmana e da Bali me ne sono dovuta andare" ci confessa una signora incontrata a Solo, una città sull'isola di Java.
"Mi mancavano di rispetto vedendomi con il velo. Penso che i turisti occidentali siano troppo rudi e irrispettosi."
Ci dice dispiaciuta.
"Lo so, non è bello da dire. Scusatemi!" ci tiene poi a smorzare i toni, sfoggiando uno di quei bei sorrisi calorosi che ci hanno accompagnato in tutto il nostro viaggio in Indonesia.
Non so perché Bali sia stata scelta come meta per questo tipo di turismo, forse le onde per il surf e le lunghe spiagge hanno contribuito.
Forse sono state la pacatezza e l'accoglienza gentile dei suoi abitanti o l'atmosfera spirituale che pervade l'isola.
Quello che so per certo è che abbiamo l'enorme fortuna di poter viaggiare e vedere le diverse realtà che rendono meraviglioso questo nostro mondo.
E poi ognuno potrà scegliere quale luogo fa più al caso suo, o per dirla come direbbe un guru motivazionale seduto su una spiaggia di Bali: quale luogo risuona più con le sue energie.
Angela (e Paolo)