In viaggio a tempo indeterminato/354: qui non ci si annoia affatto
“Che a stare ferma a me mi viene
la noia”
Recitava una canzone tormentone di qualche tempo fa.
Ma devo ammettere che qui in Indonesia negli ultimi 3 e più mesi non ci siamo affatto annoiati, anzi. Credo che sia una delle rarissime volte in cui troviamo un Paese che in realtà è un insieme di Paesi molto diversi tra loro. Usano tutti la stessa moneta e mangiano tutti cibo decisamente troppo dolce e piccante, ma passando da un’isola all’altra sembra di attraversare un confine. Come se si leggessero capitoli diversi dello stesso libro lungo migliaia di pagine e che sulla copertina ha scritto in grassetto: INDONESIA.
Il primo capitolo intitolato “Sulawesi”, ci ha portato a diventare testimoni di riti ancestrali come quelli funerari dei Toraja che vivono tra i monti. Ma ci ha anche permesso di connetterci in modo profondo con una popolazione, quella dei badjo, la cui vita è in simbiosi con il mare.
Atterrare in Kalimantan è stato il colpo di scena che ci si aspetta in ogni romanzo. Quello che arriva prepotente e inaspettato e che cerca di rompere l'idillio. Lì, nel cuore di una delle foreste più antiche del mondo, ci siamo abbandonati al ritmo lentissimo della natura per scoprire che in realtà nascondeva una ferita profonda.
E poi è arrivato il terzo capitolo, o sarebbe meglio dire il terzo atto. Quello che chiude la storia e mostra il cambiamento che tutta quell'esperienza ha portato nel personaggio.
"Java, il cuore dell'Indonesia"
Se tutto il viaggio fosse un libro, sarebbe questo il titolo del capitolo finale.
L'isola più popolosa e sviluppata dell'intero Paese, si muove al ritmo dello sbuffare dei suoi vulcani e custodisce i segreti del passato.
Sbarcare su questo pezzetto di terra mi ha frastornato.
Ad accoglierci una città immensa, Surabaya, caotica ma affascinante. Una marea di stimoli che hanno riacceso i nostri sensi placatisi durante il viaggio in Kalimantan.
Ci siamo ritrovati a camminare in un bazar arabo tra scatole di datteri e stoffe ricamate, come fosse una qualunque giornata di viaggio in Turchia o in Iran.
Abbiamo sorriso sotto un gigantesco dragone rosso ripensando a quelli visti in Cina durante il capodanno cinese.
E alla fine ci siamo sentiti spaesati camminando in mezzo ai boulevard, tra palazzi bianchi con i tetti spioventi che ci hanno catapultato nel nord Europa.
È stato come ritrovare tutto il meraviglioso caos del mondo in un'unica città.
Il primo paragrafo di questo terzo atto si è aperto così, con profumi, suoni e sapori forti e decisi. E ci è sembrato di risvegliarci improvvisamente da un torpore. Come se vedessimo di nuovo tutto a colori, dopo le crude e tristi realtà del capitolo precedente che aveva attenuato anche i colori vivi e intensi della giungla.
Ma si sbaglia se si pensa che il finale del libro "INDONESIA" sia in discesa, anzi.
È proprio la salita la parola chiave di questo ultimo atto.
Non solo una salita in senso metaforico ma anche e soprattutto in senso fisico.
La scalata al monte Bromo è sicuramente il fulcro di questa ultima parte. È l'avventura che non scorderemo mai perché racchiude paura, timore reverenziale, entusiasmo, gioia, fatica e orgoglio. Il tutto condito da quintali di sabbia nera che si infila ovunque e dal borbottio costante di un vulcano attivo.
Il monte Bromo, 2329 metri di altezza. È no dei vulcani più attivi del Paese ma è soprattutto un simbolo.
Mi ricordo ancora la prima volta che avevo visto la copertina della guida Lonely Planet con la foto dell'alba al monte Bromo. Avevo pensato che quel posto, con il cielo rosa a fare da sfondo a un cratere sbuffante e a montagne di forma conica, in realtà non esistesse. Ero convinta che qualcuno di molto bravo avesse usato Photoshop per ritoccare l'immagine.
Sembrava una foto scattata su un altro Pianeta, tipo Marte o Giove.
Mamma mia come mi sbagliavo.
Quell'immagine era solo una rappresentazione fedele di un luogo reale e "terreste".
Bromo, un vulcano attivo, ma anche un luogo di pellegrinaggio che prende il nome dal dio induista Brahma, colui che ha creato l'universo. Sembra davvero appartenere a un altro Pianeta o a un'altra dimensione spazio temporale.
E devo ammettere che vederlo da lontano mi ha dato la sensazione di osservare la copertina di quella guida. Tutto sembrava immobile, lento e silenzioso, proprio come in una foto.
È solo dopo averlo scalato, con il forte vento in faccia e i dolori alle gambe che combattono per non sprofondare nella sabbia nera, che mi sono accorta di quanto in realtà quel paesaggio fosse vivo.
Non scorderò mai il momento in cui mi sono affacciata sul cratere e ho sentito quel brontolio profondo, viscerale.
L'odore pungente di zolfo e le nuvole di fumo rendevano difficile respirare ma per qualche istante mi è sembrato che i battiti affannosi del mio cuore si sincronizzasero con quei suoni che provenivano dal cuore della terra.
Ero talmente immersa in quella meraviglia da esserne parte ma allo stesso tempo mi sentivo così minuscola e impotente.
Come se in quel momento, sulla cima di quel vulcano attivo, io potessi percepire la forza che guida ogni cosa.
la noia”
Recitava una canzone tormentone di qualche tempo fa.
Ma devo ammettere che qui in Indonesia negli ultimi 3 e più mesi non ci siamo affatto annoiati, anzi. Credo che sia una delle rarissime volte in cui troviamo un Paese che in realtà è un insieme di Paesi molto diversi tra loro. Usano tutti la stessa moneta e mangiano tutti cibo decisamente troppo dolce e piccante, ma passando da un’isola all’altra sembra di attraversare un confine. Come se si leggessero capitoli diversi dello stesso libro lungo migliaia di pagine e che sulla copertina ha scritto in grassetto: INDONESIA.
Il primo capitolo intitolato “Sulawesi”, ci ha portato a diventare testimoni di riti ancestrali come quelli funerari dei Toraja che vivono tra i monti. Ma ci ha anche permesso di connetterci in modo profondo con una popolazione, quella dei badjo, la cui vita è in simbiosi con il mare.
Atterrare in Kalimantan è stato il colpo di scena che ci si aspetta in ogni romanzo. Quello che arriva prepotente e inaspettato e che cerca di rompere l'idillio. Lì, nel cuore di una delle foreste più antiche del mondo, ci siamo abbandonati al ritmo lentissimo della natura per scoprire che in realtà nascondeva una ferita profonda.
E poi è arrivato il terzo capitolo, o sarebbe meglio dire il terzo atto. Quello che chiude la storia e mostra il cambiamento che tutta quell'esperienza ha portato nel personaggio.
"Java, il cuore dell'Indonesia"
Se tutto il viaggio fosse un libro, sarebbe questo il titolo del capitolo finale.
L'isola più popolosa e sviluppata dell'intero Paese, si muove al ritmo dello sbuffare dei suoi vulcani e custodisce i segreti del passato.
Sbarcare su questo pezzetto di terra mi ha frastornato.
Ad accoglierci una città immensa, Surabaya, caotica ma affascinante. Una marea di stimoli che hanno riacceso i nostri sensi placatisi durante il viaggio in Kalimantan.
Ci siamo ritrovati a camminare in un bazar arabo tra scatole di datteri e stoffe ricamate, come fosse una qualunque giornata di viaggio in Turchia o in Iran.
Abbiamo sorriso sotto un gigantesco dragone rosso ripensando a quelli visti in Cina durante il capodanno cinese.
E alla fine ci siamo sentiti spaesati camminando in mezzo ai boulevard, tra palazzi bianchi con i tetti spioventi che ci hanno catapultato nel nord Europa.
È stato come ritrovare tutto il meraviglioso caos del mondo in un'unica città.
Il primo paragrafo di questo terzo atto si è aperto così, con profumi, suoni e sapori forti e decisi. E ci è sembrato di risvegliarci improvvisamente da un torpore. Come se vedessimo di nuovo tutto a colori, dopo le crude e tristi realtà del capitolo precedente che aveva attenuato anche i colori vivi e intensi della giungla.
Ma si sbaglia se si pensa che il finale del libro "INDONESIA" sia in discesa, anzi.
È proprio la salita la parola chiave di questo ultimo atto.
Non solo una salita in senso metaforico ma anche e soprattutto in senso fisico.
La scalata al monte Bromo è sicuramente il fulcro di questa ultima parte. È l'avventura che non scorderemo mai perché racchiude paura, timore reverenziale, entusiasmo, gioia, fatica e orgoglio. Il tutto condito da quintali di sabbia nera che si infila ovunque e dal borbottio costante di un vulcano attivo.
Il monte Bromo, 2329 metri di altezza. È no dei vulcani più attivi del Paese ma è soprattutto un simbolo.
Mi ricordo ancora la prima volta che avevo visto la copertina della guida Lonely Planet con la foto dell'alba al monte Bromo. Avevo pensato che quel posto, con il cielo rosa a fare da sfondo a un cratere sbuffante e a montagne di forma conica, in realtà non esistesse. Ero convinta che qualcuno di molto bravo avesse usato Photoshop per ritoccare l'immagine.
Sembrava una foto scattata su un altro Pianeta, tipo Marte o Giove.
Mamma mia come mi sbagliavo.
Quell'immagine era solo una rappresentazione fedele di un luogo reale e "terreste".
Bromo, un vulcano attivo, ma anche un luogo di pellegrinaggio che prende il nome dal dio induista Brahma, colui che ha creato l'universo. Sembra davvero appartenere a un altro Pianeta o a un'altra dimensione spazio temporale.
E devo ammettere che vederlo da lontano mi ha dato la sensazione di osservare la copertina di quella guida. Tutto sembrava immobile, lento e silenzioso, proprio come in una foto.
È solo dopo averlo scalato, con il forte vento in faccia e i dolori alle gambe che combattono per non sprofondare nella sabbia nera, che mi sono accorta di quanto in realtà quel paesaggio fosse vivo.
Non scorderò mai il momento in cui mi sono affacciata sul cratere e ho sentito quel brontolio profondo, viscerale.
L'odore pungente di zolfo e le nuvole di fumo rendevano difficile respirare ma per qualche istante mi è sembrato che i battiti affannosi del mio cuore si sincronizzasero con quei suoni che provenivano dal cuore della terra.
Ero talmente immersa in quella meraviglia da esserne parte ma allo stesso tempo mi sentivo così minuscola e impotente.
Come se in quel momento, sulla cima di quel vulcano attivo, io potessi percepire la forza che guida ogni cosa.
Angela (e Paolo)