Lecco: la fede cantata dal poeta Turoldo nel libro del sindaco di Varenna
Inserire nei nuovi breviari in fase di revisione, quello del rito romano e quello ambrosiano, alcuni degli inni di padre David Maria Turoldo. E’ l’auspicio arrivato dalla presentazione del libro “L’innario turoldiano” scritto da Mauro Manzoni, insegnante di religione e da sette anni sindaco di Varenna, avvenuta alla biblioteca civica di Lecco ieri sera.Si tratta di uno studio sugli inni liturgici tradotti e scritti dal carismatico sacerdote friulano, alla guida della comunità di Fontanelle nella Bergamasca e con molti legami anche nel Lecchese.
Al tavolo dei relatori, oltre allo stesso autore, c’erano padre Giovanni Battista Magoni (direttore della casa editrice “Ancora” che ha appunto pubblicato il libro di Manzoni), monsignor Claudio Magnoli (docente e canonico del Duomo di Milano) nonché il prevosto lecchese monsignor Bortolo Uberti. A moderare, fratel Lino Breda, una lunga “militanza” nella comunità di Bose ma soprattutto amico di Manzoni.
Dopo il saluto della direttrice della biblioteca Simona Sanna che ha sottolineato come si stia lavorando per fare della biblioteca “Pozzoli” un punto di riferimento della cultura in città, è stato proprio fratel Lino a chiedersi cosa sia stato padre Turoldo, tratteggiandone quindi il ritratto di «un uomo caratterizzato da un’insurrezione di libertà indomita» ricordando quanto di lui è stato detto. Da padre Camillo De Piaz: «Era una personalità rumorosa, fa rumore anche quando pensa». Dal cardinale Gianfranco Ravasi: «Aveva una voce da cattedrale e da deserto. Dal giornalista Luigi Accattoli: «Quando in un inno trovate la parola “fuoco”, probabilmente c’è di mezzo la penna di Turoldo».
Don Breda ha parlato di un uomo che ha sempre lottato contro la tiepidezza, era un appassionato. Nella Chiesa ha anche sofferto, è stato esiliato, ma non la Chiesa non l’ha mai abbandonata» E in quanto agli inni, oggetto del libro, «ha liberato la parola biblica dal suo esilio».
Nel presentare il suo lavoro, Mauro Manzoni ha poi ricordato come tutto sia cominciato, ventidue anni fa, nel 2002, in occasione di uno dei quasi quotidiani ritorni in treno da Milano a Varenna: «Ho comprato la rivista “Servitium” con un servizio per il decennale della morte di Turoldo. Io fino ad allora non avevo mai amato la poesia. Ma da quel momento non ho più abbandonato Turoldo. E con questo libro ho voluto scandagliare più a fondo una parte dell’opera di Turoldo forse meno conosciuta, quella degli inni liturgici. La liturgia aveva un ruolo fondamentale per Turoldo, non la disdegnava. Ma non si limitava alla tradizione, ha prodotto testi nuovi: era un nuovo stile per rivolgersi all’uomo contemporaneo».
La ricerca – ha continuato – ha voluto porre l’accento sull’aspetto storico, leggendo gli inni guardando alle vicende personali di Turoldo ma anche al contesto ecclesiale dell’epoca. Guardando poi alla storia dell’inno nella tradizione cristiana, «ho voluto indagare l’origine della passione di Turoldo per questo genere di componimento che l’ha portato a comporre migliaia di inni. Ho rivolto l’attenzione su quelli più belli e originali: il ciclo dell’incarnazione per il periodo dell’avvento e del Natale. Gli inni più antichi sono ancora bellissimi, ma magari all’uomo d’oggi non dicono molto».
«La poesia – le parole di padre Giovanni Battista Magoni – interviene nella liturgia e la nobilita» e ha sottolineato come gli inni di Turoldo nascono dalla riforma del Concilio Vaticano II: «E’ da lì che ha cominciato a lavorare e lo hanno anche picchiato sulle orecchie, costretto all’esilio». La decisione dell’editrice “Ancora” di pubblicare il libro di Manzoni ha due ragioni, entrambe derivanti da messaggi di papa Francesco: uno sulla promozione della teologia e l’altro sull’importanza della letteratura. Nel primo caso, «la gente si chiede che oggi capisca la teologia», ne occorre dunque una che «buchi lo schermo», un nuovo linguaggio che è un interrogarsi sul come dire “Dio” oggi ed è quindi necessaria una teologia che sappia andare incontro all’uomo. Nel secondo caso, il tema è quello dell’importanza della letteratura, di tutta la letteratura, per aprire lo spirito. «E Turoldo è nella letteratura della bellezza. E dunque: una teologia che sposi l’umano e una letteratura che nobiliti lo spirito».
E ciò sono gli inni di Turoldo, «alcuni sono straordinari» e perciò l’invito a inseririrli nei breviari riformati.
Monsignor Magnoli si è invece soffermato sui rapporti di Turoldo con il rito ambrosiano: lui friulano, entrato in contatto con il rito ambrosiano al suo arrivo a Milano mantenendone poi rapporti anche quando si trasferì a Firenze e successivamente nell’esperienza di Fontanelle. E questi legami ambrosiani emergono proprio dagli Inni. E la lettura del libro di Manzoni «mi ha aperto gli occhi su una realtà a me fino a oggi quasi sconosciuta» anche se «non so se la richiesta di Magoni troverà accoglienza».
Da parte sua, don Bortolo Uberti ha detto di non intervenire in qualità di prevosto di Lecco o di “perledese” e pertanto legato a Varenna, bensì «per la riconoscenza nei confronti di padre Turoldo, un profeta. Le cui parole sono state l’incipit («Se sperassimo tutti assieme») e la conclusione («Maledetto chi non spera») del suo intervento da parroco che si interroga di fronte alla «realtà drammatica dell’analfabetismo del Vangelo. Padre Turoldo aveva colmato la distanza tra liturgia e vita quotidiana. Certi vecchi linguaggi erano inceppati e lui ha cominciato a lavorare sugli Inni proprio perché il linguaggio della liturgia non fosse arcano e distante. Un tempo la messa era in latino e la Bibbia era un libro per pochi. Eppure, oggi che la messa è in italiano e la Bibbia ci auguriamo sia in tutte le case, sembra invece che la situazione sia peggiorata. I nostri nonni non sapevano il latino, ma il Vangelo lo conoscevano. I giovani di oggi non lo conoscono più. E allora, in un’epoca in cui le parole sono diventate tossiche e sono occasione di divisione, bisogna tornare alla Parola di Dio che ci insegna un linguaggio che aiuta a comunicare. Dobbiamo trovare la bellezza non solo nell’arte o nella poesia ma anche nella liturgia. Oggi molti giovani dicono: “messa uguale noia”. Non possiamo permetterlo. In Turoldo c’era il concetto del primato della bellezza della liturgia e le sue poesie sembrano scritte per l’oggi».
E dunque, a proposito di riforma, se Magoni ha lanciato l’idea di inserire gli Inni turoldiani nei nuovi breviari e se Magnoli è apparso titubante, «io voglio andare ancora oltre: non solo Turoldo, ma si chiedano a poeti contemporanei di scrivere nuovi componimenti. Perché la parola parlata diventi sacra: i salmi erano questa cosa qui».
Infine, un breve saluto è arrivato anche dal sindaco Mauro Gattinoni, presente in sala e invitato da fratel Lino a prendere la parola. Nel suo breve intervento, il primo cittadino ha ricordato Turoldo come «una voce non solo mai scontata ma provocatoria» e ha parlato del libro di Manzoni come di un ulteriore tributo del nostro territorio alla memoria del sacerdote nato nel 1916 e morto nel 1992.
Al tavolo dei relatori, oltre allo stesso autore, c’erano padre Giovanni Battista Magoni (direttore della casa editrice “Ancora” che ha appunto pubblicato il libro di Manzoni), monsignor Claudio Magnoli (docente e canonico del Duomo di Milano) nonché il prevosto lecchese monsignor Bortolo Uberti. A moderare, fratel Lino Breda, una lunga “militanza” nella comunità di Bose ma soprattutto amico di Manzoni.
Dopo il saluto della direttrice della biblioteca Simona Sanna che ha sottolineato come si stia lavorando per fare della biblioteca “Pozzoli” un punto di riferimento della cultura in città, è stato proprio fratel Lino a chiedersi cosa sia stato padre Turoldo, tratteggiandone quindi il ritratto di «un uomo caratterizzato da un’insurrezione di libertà indomita» ricordando quanto di lui è stato detto. Da padre Camillo De Piaz: «Era una personalità rumorosa, fa rumore anche quando pensa». Dal cardinale Gianfranco Ravasi: «Aveva una voce da cattedrale e da deserto. Dal giornalista Luigi Accattoli: «Quando in un inno trovate la parola “fuoco”, probabilmente c’è di mezzo la penna di Turoldo».
Don Breda ha parlato di un uomo che ha sempre lottato contro la tiepidezza, era un appassionato. Nella Chiesa ha anche sofferto, è stato esiliato, ma non la Chiesa non l’ha mai abbandonata» E in quanto agli inni, oggetto del libro, «ha liberato la parola biblica dal suo esilio».
Nel presentare il suo lavoro, Mauro Manzoni ha poi ricordato come tutto sia cominciato, ventidue anni fa, nel 2002, in occasione di uno dei quasi quotidiani ritorni in treno da Milano a Varenna: «Ho comprato la rivista “Servitium” con un servizio per il decennale della morte di Turoldo. Io fino ad allora non avevo mai amato la poesia. Ma da quel momento non ho più abbandonato Turoldo. E con questo libro ho voluto scandagliare più a fondo una parte dell’opera di Turoldo forse meno conosciuta, quella degli inni liturgici. La liturgia aveva un ruolo fondamentale per Turoldo, non la disdegnava. Ma non si limitava alla tradizione, ha prodotto testi nuovi: era un nuovo stile per rivolgersi all’uomo contemporaneo».
La ricerca – ha continuato – ha voluto porre l’accento sull’aspetto storico, leggendo gli inni guardando alle vicende personali di Turoldo ma anche al contesto ecclesiale dell’epoca. Guardando poi alla storia dell’inno nella tradizione cristiana, «ho voluto indagare l’origine della passione di Turoldo per questo genere di componimento che l’ha portato a comporre migliaia di inni. Ho rivolto l’attenzione su quelli più belli e originali: il ciclo dell’incarnazione per il periodo dell’avvento e del Natale. Gli inni più antichi sono ancora bellissimi, ma magari all’uomo d’oggi non dicono molto».
«La poesia – le parole di padre Giovanni Battista Magoni – interviene nella liturgia e la nobilita» e ha sottolineato come gli inni di Turoldo nascono dalla riforma del Concilio Vaticano II: «E’ da lì che ha cominciato a lavorare e lo hanno anche picchiato sulle orecchie, costretto all’esilio». La decisione dell’editrice “Ancora” di pubblicare il libro di Manzoni ha due ragioni, entrambe derivanti da messaggi di papa Francesco: uno sulla promozione della teologia e l’altro sull’importanza della letteratura. Nel primo caso, «la gente si chiede che oggi capisca la teologia», ne occorre dunque una che «buchi lo schermo», un nuovo linguaggio che è un interrogarsi sul come dire “Dio” oggi ed è quindi necessaria una teologia che sappia andare incontro all’uomo. Nel secondo caso, il tema è quello dell’importanza della letteratura, di tutta la letteratura, per aprire lo spirito. «E Turoldo è nella letteratura della bellezza. E dunque: una teologia che sposi l’umano e una letteratura che nobiliti lo spirito».
E ciò sono gli inni di Turoldo, «alcuni sono straordinari» e perciò l’invito a inseririrli nei breviari riformati.
Monsignor Magnoli si è invece soffermato sui rapporti di Turoldo con il rito ambrosiano: lui friulano, entrato in contatto con il rito ambrosiano al suo arrivo a Milano mantenendone poi rapporti anche quando si trasferì a Firenze e successivamente nell’esperienza di Fontanelle. E questi legami ambrosiani emergono proprio dagli Inni. E la lettura del libro di Manzoni «mi ha aperto gli occhi su una realtà a me fino a oggi quasi sconosciuta» anche se «non so se la richiesta di Magoni troverà accoglienza».
Da parte sua, don Bortolo Uberti ha detto di non intervenire in qualità di prevosto di Lecco o di “perledese” e pertanto legato a Varenna, bensì «per la riconoscenza nei confronti di padre Turoldo, un profeta. Le cui parole sono state l’incipit («Se sperassimo tutti assieme») e la conclusione («Maledetto chi non spera») del suo intervento da parroco che si interroga di fronte alla «realtà drammatica dell’analfabetismo del Vangelo. Padre Turoldo aveva colmato la distanza tra liturgia e vita quotidiana. Certi vecchi linguaggi erano inceppati e lui ha cominciato a lavorare sugli Inni proprio perché il linguaggio della liturgia non fosse arcano e distante. Un tempo la messa era in latino e la Bibbia era un libro per pochi. Eppure, oggi che la messa è in italiano e la Bibbia ci auguriamo sia in tutte le case, sembra invece che la situazione sia peggiorata. I nostri nonni non sapevano il latino, ma il Vangelo lo conoscevano. I giovani di oggi non lo conoscono più. E allora, in un’epoca in cui le parole sono diventate tossiche e sono occasione di divisione, bisogna tornare alla Parola di Dio che ci insegna un linguaggio che aiuta a comunicare. Dobbiamo trovare la bellezza non solo nell’arte o nella poesia ma anche nella liturgia. Oggi molti giovani dicono: “messa uguale noia”. Non possiamo permetterlo. In Turoldo c’era il concetto del primato della bellezza della liturgia e le sue poesie sembrano scritte per l’oggi».
E dunque, a proposito di riforma, se Magoni ha lanciato l’idea di inserire gli Inni turoldiani nei nuovi breviari e se Magnoli è apparso titubante, «io voglio andare ancora oltre: non solo Turoldo, ma si chiedano a poeti contemporanei di scrivere nuovi componimenti. Perché la parola parlata diventi sacra: i salmi erano questa cosa qui».
Infine, un breve saluto è arrivato anche dal sindaco Mauro Gattinoni, presente in sala e invitato da fratel Lino a prendere la parola. Nel suo breve intervento, il primo cittadino ha ricordato Turoldo come «una voce non solo mai scontata ma provocatoria» e ha parlato del libro di Manzoni come di un ulteriore tributo del nostro territorio alla memoria del sacerdote nato nel 1916 e morto nel 1992.
Dario Cercek