Il Panathlon club lecchese ricorda i 50 anni del Campionato Interlaghi
Dalla cinquantennale regata lecchese dell’Interlaghi alla Coppa America e alla ''Ocean Globe Race''.
Una serata a più voci tra emozioni, riflessioni tecniche e considerazioni umane e sportive, quella organizzata dal Panathlon club lecchese e tenutasi ieri sera dal Palazzo del commercio in piazza Garibaldi proprio per celebrare il mezzo secolo del Campionato Invernale Interlaghi che tiene banco da oggi fino al 10 novembre con il preludio, oggi e domani, della rievocazione della ''Coppa dei Bravi'' che ne fu l’embrione.
E le origini di una regata che fu all’avanguardia quando nacque e ancora oggi è appuntamento di prestigio per i velisti è stata raccontata in un breve filmato con le testimonianze di Gigi Scappa, Fulvio Mazzoleni e Paolo Maggi, ricordando anche la figura di Dario Corti che fu tra i principali promotori.
Introdotti dal presidente del Panathlon Andrea Mauri e intervistati dal giornalista Marco Corti, sono intervenuti il brasiliano Torben Greal, definito un’icona del velismo, la triestina Maria Vittoria Marchesini, vincitrice della recente Coppa America femminile nel team di Luna Rossa, il riminese Stefano Roberti che a 28 anni, nel 1983, la Coppa America la disputò su “Azzurra”, la barca che aprì la nuova epoca del velismo italiano.
E poi Roberto Spata, Fabio Mazzoni, Niccolò Bianchi e Lorenzo Bressani, ma anche Gianni Cariboni, il bellanese considerato il più grande esperto mondiale dell’idraulica e dell’oleodinamica applicate alla vela.
Inoltre da remoto, hanno dato il loro contributo anche Francesco “Checco” Bruni, skipper di “Luna Rossa” nella recente Coppa America e con Marco Trombetti, coarmatore di “Translated 9” che ha partecipato nella primavera di quest’anno alla “Ocean Globe Race”, il giro del mondo senza mezzi tecnologici ma solo con bussola e sestante a rievocare un’altra impresa che fu la “Whitbread Round the World Race”.
Il confronto è stato su come in questi anni sia cambiata la maniera di andare in barca a vela, di come l’evoluzione abbia ormai trasformato le imbarcazioni quasi in astronavi così che «sembra di timonare in una terza dimensione» per dirla con Bruni, di come le prestazioni siano quasi al limite dell’umano, su bolidi che ormai sono “barche volanti” che viaggiano a una velocità quattro o cinque volte superiori a quella delle tradizionali imbarcazioni, ha sottolineato Cariboni, chiedendo agli equipaggi e ai timonieri di prendere decisioni nell’arco ormai di semplici frazioni di secondo e pertanto a fronte di una tecnologia sempre più precisa e sofisticata «l’aspetto umano è ancora preponderante», come ha rilevato Mazzoni.
Dal 1983 a oggi, da “Azzurra” a “Luna Rossa” tutto è cambiato: Allora – ha ricordato Roberti – era tutto molto romantico, meno professionale ma anche molto divertente, «ma mi piace anche la Coppa America di oggi ed è bello vedere che l’Italia è diventata leader».
E comunque con il perfezionamento delle barche si è andati molto lontano – la considerazione di Greal -, le barche sono diventate qualcosa di spaziale, sono come la Formula Uno per l’automobilismo. Ma l’evoluzione c’è sempre stata, continua e ci sarà ancora, non si può fermare, il giudizio corale di Cariboni, Spata e Bianchi.
Nel frattempo, però, la “Ocean Global Race” ha una storia differente da raccontare, quasi una storia d’altri tempi e così Trombetti può scoppiare a piangere in mezzo all’oceano in una notte buia nella quale ci si sente quasi perduti e che diventa magica per l’incontro con i delfini che brillano per la bioluminescenza.
E se la differenza tra la Coppa America e la “Ocean Race” è che nella prima la sera «dormi a casa», come ha detto Grael, e nella seconda te ne stai a bordo anche per quaranta giorni di fila, di sicuro – ha aggiunto Trombetti - «è che quando fai un’esperienza del genere, dopo tutto diventa più facile nella vita. Perché ti accorgi che l’uomo da solo può farcela a superare gli ostacoli».
E, a Corti che gli ha chiesto se lo rifarebbe, la risposta è stata: «Non andrò mai più in quell’inferno, anche se è stata l’avventura più bella della mia vita. Ma ho paura che rifacendola non abbia lo stesso livello di emozioni. E allora voglio conservare quella gioia».
Nell’incontro è stato anche presentato il “Projeto Grael”, la fondazione promossa da Torben Grael per dare opportunità ai ragazzi con pochi mezzi economici di affacciarsi al mondo della vela.
«E’ rivolto ai bambini delle scuole pubbliche – ha spiegato lo stesso Grael – frequentate da chi non ha mezzi economici, mentre i benestanti vanno nelle scuole private che hanno propri circoli velici. Con la fondazione dimostriamo che si può diventare velisti anche senza avere la barca. E allora diamo l’opportunità a questi bambini di formarsi e magari in futuro di essere chiamati a fare parte di equipaggi importanti. Per altri invece si può aprire la strada delle professioni nautiche».
E proprio la “Coppa dei bravi” lecchese è un’occasione per raccogliere fondi da destinare al “Projeto”.
Una serata a più voci tra emozioni, riflessioni tecniche e considerazioni umane e sportive, quella organizzata dal Panathlon club lecchese e tenutasi ieri sera dal Palazzo del commercio in piazza Garibaldi proprio per celebrare il mezzo secolo del Campionato Invernale Interlaghi che tiene banco da oggi fino al 10 novembre con il preludio, oggi e domani, della rievocazione della ''Coppa dei Bravi'' che ne fu l’embrione.
E le origini di una regata che fu all’avanguardia quando nacque e ancora oggi è appuntamento di prestigio per i velisti è stata raccontata in un breve filmato con le testimonianze di Gigi Scappa, Fulvio Mazzoleni e Paolo Maggi, ricordando anche la figura di Dario Corti che fu tra i principali promotori.
Introdotti dal presidente del Panathlon Andrea Mauri e intervistati dal giornalista Marco Corti, sono intervenuti il brasiliano Torben Greal, definito un’icona del velismo, la triestina Maria Vittoria Marchesini, vincitrice della recente Coppa America femminile nel team di Luna Rossa, il riminese Stefano Roberti che a 28 anni, nel 1983, la Coppa America la disputò su “Azzurra”, la barca che aprì la nuova epoca del velismo italiano.
E poi Roberto Spata, Fabio Mazzoni, Niccolò Bianchi e Lorenzo Bressani, ma anche Gianni Cariboni, il bellanese considerato il più grande esperto mondiale dell’idraulica e dell’oleodinamica applicate alla vela.
Inoltre da remoto, hanno dato il loro contributo anche Francesco “Checco” Bruni, skipper di “Luna Rossa” nella recente Coppa America e con Marco Trombetti, coarmatore di “Translated 9” che ha partecipato nella primavera di quest’anno alla “Ocean Globe Race”, il giro del mondo senza mezzi tecnologici ma solo con bussola e sestante a rievocare un’altra impresa che fu la “Whitbread Round the World Race”.
Il confronto è stato su come in questi anni sia cambiata la maniera di andare in barca a vela, di come l’evoluzione abbia ormai trasformato le imbarcazioni quasi in astronavi così che «sembra di timonare in una terza dimensione» per dirla con Bruni, di come le prestazioni siano quasi al limite dell’umano, su bolidi che ormai sono “barche volanti” che viaggiano a una velocità quattro o cinque volte superiori a quella delle tradizionali imbarcazioni, ha sottolineato Cariboni, chiedendo agli equipaggi e ai timonieri di prendere decisioni nell’arco ormai di semplici frazioni di secondo e pertanto a fronte di una tecnologia sempre più precisa e sofisticata «l’aspetto umano è ancora preponderante», come ha rilevato Mazzoni.
Dal 1983 a oggi, da “Azzurra” a “Luna Rossa” tutto è cambiato: Allora – ha ricordato Roberti – era tutto molto romantico, meno professionale ma anche molto divertente, «ma mi piace anche la Coppa America di oggi ed è bello vedere che l’Italia è diventata leader».
E comunque con il perfezionamento delle barche si è andati molto lontano – la considerazione di Greal -, le barche sono diventate qualcosa di spaziale, sono come la Formula Uno per l’automobilismo. Ma l’evoluzione c’è sempre stata, continua e ci sarà ancora, non si può fermare, il giudizio corale di Cariboni, Spata e Bianchi.
Nel frattempo, però, la “Ocean Global Race” ha una storia differente da raccontare, quasi una storia d’altri tempi e così Trombetti può scoppiare a piangere in mezzo all’oceano in una notte buia nella quale ci si sente quasi perduti e che diventa magica per l’incontro con i delfini che brillano per la bioluminescenza.
E se la differenza tra la Coppa America e la “Ocean Race” è che nella prima la sera «dormi a casa», come ha detto Grael, e nella seconda te ne stai a bordo anche per quaranta giorni di fila, di sicuro – ha aggiunto Trombetti - «è che quando fai un’esperienza del genere, dopo tutto diventa più facile nella vita. Perché ti accorgi che l’uomo da solo può farcela a superare gli ostacoli».
E, a Corti che gli ha chiesto se lo rifarebbe, la risposta è stata: «Non andrò mai più in quell’inferno, anche se è stata l’avventura più bella della mia vita. Ma ho paura che rifacendola non abbia lo stesso livello di emozioni. E allora voglio conservare quella gioia».
Nell’incontro è stato anche presentato il “Projeto Grael”, la fondazione promossa da Torben Grael per dare opportunità ai ragazzi con pochi mezzi economici di affacciarsi al mondo della vela.
«E’ rivolto ai bambini delle scuole pubbliche – ha spiegato lo stesso Grael – frequentate da chi non ha mezzi economici, mentre i benestanti vanno nelle scuole private che hanno propri circoli velici. Con la fondazione dimostriamo che si può diventare velisti anche senza avere la barca. E allora diamo l’opportunità a questi bambini di formarsi e magari in futuro di essere chiamati a fare parte di equipaggi importanti. Per altri invece si può aprire la strada delle professioni nautiche».
E proprio la “Coppa dei bravi” lecchese è un’occasione per raccogliere fondi da destinare al “Projeto”.
D.C.