In viaggio a tempo indeterminato/351: Kalimantan = barca

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Kalimantan=barca.
Per noi l'associazione sarà sempre questa.
Siamo entrati con un traghetto, abbiamo preso svariate barche sul mare dalle dimensioni più eterogenee e abbiamo appena concluso un viaggio di 83 ore su un fiume.
Sì, 83 ore sono un'infinità di tempo, soprattutto se le passi tutte su una barca in legno con il soffitto alto 1 metro e 50.
L'avventura folle in cui ci siamo infilati è, come spesso accade, iniziata per caso.
La colpa, o il merito, è di una vecchia guida Lonely Planet dell'Indonesia. Un librone di 600 pagine trovato per caso in un ostello. Uno di quei libri che sono tutto tranne che tascabili e sono stati scritti in un periodo in cui i reel di Instagram non esistevano e nemmeno le app per prenotare hotel erano diffuse.
Sfogliando le pagine, tra tutte quelle parole e foto, un passaggio in particolare mi aveva colpito. 
"Questo è il Kalimantan in tutta la sua bellezza conflittuale, potente, confusa e avvincente. E non c'è modo migliore per vederlo di un viaggio sul Mahakam: un viaggio che ricorderai per tutta la vita." 
Apperò!
Dopo aver letto delle frasi del genere, le aspettative salgono alle stelle, così come la voglia di andare subito a vedere cosa nasconde questo Mahakam, il secondo fiume più grande del Borneo.

Il nostro viaggio epico è iniziato da Samarinda, la città dal nome esotico che però, oltre al nome, non ha molto altro di affascinante. Se non il fatto di trovarsi proprio sul fiume Mahakam, a una cinquantina di chilometri dall'immensa foce del corso d'acqua.
"La kapal biasa (barca pubblica) parte alle 7" ci avevano detto tutti. Così per non sbagliare alle 6 eravamo già al porto.
Davanti a noi due barche esteticamente molto simili. Entrambe in legno, dipinte di bianco, a due piani e con il tetto ricurvo.
Entrambe dirette nella stessa direzione ma una con destinazione Melak, a 250 km da Samarinda, l'altra con destinazione Long Bagun a più di 500 km.
Inizialmente ci eravamo infilati sulla prima barca, quella per Melak, salvo poi cambiare idea a pochi minuti dalla partenza e salire all'ultimo istante su quella diretta più nel "cuore del Borneo".
Puntuali come degli orologi svizzeri, alle 7 siamo salpati da Samarinda, ancora ignari del fatto che quella non sarebbe stata l'unica volta che avremmo cambiato idea.
La barca era organizzata come una minuscola "crociera".
Al piano basso il capitano al timone, una cucina/ristorante, i bagni, ma soprattutto un'infinità di merci. Dalle confezioni di cibi e bibite, alle centinaia di uova, passando per scatole con pulcini e quintali di frutta e verdura. Il tutto con il rumore costante del motore in sottofondo.
Al piano superiore, invece, una lunghissima panca di legno gialla suddivisa in un'ottantina di posti letto. Qualche finestrella rettangolare da cui guardare il paesaggio e parecchi ventilatori.
Ma la zona migliore della barca, quella dove abbiamo trascorso la maggior parte del nostro tempo a bordo, è una terrazza in legno posizionata proprio davanti, sopra la postazione del capitano.
Da lì ho guardato lentamente cambiare il paesaggio, le abitudini, le persone.
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Il viaggio in barca, controcorrente, è molto lento. Una lentezza a cui non sono più abituata a vivere. Noti i cambiamenti, anche quelli più piccoli e hai tempo per metabolizzare e capire.
Il Mahakam è un fiume lungo quasi 1000 km che nasce tra i monti a più di 1600 metri di altezza. Le sue acque sono color caffelatte e nella prima parte del suo cammnino sono piuttosto agitate con correnti e rapide molto forti. Scendendo verso il mare, invece le acque si placano completamente e il fiume scorre sonnecchiante lento.
Nelle prime 7/8 ore di navigazione controcorrente, dopo aver lasciato la città, a farci compagnia nel viaggio delle gigantesche chiatte che trasportano carbone.
"Questo è destinato a Singapore" mi dice un ragazzo che si è seduto sul balcone esterno a fumare. Le miniere del carbone in Borneo sono un'infinità. Gestite da compagnie straniere e locali, esportano enormi quantità di carbone in vari Paesi asiatici. Sono tra le minacce più pesanti per l'ecosistema di questa area, insieme alle piantagioni di palme da olio.
La prima giornata sulla barca passa così, con l'amara consapevolezza che il profitto viene prima della salute, dell'ambiente e della nostra sopravvivenza su questo Pianeta.
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Un temporale chiude il primo giorno, con i bambini che urlano per i tuoni e si coprono le orecchie per non sentirli.
Gli incubi della realtà fuori da quella piccola barca, però, non intaccano minimamente il mio sonno. La lentezza della navigazione, il fiume tranquillo, il silenzio conciliano il sonno. Un sonno profondo e riposante, come non mi capitava da parecchio.
Il secondo giorno, al risveglio, prendiamo una decisione che cambia tutto il proseguo della nostra avventura.
Non scenderemo a Tering, a metà del fiume, ma rimarremo sulla barca fino a Long Bagun, un villaggio disperso lungo il fiume che questa imbarcazione può raggiungere solo in determinati periodi dell'anno con l'alta marea.
Questa decisione l'abbiamo presa spinti dall'euforia del momento e dall'aver passato ore molto piacevoli a bordo.
E poi l'idea di vedere cosa ci fosse oltre ci attirava parecchio...

(continua)
Angela (e Paolo)
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