Lecco: 'Carezze', il primo libro del maestro Marco Bonfanti
Il maestro Alberto Manzi a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta con il programma televisivo "Non è mai troppo tardi" ha alfabetizzato gli adulti, allo stesso modo il maestro Marco Bonfanti per quarant’anni ha insegnato le parole a generazioni di scolari in una scuola a tempo pieno di Lecco. Per la prima volta ha pubblicato un libro di poesie ‘Carezze’, con la casa editrice Controluna di Roma.
Viene proprio voglia di iterare la locuzione ‘Non è mai troppo tardi’ per dire che era ora. Ben venga questa raccolta costruita da questo maestro con parole, sintagmi, versi leggeri, aerei, scorrevoli, sciolti, liberi e comprensibili e si lasciano leggere e ascoltare con tenerezza. “Il poeta (introduzione) non scrive poesie, semplicemente le trascrive. E le trascrive perché le poesie ci sono già, srotolate nelle cose, incuneate negli avvenimenti. Il poeta è colui che le sa cogliere, le sa leggere, le sa decifrare. È attento a quanto le cose gli dicono, sussurrando. Danza con loro, sa ballare un ritmo lento mentre le parole gli parlano. Poi eccole lì sul foglio, il passaggio è avvenuto, per un momento la farfalla dei sensi è stata nelle mani del poeta, un attimo prima di volarsene via. E la poesia è tutta qui.”
Non è poca cosa essere chiamati a dar parola a una voce, a un suono, a un frammento di memoria, a un profumo, bisogna avere una certa predisposizione, una vocazione per captare certi richiami che per anni sono stati tenuti silenti. Forse, il maestro Bonfanti, per non sentirsi un puer, come i suoi scolari, ha tenuto all’ombra del suo possente corpo e della sua voce da basso baritonale la poiesis. Ha fatto bene la poiesis a bussare a quella apparente rustica porta e sollecitare l’atto creativo.
Leggere le sue poesie mi ha sollecitato due immagini. La prima è di un bozzolo chiuso che si apre lentamente e si trasforma originando ritmi, ricami di parole sussurrate e composte in una forma narrativa che raccontano esperienze autobiografiche che coniugano il personale con il globale.
La seconda immagine è la nostalgia, anzi meglio dirsi nostalghia, che si raffigura in una dacia russa in cui il poeta si muove tra le sue cose quotidiane nel piccolo giardino con il suo glicine sapiente ed evocante che lo sollecita a guardare il mondo che sta fuori da quel lembo di terra.
Viene proprio voglia di iterare la locuzione ‘Non è mai troppo tardi’ per dire che era ora. Ben venga questa raccolta costruita da questo maestro con parole, sintagmi, versi leggeri, aerei, scorrevoli, sciolti, liberi e comprensibili e si lasciano leggere e ascoltare con tenerezza. “Il poeta (introduzione) non scrive poesie, semplicemente le trascrive. E le trascrive perché le poesie ci sono già, srotolate nelle cose, incuneate negli avvenimenti. Il poeta è colui che le sa cogliere, le sa leggere, le sa decifrare. È attento a quanto le cose gli dicono, sussurrando. Danza con loro, sa ballare un ritmo lento mentre le parole gli parlano. Poi eccole lì sul foglio, il passaggio è avvenuto, per un momento la farfalla dei sensi è stata nelle mani del poeta, un attimo prima di volarsene via. E la poesia è tutta qui.”
Non è poca cosa essere chiamati a dar parola a una voce, a un suono, a un frammento di memoria, a un profumo, bisogna avere una certa predisposizione, una vocazione per captare certi richiami che per anni sono stati tenuti silenti. Forse, il maestro Bonfanti, per non sentirsi un puer, come i suoi scolari, ha tenuto all’ombra del suo possente corpo e della sua voce da basso baritonale la poiesis. Ha fatto bene la poiesis a bussare a quella apparente rustica porta e sollecitare l’atto creativo.
Leggere le sue poesie mi ha sollecitato due immagini. La prima è di un bozzolo chiuso che si apre lentamente e si trasforma originando ritmi, ricami di parole sussurrate e composte in una forma narrativa che raccontano esperienze autobiografiche che coniugano il personale con il globale.
La seconda immagine è la nostalgia, anzi meglio dirsi nostalghia, che si raffigura in una dacia russa in cui il poeta si muove tra le sue cose quotidiane nel piccolo giardino con il suo glicine sapiente ed evocante che lo sollecita a guardare il mondo che sta fuori da quel lembo di terra.
Enrico Magni