In viaggio a tempo indeterminato/350: Un guscio a forma di cuore

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Faccio qualche passo sul pontile.
È sempre bello camminare su qualcosa di stabile che non dondola dopo un viaggio turbolento in barca.
Il mare era così mosso da farci sussultare, o forse la colpa era della barca, più simile al motoscafo giocattolo di Barbie che a una vera imbarcazione.
Non credo di aver mai desiderato tanto sentire la sabbia sotto i piedi.
Ma la cosa assurda è che, visto dalla costa, il mare sembra una tavola piatta. Una distesa di acqua verde smeraldo, limpida, calma e rilassata. 
Vuoi vedere che era davvero colpa della barca di Barbie?
Mi siedo con le gambe incrociate sulle assi di legno. Guardo quel fazzoletto di terra con le palme alla mia sinistra. 
Derawan, un'isola che misura meno di un chilometro quadrato. È la più piccola dove siamo mai stati. E se da un lato ha tutto l'aspetto di un piccolo paradiso tropicale, dall'altro su di me ha un effetto claustrofobico.

Da qualunque angolazione la si guardi, Derawan è più acqua che terra.
Il mare è tutto attorno.
Il mare è sotto le palafitte.
Il mare sale e scende a mangiarsi la spiaggia.
È il protagonista della storia che ha concesso un piccolo ruolo marginale a un pezzetto di terra.
"Bella scoperta Angela, hai appena descritto un'isola!" penso tra me e me.
E mentre la mia testa pensa a scenari catastrofici che prevedono la fuga da quell'isoletta a bordo di una barca ancora più piccola di quella che ci ha portato qui, ecco che noto qualcosa muoversi nell'acqua.
Sembra un sasso tondo e bello grosso che si muove lentamente. 
Guardo meglio.
Il sasso si avvicina sempre di più a me.
E mentre lo fa, piano piano, si avvicina alla superficie dell'acqua.
"Pa' ma è una..."
Neanche il tempo di finire la frase che una testolina sbuca dall'acqua. È rugosa e tonda, con due occhi neri innocui.
Apre la bocca, prende due boccate d'aria, poi torna sotto il pelo dell'acqua e piano piano si ritrasforma in un gigantesco sasso tondo che si muove lento.
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20.000 rupie indonesiane al cambio attuale sono poco meno di 1 e 20 centesimi.
20.000 è il costo di un piatto di riso fritto o di un gado gado, una specie di insalata indoensiana ricoperta da una salsa alle arachidi.
20.000 è il costo di due noci di cocco belle grosse, verdi fuori e polpose dentro.
Quella da 20.000 è una banconota verde e se la giri compare proprio la tarturaga che mi è appena sbucata davanti. 
Ok, non sono proprio sicura sia lei, ma una parente stretta sì.
Derawan o meglio l'arcipelago di Derawan con le sue 31 isole, compare dietro una delle banconote indonesiane e il simbolo è proprio una bella testuggine.
Nelle apparentemente calme acque attorno all'isola, oggi vive una vasta popolazione di "backpacker marine" (hanno la loro casa sulle spalle un po' come chi viaggia zaino in spalla!).
Nuotano tra i coralli, giocano a nascondino sotto i pontili o si dondalano tra le onde in mare aperto.
In passato, però, non era affatto così.
Alla base dell'economia di queste piccole isole c'era il contrabbando di tartarughe, usate per produrre oggetti e souvenir, per medicine tradizionali o per il consumo della carne.
Così come la raccolta delle uova che le tartarughe depongono in determinati periodi dell'anno sulle spiagge dell'isola.
Se a questa caccia senza senso ci aggiungiamo l'inquinamento delle acque per colpa di pesticidi, miniere di carbone e microplastiche ecco che il disastro è servito.
La specie umana anche in questo caso si riconferma la più pericolosa del Pianeta.
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Per salvaguardare le tartarughe, dal 2009 è presente un presidio WWF nell'arcipelago di Derawan che si occupa non solo di educare la popolazione locale e i turisti, ma anche di mettere al sicuro le uova dopo che sono state deposte.
E nel corso degli anni l'intervento ha dato i suoi frutti perché le tartarughe con il guscio a forma di cuore sono piano piano tornate a popolare le acque intorno alle isole.
Oggi è praticamente impossibile non vederle mentre si nuota nell'arcipelago.
Sono pacate e curiose quando qualcuno si avvicina nuotando, ma se vengono infastidite se ne vanno rapidamente e spariscono nelle profondità del mare.
Le chiamano le "mucche del mare" e viene difficile pensare che qualcuno le voglia catturare per del mero profitto.
E invece eccoci qui a doverle salvaguardare prima che sia troppo tardi.
Questo Borneo è un costante pugno allo stomaco.
Gli oranghi ieri, le tartarughe oggi.
Un pezzetto di terra che riflette tutto quello che succede nel mondo intero.
Ma mi piace pensare che ci sia ancora una speranza e che, come per le tartarughe di Derawan, riusciremo a invertire il processo e a salvare questo Pianeta, la nostra unica casa.
Angela (e Paolo)
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