In viaggio a tempo indeterminato/349: cioccolata molto amara

banner ramobannercentromela-62580.gif
Ingredienti: zucchero, olio di palma, nocciole, latte scremato in polvere, cacao magro, emulsionanti: lecitina (soia); vanillina.
Apri il barattolo, ti mangi una cucchiaiata, magari ne spalmi un po' su una fetta di pane appena tostato e mentre quel sapore inconfondibile ti avvolge il palato, ti dimentichi di tutto il resto. Ingre... che?!? Olio di che?
Te la godi, poi avviti il tappo al barattolo e pensi la solita cosa che ti viene in mente ogni santa volta: basta, non la devo comprare più perché sennò continuo a mangiarla.
Salvo poi tradire il patto con te stessa e ricascarci la volta successiva che la vedi al supermercato.
Fine.
Racconto tratto da una storia vera, la mia, di qualche anno fa quando alla crema alla nocciola facevo molta fatica a resistere. Non che adesso vada meglio ma come si dice "occhio non vede, cuore non duole".
Ma il punto è un altro, non mi ero mai posta il problema del tipo di olio che contenesse.
Poi nel 2021 scoppia la polemica, tutti si mettono a parlare dell'olio di palma e dei danni che ha sugli ecosistemi.
Sui prodotti inizia a comparire l'etichetta "non contiene olio di palma" e i produttori che invece ancora lo utilizzano, tipo quelli della famosa crema alla nocciola, specificano che è soltanto quello sostenibile.
Inizia una specie di caccia alle streghe che dura qualche mese e poi finisce lì. 
Me ne dimentico, salvo storcere il naso quando lo leggo tra gli ingredienti, anche se il perché non lo so davvero bene fino in fondo.

Salto spazio-temporale.
È Ottobre 2024 e siamo a Berau, una città nel nord est del Kalimantan, il Borneo malese.
Fa un caldo umido straziante durante le ore centrali del giorno, ma la mattina presto e la sera si riesce a vivere serenamente.
Ieri abbiamo noleggiato un motorino, ce l'hanno consegnato direttamente all'hotel. È nero, con pochi km e la targa scritta con il pennarello nero sopra un foglio di metallo.
Alle 7 siamo in strada pronti a lasciare la città e avventurarci verso la giungla. Sono 60 km ma è la strada principale del Borneo quella che dobbiamo percorrere quindi dovrebbe essere in buone condizioni.
Abbandonata Berau, il traffico sparisce ma l'asfalto rimane, liscio e piacevole sotto le ruote della moto.
Curve e sali scendi continui, qualche buca troppo profonda che compare all'improvviso e tutte quelle palme da olio che fanno da cornice alla strada.
Ho imparato ormai a riconoscerle perché non sono alte e snelle come quelle da cocco, ma sono più basse e più "pelose". Lo vedi che sono piantate dall'uomo e non autoctone perché sono disposte a creare delle perfette linee parallele.
Sono ovunque in questa parte di Borneo e formano foreste di cui non vedi la fine.
Dopo 10 km di sterrato impegnativo e un ponte traballante ma comunque scenico, arriviamo a Merasak.
barca1.jpg (87 KB)
Sono solo le 9 ma fa già troppo caldo per portare avanti la nostra missione: vedere gli oranghi che vivono su un'isola nel bel mezzo del fiume.
Abbiamo quindi tutto il tempo per accordarci con un signore per partire in barca nel pomeriggio quando la calura sarà un po' scesa.
L'incontro con la nostra "guida" avviene in realtà casualmente, dato che nel paesino, in teoria dentro il territorio di un parco nazionale, non ci sono cartelli informativi o un ufficio turistico.
Il gancio è stata la benzina. L'avevamo quasi finita per raggiungere Merasak, ma appena attraversato il ponte, avevamo notato il classico negozietto di alimentari indonesiano che davanti all'ingresso ha impilate delle bottiglie di vetro con un liquido verde e la scritta "Pertamina". Così mentre facevamo benzina con l'imbuto, abbiamo chiesto alla signora del negozio se conoscesse qualcuno disposto a portarci in barca fino all'isola degli oranghi. 
In pochi minuti è apparso il marito con due zibetti in braccio. Abbiamo contrattato la tariffa e ci siamo dati appuntamento a qualche ora dopo.
barca2.jpg (115 KB)
Abbiamo passato le ore successive a girare per l'unica via del villaggio, soffermandoci a osservare le case tradizionali dipinte con disegni geometrici. Appartengono ai dayak, la tribù dell'entroterra, che vive nel Borneo fin da tempi antichissimi.
Alla fine, tra un tè freddo e l'altro, è giunta l'ora di salire a bordo della minuscola barca con tanto di motore simile a quello di un tosaerba.
40 minuti circa di viaggio spettacolare a filo dell'acqua, con gli schizzi in faccia, e siamo arrivati all'"isola degli oranghi", o sarebbe meglio dire dell'orango dato che ne è rimasto solo uno.
Dopo parecchia delusione nel constatare che gli addetti del parco nazionale davano frutta al povero orango solitario, abbiamo raccolto un po' di informazioni, completamente inesistenti online.
Quell'isola ha la funzione di salvaguardare gli oranghi. Vengono infatti messi qui gli esemplari il cui habitat naturale è stato distrutto. Dopo averli salvati dagli incendi messi in atto per disboscare ettari e ettari di giungla, gli addetti del parco se ne prendono cura facendoli vivere in un contesto naturale ma protetto, come quello dell'isola in mezzo al fiume.
Una volta che gli oranghi stanno bene, vengono poi rilasciati in zone della foresta ritenute sicure.
Un progetto molto bello e utile, dato che questi animali, così simili a noi da condividere il 97% del DNA, sono oggi a rischio estinzione proprio perché piano piano stiamo distruggendo il loro habitat.
barca3.jpg (134 KB)
Ma allora che c'entra la lista di ingredienti dell'inizio?
L'anello di congiunzione è proprio il secondo ingrediente, quello più discusso negli anni scorsi. Perché gli incendi che colpiscono regolarmente il Borneo vengono appiccati per disboscare e fare spazio a coltivazioni di palme da olio. La Malesia e l'Indonesia, infatti, producono l'80% dell'olio di palma mondiale. I  lavoratori di questi Paesi sono quasi costretti a lavorare nelle piantagioni, complice il fatto che le multinazionali si sono accaparrate la maggior parte delle terre coltivabili.
I lavoratori non solo sono sfruttati e malpagati, ma sono anche esposti, con scarsa preparazione, ai danni causati da un uso massiccio di pesticidi.
I pesticidi in uso in Indonesia sono spesso banditi in Europa, per i loro effetti tossici sulla salute e sull’ambiente, ma sono comunque prodotti qui e esportati legalmente. 
Gli usi industriali dell’olio di palma sono molti di più di quelli alimentari, vedi crema alla nocciola. Interessano anche  il settore cosmetico, ma soprattuto la produzione di biocarburanti.
Quindi, per tirare le somme, abbiamo messo ancora una volta il profitto davanti a tutto e tutti. Davanti alla salvaguardia di una delle foreste più antiche del mondo e dei suoi abitanti. Davanti alla salute e al benessere delle persone.
E abbiamo tutti le mani sporche, ma non di cioccolata.
(Nel 2022, con 595 mila tonnellate l’Italia è stato il primo Paese in Europa per importazioni di olio di palma dall’Indonesia, nonché il decimo al mondo).
Angela (e Paolo)
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.