Lecco: sviluppo critico nella società sui temi dell’adozione. Incontro con Monya Ferritti
La percezione delle famiglie adottive da parte della società e il ruolo che questa può assumere accogliendo la diversità delle esperienze familiari. Sono i temi principali emersi dall’incontro con Monya Ferritti, autrice del libro ''SANGUE DEL MIO SANGUE - l’adozione come corpo estraneo alla società''.
Ferritti è presidente del Coordinamento CARE, il Coordinamento nazionale di associazioni familiari adottive e affidatarie, è tecnologa all’INAPP (Istituto di Analisi delle Politiche Pubbliche)e curatrice del blog #IlCorpoEstraneo (insieme alle corrispondenti pagine social).
Nell’incontro promesso da Raccontiamo l’Adozione ODV presso ''La Casa sul Pozzo'' a Chiuso di Lecco, la relatrice, con molta professionalità, competenza e leggerezza, aiutandosi con l’aiuto di alcuni video, ha accompagnato il pubblico in un percorso di approfondimento del linguaggio e delle parole che feriscono e che nascono da stereotipi, preconcetti e discriminazioni.Spesso si tratta di parole che vogliono definire le persone appartenenti alle categorie fragili o svantaggiate, connotandone la diversità rispetto alla normalità. A tal proposito, è stato centrale il tema dell’importanza del linguaggio e del significato delle parole usate.
Non vanno dimenticate però le situazioni discriminatorie che non vengono definite da nessuna parola: possono essere situazioni vissute come negative dalle persone coinvolte, oppure frasi che fanno sentire a disagio. In tutti questi casi, si formano zone d’ombra che creano discriminazioni. Lo stesso vale quando si parla di adozione e alle famiglie adottive: basti pensare che, oggi, non esiste nel vocabolario italiano una parola che definisca la discriminazione di una persona adottata o dei suoi familiari. Per questo motivo, ha rilanciato Monya Ferritti, la prima battaglia per riuscire a vincere la discriminazione e il pregiudizio è definirli con un concetto, una parola. Viene qui in aiuto la proposta la proposta della dottoressa, ovvero la creazione del termine ''bionormativismo'' per definire la discriminazione delle famiglie che si sono costituite in modo diverso dal concepimento considerato classico di mamma e papà: può essere idonea sia per l’adozione, sia per la fecondazione eterologa.
L’utilizzo delle parole per definire una comunità consente di ottenere maggiore attenzione - e diritti - da parte della società. Lo stereotipo è un ragionamento innato, automatico privo di una valutazione critica personale che conduce al pregiudizio: stereotipi e pregiudizi si attenuano quando si sviluppa il pensiero critico sull’argomento.
Nel caso dell’adozione, pregiudizi e stereotipi coinvolgono i bambini adottati: per questo la dottoressa ha invitato al dialogo con il figlio per stabilire insieme il grado di esposizione della sua storia all’esterno, che può variare a seconda della personalità del bambino.
Il suggerimento è stato quindi quello di porre sempre al centro dell’attenzione e privilegiare il bisogno di appartenenza alla famiglia adottiva del figlio adottivo.
Ferritti è presidente del Coordinamento CARE, il Coordinamento nazionale di associazioni familiari adottive e affidatarie, è tecnologa all’INAPP (Istituto di Analisi delle Politiche Pubbliche)e curatrice del blog #IlCorpoEstraneo (insieme alle corrispondenti pagine social).
Nell’incontro promesso da Raccontiamo l’Adozione ODV presso ''La Casa sul Pozzo'' a Chiuso di Lecco, la relatrice, con molta professionalità, competenza e leggerezza, aiutandosi con l’aiuto di alcuni video, ha accompagnato il pubblico in un percorso di approfondimento del linguaggio e delle parole che feriscono e che nascono da stereotipi, preconcetti e discriminazioni.Spesso si tratta di parole che vogliono definire le persone appartenenti alle categorie fragili o svantaggiate, connotandone la diversità rispetto alla normalità. A tal proposito, è stato centrale il tema dell’importanza del linguaggio e del significato delle parole usate.
Non vanno dimenticate però le situazioni discriminatorie che non vengono definite da nessuna parola: possono essere situazioni vissute come negative dalle persone coinvolte, oppure frasi che fanno sentire a disagio. In tutti questi casi, si formano zone d’ombra che creano discriminazioni. Lo stesso vale quando si parla di adozione e alle famiglie adottive: basti pensare che, oggi, non esiste nel vocabolario italiano una parola che definisca la discriminazione di una persona adottata o dei suoi familiari. Per questo motivo, ha rilanciato Monya Ferritti, la prima battaglia per riuscire a vincere la discriminazione e il pregiudizio è definirli con un concetto, una parola. Viene qui in aiuto la proposta la proposta della dottoressa, ovvero la creazione del termine ''bionormativismo'' per definire la discriminazione delle famiglie che si sono costituite in modo diverso dal concepimento considerato classico di mamma e papà: può essere idonea sia per l’adozione, sia per la fecondazione eterologa.
L’utilizzo delle parole per definire una comunità consente di ottenere maggiore attenzione - e diritti - da parte della società. Lo stereotipo è un ragionamento innato, automatico privo di una valutazione critica personale che conduce al pregiudizio: stereotipi e pregiudizi si attenuano quando si sviluppa il pensiero critico sull’argomento.
Nel caso dell’adozione, pregiudizi e stereotipi coinvolgono i bambini adottati: per questo la dottoressa ha invitato al dialogo con il figlio per stabilire insieme il grado di esposizione della sua storia all’esterno, che può variare a seconda della personalità del bambino.
Il suggerimento è stato quindi quello di porre sempre al centro dell’attenzione e privilegiare il bisogno di appartenenza alla famiglia adottiva del figlio adottivo.