Lecco, Festival Treccani: Marina Rei ''incanta'' il pubblico, fra parole e musica

«Noi cantautori siamo fortunati perché con le parole riusciamo a trasformare le nostre esperienze. E in una canzone puoi edulcorare o esagerare sentimento».
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Marina Rei (a destra) intervistata da Beatrice Cristalli

Sul palco lecchese del Festival Treccani della lingua italiana protagonista ieri sera la cantautrice Marina Rei, intervistata dalla linguista Beatrice Cristalli, in un incontro “tra parole e musica” inframmezzato dall’esecuzione di alcuni dei suoi brani più celebri (”Noi”, “Donna che parla in fretta”, “Complimenti”…), spunto di alcuni approfondimenti. Il dolore, l’amore, il tempo, la vita e la morte, la sessualità (parola chiave dell’edizione di quest’anno del festival), il genere, le diversità, i suoni e le parole, sono stati i temi attorno ai quali si è sviluppato il dialogo.
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Si è appunto partiti dalla canzone “Noi” che risale al 1994, quando i genitori si stavano separando con la necessità quindi di elaborare il dolore «che è una parola che ci porta alla trasformazione, perché le parole hanno il potere di trasformare un’emozione» E, appunto, «noi cantautori siamo fortunati perché con le parole riusciamo a trasformare le nostre esperienze. E formiamo così la nostra identità, perché noi siamo frutto delle nostre esperienze». Ed è un’identità che ha bisogno delle relazioni con gli altri «perché le nostre esperienze di vita non sono passaggi ma sono confronti. Poi certo, la maniera di affrontarle cambia.
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Da giovani si è più impetuosi, crescendo più attenti». E se il dolore è un’esperienza cardine, come ha detto Cristalli, se «l’amore ci rende vulnerabili – ha continuato l’artista -, il dolore è devastante, ma ci consente di fare un passo avanti, è un’evoluzione, così che riusciamo a plasmare il nostro destino Che è tutto nelle nostre mani». E allora se il dolore può essere fecondo per chi scrive canzoni – come ha suggerito ancora Cristalli – può essere visto «come un’opportunità». Certo non è la condizione «che preferisco, ma quando capita ne approfitto».
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Le canzoni, dunque, nascono anche così. E sull’eterno quesito se vengano prima la musica e il suono o le parole, «se in inglese è importante la sonorità delle parole, in italiano è molto più difficile, non ci sono le parole tronche inglesi. Comunque, io non do importanza a una melodia, ma al significato delle parole. Preferisco partire del testo, anche a discapito del suono. Hai un testo, ti metti al pianoforte o alla chitarra e la musica viene di conseguenza».
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Dal testo di una lunga poesia di Anne Waldam, esponente della beat generation americana, è scaturita per esempio “Donna che parla in fretta” che sottolinea – ha chiosato Cristalli – la molteplicità dell’identità femminile. Si è quindi affrontato il tema del ruolo di genere imposto dalla tradizione, della pressione sociale sulle donne, degli stereotipi e delle costrizioni, della fisicità e della bellezza, della perfezione del corpo oggi diventato uno stereotipo esagerato e se oggi il linguaggio è cambiato - «un po’ tutti ossessionati dalle parole proprio a proposito di genere » come ha fatto rilevare Cristalli – secondo la cantautrice «c’è più attenzione alle parole in virtù dei cambiamenti social: oggi si parla di “queer” e di fluidità, parole che un tempo non esistevano».
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«Certe parole - ha aggiunto - noi le abbiamo imparate. Mio figlio ci è cresciuto in mezzo. Ma si tratta di una sessualità che c’è sempre stata, ma non ne parlava. Nel corso della Storia, il modo di vedere la sessualità è cambiato: i tabù, la repressione, la celebrazione, passando poi per Freud che ha indicato la sessualità e il desiderio come motori della vita e oggi il corpo è usato come un mezzo, pensiamo a Marina Abramovich che ne ha fatto un’arte».
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Non è un caso del resto che proprio venerdì nell’ambito dello stesso Festival Treccani si è parlato di Marina Abramovich e del corpo come linguaggio in un incontro con Vincenzo Trione. «E si arriva quindi alla fluidità – ha proseguito Rei -. Non è che prima non c’era. E’ che non si poteva dire o non si poteva fare. E’ un passo avanti. In quanto alla musica, è sempre stata sostenitrice delle diversità. Fin dai tempo di Woodstock, quando Janis Joplin cantava appunto la diversità. Basta ascoltarla!».
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Anne Waldman, Woodstock, si parla ormai di mezzo secolo fa. Inevitabile, allora, riflettere sul rapporto con il tempo: «Il corpo – le parole di Rei – segue la linearità del tempo. Invecchiamo, ahimè. E’ inevitabile la presa di coscienza del tempo. La mente è più fortunata. Con la memoria possiamo tornare indietro, rivivere certi momenti e magari anche modificarli. Si fa tesoro del passato per vivere il presente in maniera più forte. E con l’immaginazione andare al futuro, costruire qualcosa. Poi chissà… E naturalmente, non parliamo dell’aldilà. Ma indubbiamente la consapevolezza della morte dovrebbe portarci a vivere con urgenza, col turbo…».
D.C.
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