Lecco: musica e linguaggio giovanile, ne parla Beatrice Cristalli

Si è aperta con una serie di riflessioni sul tema della musica e del linguaggio giovanile la seconda giornata del Festival Treccani della lingua italiana #lepraolevalgono, promosso dalla Fondazione Treccani Cultura e dal Comune di Lecco. A guidarle è stata Beatrice Cristalli, consulente in editoria scolastica per Mondadori Education e Rizzoli Education, formatrice e linguista che da anni collabora da anni con Treccani.it. Prima in una lezione e, quindi, in dialogo con Daniela Pes, musicista e cantautrice sarda nata nel cuore della Gallura nel 1992.
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 “Si pensa che lo slang giovanile inquini la lingua italiana e sia brutto foneticamente. – ha esordito Beatrice Cristalli - Ci infastidisce perché è distante dalla lingua d’uso, che comunque non è la lingua dei dizionari. Tuttavia lo slang non può inquinare la lingua per il fatto che alle nuove generazioni non interessa arrivare al mondo dei dizionari”. E ha continuato: “Dovremmo parlare di linguaggi giovanili, non di un solo linguaggio. È una nicchia che non ha la tendenza a scontrarsi con la lingua d’uso. Svolgono una funzione importante: creare un’identità, un movimento centripeto che serve ai parlanti per sentirsi parte di un gruppo, allontanandosi dal mondo degli adulti”. 
Ma cosa ci dicono le parole delle nuove generazioni e le loro canzoni sulla contemporaneità? Beatrice Cristalli si è concentrata sulle  parole che ruotano attorno alla parola “genere”, collegata ad altre categorie: identità di genere, ruoli di genere, rappresentazione di genere, relazioni di genere. 
“Così “crush”, parola-manifesto della generazione zeta rispetto al concetto di genere, - ha spiegato la linguista - viene usata in modo neutro e corrisponde alla “cotta”. “L’etimologia ci rimanda a qualcosa che si frantuma, si spezza. E in effetti la relazione frantuma in me qualcosa che non so gestire e mi sento infettato dalla vita dell’altro. Oppure “bitch”, certamente problematica, attorno a cui si moltiplicano i significati: da “basic bitch” che, con una sfumatura quasi discriminatoria, caratterizza la categoria di ragazza bianca, eterosessuale, privilegiata, vista come una non dai modi gentili, o “perfect bitch”  che  intende identificare una donna. Oggi ha una connotazione sessista, ma agli inizi rivendicava un’identità e una libertà sessuale, fuori da un binario prefissato. E, ancora “baddie” persona giovane, sicura di sé, amante della trap, capace di perseguire i suoi obiettivi, sfrontata, impavida”.treccanisecondo2.jpg (83 KB)
A seguire il Festival Treccani ha ospitato il dialogo tra Beatrice Cristalli e la musicista e cantautrice gallurese Daniela Pes: un dialogo molto intenso e profondo, come profonda è la riflessione musicale che caratterizza Daniela Pes.
“Il mio rapporto con la musica è profondo: sono nata e cresciuta all’interno di una famiglia legatissima alla musica. Mio padre è polistrumentista, mia mamma è una grande ascoltatrice; anche con i miei fratelli ho condiviso l’amore per la musica, ora è produttore di colonne sonore, e anche con mio fratello minore. Sono dunque cresciuta in uno spazio di dialogo apertissimo, mai forzata, verso la musica” ha spiegato la musicista, che si è poi soffermata sul suo rapporto tra musica e parole: “Le parole le ho messe in secondo piano per la mia esigenza di espressione. Ho iniziato a pensare ad un mio linguaggio, non volevo che altri scrivessero testi per me. Mi serviva una materia testuale e l’ho trovato inizialmente nelle poesie del gallurese Don Gavino Pes: tuttavia, dopo averne musicate circa venti, mi sono accorta che mi trovavo a dover confinare le linee melodiche a quelle della metrica delle poesie. A quel punto ho deciso di prendere le parole e i suoni che mi servono, anche se apparentemente non vogliono dire niente. In realtà non esiste un fonema che non significhi niente o non rimandi a qualcosa”.
In particolare ogni fonema ha una forma e un colore che percepiamo e rimandano a un suono: “Mi capita di associare un colore a un fonema come ad ogni segmento melodico. Durante il processo di scrittura mi sono resa conto che ogni fonema era forma e colore ed era estremamente legato alla musica. Anche la pronuncia e il tono hanno una rilevanza importante. Per me musica e testo costituiscono un unico flusso”. 
Se l’arte è una lingua universale, lo è anche la musica. E Daniela Pes ha fatto una scelta precisa: “Ho trovato il modo di sentirmi libera di cantare senza vincoli di metrica o significato, partendo dal dialetto gallurese, dall’italiano e da una serie di fonemi che ho inventato pensando alla musicalità che mi serviva. Non ho creato una lingua, ma un modo di trattare le parole. Le parole sono come scintille che guidano chi ascolta, ma senza confinarlo in un contesto specifico”. 
Un processo artistico che sembra andare controcorrente rispetto alle mode: “Noto un accanimento da parte delle grandi marche del business musicale nello spingere questo tipo di struttura che funziona. Mi fa male notare come sempre più musicisti e cantanti si prestano a questa dinamica. Significa che hanno scelto di non percorrere una propria strada, di non voler ricercare nella musica una propria verità”. 
E ha concluso:  “C’è una quantità di musica abnorme e malsana. Sarebbe un bene per tutti se si rallentasse la produzione di musica non necessaria. Sarebbe meglio mantenere sempre un rapporto che sia il più puro possibile, come quando si suonava il pianoforte da piccoli. Spero che sempre più artisti si rifacciano ad etichette indipendenti, che regalano libertà. Fa la differenza affrontare un percorso e creare una propria identità musicale”. 
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