In viaggio a tempo indeterminato/347: l'isola con l'aria che brucia
"L'isola con l'aria che brucia" è proprio qui che siamo sbarcati per una nuova avventura.
Lo so, il nome non attira proprio ma devo dire che rispecchia la realtà perché fa un caldo infernale!
Forse è meglio usare l'altro nome, quello con cui internazionalmente è conosciuta questa isola: Borneo.
Ebbene sì, il nuovo capitolo della nostra avventura in viaggio sarà selvaggio come una delle più antiche foreste del mondo, sarà umido come i peggiori viaggi in nave e sarà appagante come un cocco fresco dopo una giornata calda.
Il Borneo è quel luogo misterioso che tutti sanno che esiste ma pochi conoscono davvero.
Pirati, Sandokan, giungla, mare... sì ma che è sto Borneo?
Si tratta della terza isola più grande del mondo, dopo Groenlandia e Nuova Guinea, ed è suddiviso tra 3 nazioni: il Brunei, la Malesia e l'Indonesia.
E questa sua caratteristica cade proprio a fagiolo se ti sta scadendo il visto di un Paese e devi fare quello che in gergo tecnico viene chiamato "visa run". Letteralmente è la "corsa del visto", in pratica significa uscire da un Paese X, entrare in quello Y più vicino, rifare il visto e ritornare nel Paese X dopo pochi giorni.
Ma a parte questi "tecnicismi di viaggio", il Borneo è sicuramente una meta che vale la pena esplorare il prima possibile... o almeno prima che scompaia del tutto il motivo per cui ci si viene.
Appena atterrati a Kota Kinabalu, nel nord est dell'isola, ci siamo ritrovati in una città che ci ha subito fatto risentire nella Malesia che conosciamo, ma in versione "miniatura". Ci sono i palazzi moderni, ma non sono troppo alti perché gli aerei li sfiorano mentre atterrano.
C'è il quartiere cinese, con le insegne tradizionali e le anatre laccate appese in vetrina, ma tutto è concentrato lungo un'unica grande via.
Ci sono i ristoranti indiani ma servono anche il nasi goreng, il riso fritto che ormai scorre anche nelle nostre vene per quanto ne abbiamo mangiato.
KK, come la chiamano qui, è stata per noi familliare ma allo stesso tempo scioccante.
Dopo due mesi a Sulawesi, abbiamo rivisto i bar che servono cocktail e i grattacieli con l'aria condizionata artica. Ci eravamo quasi dimenticati della loro esistenza e, sinceramente, non ci erano mancati.
Quando siamo atterrati a KKIA (Kota Kinabalu International Airport), sì in Malesia piacciono un sacco gli acronimi, ci siamo anche resi conto che non eravamo assolutamente preparati.
Non avevamo studiato un itinerario, né deciso eventuali tappe e tempistiche.
Credo sia una delle prime volte che arriviamo così impreparati in un Paese. Forse proprio il fatto di conoscerne già i tratti principali ci ha fatto rilassare più del dovuto.
Per rimediare, abbiamo allora deciso di fermarci una settimana e organizzarci per bene. L'ostello che abbiamo trovato per la pianificazione era spaziale, nel senso letterale del termine.
Ancora non riesco a spiegarmi come a qualcuno sia venuto in mente di costruire un ostello con all'interno tante capsule in stile navicella spaziale, proprio in Borneo. Me lo sarei aspettato a Tokyo, ma di certo non su una delle isole più selvagge del Pianeta.
E, invece, contro ogni aspettativa, devo dire che dormire dentro delle "cabine" con tanto di luci che cambiano colore e console con bottoni per gestire le diverse funzioni, si è rivelata una scelta fantastica.
È stata la prima volta che in un ostello abbiamo avuto così tanta privacy. Certo forse un po' claustrofobiche e anche con una temperatura più simile a quella di una cella frigorifera, ma nello spazio non credo faccia troppo caldo, no?
Freschi e riposati abbiamo allora deciso di concentrare la nostra avventura "bornesiana" nella seconda metà del Paese, quella indonesiana.
Dalle informazioni raccolte online, quel lato ci sembrava più in sintonia con l'esperienza che ci eravamo immaginati quando avevamo deciso di fare tappa qui.
Più selvaggia, più scomoda, più imprevedibile. Ma anche più economica e meno battuta. E poi l'Indonesia ci aveva conquistato così nel profondo con Sulawesi che volevamo assolutamente vedere da vicino un altro lato di questo Paese sparpagliato nel mare.
Prima di lasciare il lato malese, però, ci siamo riempiti di cibo indiano e scofanati frutta dai nomi così esotici che basta nominarli per viaggiare: rambutan, mangustin, durian... Ma soprattutto siamo rimasti ancora una volta affascinati dalla multiculturalità malese.
Persone di origini, culture e religioni diverse convivono insieme pacificamente.
Se solo la Malesia fosse uno specchio del mondo! E invece no, nel 2024, la Malesia sembra quasi fuori luogo in un Pianeta dove la diversità viene vista come una minaccia invece che una risorsa.
Fa lo stesso effetto di trovare un ostello con capsule spaziali dentro una delle foreste più antiche del mondo.
Lo so, il nome non attira proprio ma devo dire che rispecchia la realtà perché fa un caldo infernale!
Forse è meglio usare l'altro nome, quello con cui internazionalmente è conosciuta questa isola: Borneo.
Ebbene sì, il nuovo capitolo della nostra avventura in viaggio sarà selvaggio come una delle più antiche foreste del mondo, sarà umido come i peggiori viaggi in nave e sarà appagante come un cocco fresco dopo una giornata calda.
Il Borneo è quel luogo misterioso che tutti sanno che esiste ma pochi conoscono davvero.
Pirati, Sandokan, giungla, mare... sì ma che è sto Borneo?
Si tratta della terza isola più grande del mondo, dopo Groenlandia e Nuova Guinea, ed è suddiviso tra 3 nazioni: il Brunei, la Malesia e l'Indonesia.
E questa sua caratteristica cade proprio a fagiolo se ti sta scadendo il visto di un Paese e devi fare quello che in gergo tecnico viene chiamato "visa run". Letteralmente è la "corsa del visto", in pratica significa uscire da un Paese X, entrare in quello Y più vicino, rifare il visto e ritornare nel Paese X dopo pochi giorni.
Ma a parte questi "tecnicismi di viaggio", il Borneo è sicuramente una meta che vale la pena esplorare il prima possibile... o almeno prima che scompaia del tutto il motivo per cui ci si viene.
Appena atterrati a Kota Kinabalu, nel nord est dell'isola, ci siamo ritrovati in una città che ci ha subito fatto risentire nella Malesia che conosciamo, ma in versione "miniatura". Ci sono i palazzi moderni, ma non sono troppo alti perché gli aerei li sfiorano mentre atterrano.
C'è il quartiere cinese, con le insegne tradizionali e le anatre laccate appese in vetrina, ma tutto è concentrato lungo un'unica grande via.
Ci sono i ristoranti indiani ma servono anche il nasi goreng, il riso fritto che ormai scorre anche nelle nostre vene per quanto ne abbiamo mangiato.
KK, come la chiamano qui, è stata per noi familliare ma allo stesso tempo scioccante.
Dopo due mesi a Sulawesi, abbiamo rivisto i bar che servono cocktail e i grattacieli con l'aria condizionata artica. Ci eravamo quasi dimenticati della loro esistenza e, sinceramente, non ci erano mancati.
Quando siamo atterrati a KKIA (Kota Kinabalu International Airport), sì in Malesia piacciono un sacco gli acronimi, ci siamo anche resi conto che non eravamo assolutamente preparati.
Non avevamo studiato un itinerario, né deciso eventuali tappe e tempistiche.
Credo sia una delle prime volte che arriviamo così impreparati in un Paese. Forse proprio il fatto di conoscerne già i tratti principali ci ha fatto rilassare più del dovuto.
Per rimediare, abbiamo allora deciso di fermarci una settimana e organizzarci per bene. L'ostello che abbiamo trovato per la pianificazione era spaziale, nel senso letterale del termine.
Ancora non riesco a spiegarmi come a qualcuno sia venuto in mente di costruire un ostello con all'interno tante capsule in stile navicella spaziale, proprio in Borneo. Me lo sarei aspettato a Tokyo, ma di certo non su una delle isole più selvagge del Pianeta.
E, invece, contro ogni aspettativa, devo dire che dormire dentro delle "cabine" con tanto di luci che cambiano colore e console con bottoni per gestire le diverse funzioni, si è rivelata una scelta fantastica.
È stata la prima volta che in un ostello abbiamo avuto così tanta privacy. Certo forse un po' claustrofobiche e anche con una temperatura più simile a quella di una cella frigorifera, ma nello spazio non credo faccia troppo caldo, no?
Freschi e riposati abbiamo allora deciso di concentrare la nostra avventura "bornesiana" nella seconda metà del Paese, quella indonesiana.
Dalle informazioni raccolte online, quel lato ci sembrava più in sintonia con l'esperienza che ci eravamo immaginati quando avevamo deciso di fare tappa qui.
Più selvaggia, più scomoda, più imprevedibile. Ma anche più economica e meno battuta. E poi l'Indonesia ci aveva conquistato così nel profondo con Sulawesi che volevamo assolutamente vedere da vicino un altro lato di questo Paese sparpagliato nel mare.
Prima di lasciare il lato malese, però, ci siamo riempiti di cibo indiano e scofanati frutta dai nomi così esotici che basta nominarli per viaggiare: rambutan, mangustin, durian... Ma soprattutto siamo rimasti ancora una volta affascinati dalla multiculturalità malese.
Persone di origini, culture e religioni diverse convivono insieme pacificamente.
Se solo la Malesia fosse uno specchio del mondo! E invece no, nel 2024, la Malesia sembra quasi fuori luogo in un Pianeta dove la diversità viene vista come una minaccia invece che una risorsa.
Fa lo stesso effetto di trovare un ostello con capsule spaziali dentro una delle foreste più antiche del mondo.
Angela (e Paolo)